4. Capitolo III - Mea culpa

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« Sei un vile traditore » e fu così che Blaise Zabini iniziò quella domenica schifosa già di per sé.
Dopo aver bevuto la bellezza di cinque caffé macchiati, essersi rovinato il fegato ed essere entrato in affari con Dean Thomas per importi illegali dall'Italia, aveva fatto la sua entrata teatrale alle nove di mattina nella sua camerata, svegliando i suoi compagni di stanza con quel buongiorno assolutamente delizioso, rivolto alla zuccherosa creatura che, avvolta nelle sue candide lenzuola di seta verde\argento, spalancò gli occhi grigi nella pallida imitazione di un demone in piena trasformazione.
« Tu... ti credevo mio amico! » sibilò in modo melodrammatico, toccandosi il cuore con una smorfia sulla bocca carnosa e socchiudendo gli occhi fintemente addolorati.
Se Draco ringhiò, incapace di proferire parola appena sveglio, Theodore Nott cercò - con la sua solita eleganza - di soffocarsi con il cuscino dalla fodera argentata.
« Uniti da un legame d'amicizia indissolubile... mi hai pugnalato alle spalle » continuò Blaise, asciugando lacrime invisibili dai suoi occhi obliqui.
« Che Salazar lo fulmini! » biascicò con voce impastata Theodore, sperando in cuor suo che l'amico si soffocasse con la propria saliva.
Draco, invece, si limitò a piagnucolare.
« Dove credi di andare, sottospecie di scimmia sottoevoluta! » ringhiò Blaise verso Goyle, che sgusciato da sotto le coperte cercava di sfuggire dal solito teatrino settimanale, inchiodandolo sulla moquette dal colore nero.
« Dov'ero? Ah, certo... come hai potuto? Come? » sbraitò ancora, crollando seduto sulla sponda del letto di Draco; Goyle fece una smorfia, Theodore premette ancora più forte il cuscino sulla propria testa e Draco si limitò a richiudere gli occhi e sbavare appena sul lenzuolo.
« Sei stato ferito e non hai informato me, tuo eterno protettore! » ed ecco che erano arrivati al nocciolo della questione.
Blaise incrociò le braccia al petto, offeso, e Goyle ne approfittò per rinchiudersi nel bagno, sfuggendo ad una sfuriata in piena regola alle nove di mattina; Theodore guardò - per quanto gli occhi assonnati gli permettessero - curiosamente lo scenario che gli si presentò davanti: Draco aveva appena sbuffato, aprendo definitivamente gli occhi, e stava guardando Blaise con espressione assassina, mentre quest'ultimo continuava a fare l'offeso, con le guance gonfie e un broncio simile a quello di un bambino a cui è stato negato un giocattolo.
« Probabilmente, Italiano dei miei stivali, non te l'ho detto proprio per evitare che facessi una scena come queste nella Sala Comune! » disse, promettendo a sé stesso di azzannare Blythe appena fosse passato sotto le sue grinfie: lui era l'unico - oltre i suoi carnefici - a sapere dello scontro avvenuto al terzo piano... e proprio non riusciva ad immaginare quei codardi riferire ad un ragazzo di due metri per cento chili di aver malmenato il suo miglior conoscente.
« Draco, dovevi dirmelo! Avrei provveduto a stanare quei figli di... » iniziò Blaise, schioccando le dita e venendo interrotto sul più bello da Draco, che scosse il capo, infastidito.
« No, Blaise, no. Si scatenerebbe una catena infinita e metterei te - oltre me - contro il nostro dormitorio; sono troppi serpenti velenosi e non voglio né morire avvelenato né essere additato come un codardo.
Ho smesso di ascoltare i loro giudizi un anno fa » sbuffò Draco, sbadigliando e mollandogli un calcio da sotto le coperte per averlo svegliato all'alba.
« Mi interessa poco o niente della loro ghiandola velenosa, Malfoy! Io sono più velenoso di loro » disse Blaise, e dal sorrisetto che piegò le sue labbra carnose, Draco, capì che la questione non era finita lì: conosceva l'amico quel tanto da sapere che si sarebbe vendicato in un modo assolutamente grandioso, macchinando piani alla stregua del Conte di Montecristo.
« Siete disgustosi » borbottò Theodore, rigirandosi nel letto a baldacchino e soffocando uno sbadiglio nel cuscino che, fino a pochi secondi prima, aveva tenuto sul viso nel tentativo di soffocarsi.
« Tu pensa al modo di dire alla tua fidanzata secolare che sei innamorato di sua sorella, Theo, non all'amicizia che lega me e Draco, capace di superare tempeste e monti insormontabili! Non capisco il motivo della tua gelosia, davvero » cinguettò Blaise, ritornato di buon umore, evitando per un pelo una pantofola - con tanto di serpenti e vipere allegre - e sorridendo velenoso verso Theodore, che gli regalò un dito medio e un "vaffanculo" detto con tutto il cuore.
« Ritornando a noi, caro, un uccellino mi ha anche sussurrato che le mani della Granger sono più che abili » continuò il ragazzo di colore, guardandosi le unghie perfettamente curate e facendo balzare Draco fuori dal letto, che con un'espressione assassina sembrava confrontare la scelta di ammazzare prima lui o l'uccellino.
« Dimmi, Draco, ti è piaciuto farti trastullare dalla Mezzosangue? » sibilò Blaise, perfido, e Draco decise che, decisamente, avrebbe ucciso prima lui; con un urlo degno di Bruce Lee in uno dei suoi scontri più difficili, si lanciò contro l'amico con una forza che - appena sveglio - non sapeva nemmeno di possedere: allacciò le braccia al suo collo e lo spinse oltre la sponda del letto dov'era seduto, attutendo la caduta sulla moquette con la schiena possente di Blaise.
Cercò di soffocarlo, di zittire i suoi urli "d'aiuto" con un piede conficcato quasi in gola, ma la fine del mondo avvenne quando - senza nemmeno farlo apposta - Draco lo graffiò appena sulla guancia.
Apriti cielo.
In un nano secondo fu buttato dall'altra parte della stanza con un calcio micidiale nello stomaco, sbattendo contro il letto di Theodore - che bestemmiò - e si ritrovò a fissare gli occhi increduli di Blaise, completamente sconvolto.
« Hai... tu hai... hai o-osato rovinare il mio viso. Il mio prezioso viso. La mia bellezza. Tu hai osato rovinare un monumento di bellezza mondiale! » urlò il mezzo Italiano, additandolo come un invasato scappato da Azkaban dopo anni e anni di tortura ininterrotta.
« Cazzo, Blaise, quanti problemi! E' solamente un graffietto » sbottò Draco, massaggiandosi la testa e ignorando i miagolii disperati di Theodore, che desiderava ardentemente dormire in santa pace, senza le loro urla arrabbiate o disperate.
« Graffietto? Graffietto? Io ci lavoro con questa faccia, amante dei Mezzosangue! » sbraitò, girando il capo quasi a cent'ottanta gradi verso Goyle, che, con solo un'asciugamano addosso mostrava la sua pancia che con le tette di una donna sessantenne e l'ombelico grande quasi quanto una piscina sembrava quasi una faccia sorridente, ignaro di tutto aveva fatto una doccia ed era rientrato in stanza, credendo che il peggio fosse finito... quando, in realtà, era appena iniziato.
« Che mi guardi, specie di essere umano con il corpo di un rinoceronte e il cervello di gallina? » mormorò con voce pericolosamente bassa verso Goyle, che si grattò il capo, quasi imbarazzato.
« Perché porti le mutandine con cuori rosa e verdi? » domandò perplesso, mentre Draco a stento trattenne una risata, liberata senza nessun problema da Theodore, che guardando il sedere di Blaise vide una bella porzione delle sue mutande, con tanto di Merlino con un cappello che faceva pandan con i cuoricini.
« Sono sexy » sibilò in risposta, afferrando la bacchetta dalla tasca posteriore dei pantaloni e puntandola verso l'asciugamano di Goyle, che con un movimento fluido del polso di Blaise cadde sulla moquette, facendo quasi salire un conato di vomito ai due poveri malcapitati alle sue spalle.
« E tu, elefante, perché hai una nocciolina al posto della proboscide? » disse con un sorrisetto, ammirando tra sé e sé la propria cattiveria, segno distintivo di cui non avrebbe mai fatto a meno.
« Per le mutande consunte di Merlino, Zabini, copri questo scempio! » sbraitò Draco, scansandosi prima di venire investito dal vomito di Theodore, che debole di stomaco aveva riversato la cena della sera prima sul pavimento.
« Ehi! » borbottò Goyle, sentendosi chiamato in causa.
« Che Morgana l'aiuti a diventare qualcosa che si avvicini, se non lontanamente, almeno umanamente ad una cosa normale » sospirò Blaise, agitando nuovamente la bacchetta e avvolgendo Goyle in un lenzuolo di Draco, che dopo non avrebbe esitato a dare fuoco senza pensarci due volte.
Se il buongiorno si vede dal mattino... beh, che giornata di merda era iniziata!

Non che la situazione a Grifondoro fosse diversa; quella domenica sembrava distrastosa per tutti e ad Hermione si era presentata sottoforma di una bionda e stupida oca che ragionava su argomenti stupidi e insensati.
E lei odiava discutere con chi non voleva ascoltare.
No, no e no.
Non lo accettava, era contro ogni sua maledettissima morale.
« Quindi, in poche parole, mi stai dicendo che chi mette una gonna più corta e una camicia più aderente è una donna di facili costumi? » Lavanda Brown poteva guardarla con tutte le espressioni indignate che possedeva, Hermione non avrebbe cambiato idea.
Né ora né mai.
« Se andassimo tutti i giorni in una discoteca potrei anche darti ragione, ma no, siamo in un istituto privato e dobbiamo essere adeguate per la giornata che dobbiamo affrontare! Dovremmo studiare, non attirare le attenzioni dei ragazzi, Lavanda » disse fermamente convinta, legando i riccioli bruni in una coda veloce e comoda.
« Collegio privato, non di suore » sibilò la sua compagna di stanza, agitando la bacchetta e trasformando la sua coda in una crocchia ordinata.
« Questo non ci da il diritto di girare per la scuola vestite come se fossimo uscite da una discoteca e non un'aula! » sbottò Hermione, mentre Lavanda passava un lucidalabbra rosa sulle proprie labbra piene.
« Ma nemmeno a conciarci come se fossimo appena uscite da un convento » rispose ironica Calì, arricciando il naso alla vista delle occhiaie che appesantivano lo sguardo di Hermione, causa dello studio che la teneva sveglia fino a tardi.
« Di questo passo non troverai mai un rimpiazzo! » mormorò con tono quasi preoccupato, come se davvero le importasse qualcosa che lei e Ron si fossero lasciati.
Hermione non aveva bisogno di un rimpiazzo, ma di qualcuno che la completasse, cosa che poteva considerarsi assai diversa. Con l'ennesimo sventolio di bacchetta, Lavanda, le lanciò contro un incantesimo non - verbale, facendole quasi venire un infarto. « Ora sei quasi decente » disse, prima di uscire dalla stanza ed evitare una boccetta di profumo, che si schiantò proprio contro il muro accanto alla porta, lanciato da un Hermione furiosa.
« Non osare mai più puntarmi la bacchetta contro, Brown, o giuro che te la... » urlò, venendo interrotta da una piccola furia rossa, che entrò con un'espressione tra il sorpreso e il preoccupato.
« Dimmi che non stavi per dire le parole "bacchetta", "infilare" e "su per il culo" nella stessa frase o potrei farti una statua d'oro, Hermione » rise Ginny, entrando definitivamente nella stanza e spaparanzandosi sul suo letto, con le gambe incrociate e un sorriso sornione sulle labbra.
« Mi manderanno al manicomio quelle due, Ginny » sbuffò Hermione, guardandosi con una smorfia allo specchio; sì, d'accordo, le occhiaie erano sparite, ma lei non era lì per quello.
Hermione aveva sempre avuto la convinzione che chi avesse il coraggio di innamorarsi di lei dovesse amarla per il suo cervello, il suo carattere e non per il suo aspetto; la bellezza sarebbe appassita negli anni, la compatibilità, le passioni in comune, il carattere e tutte quelle cose che rendevano una persona diversa dalle altre, sarebbero rimasti fino alla fine.
« Ma hanno ragione per una parte, Hermione » disse Ginny, raggiungendola e fermandosi alle sue spalle, dove le accarezzò dolcemente il collo scoperto dai capelli.
« Ron non si fa problemi, se qualcuno gli chiede di uscire accetta, cercando di rimpiazzarti senza nemmeno preoccuparsi dei tuoi sentimenti... tu perché continui a chiuderti nel guscio che, in sette anni, ti ha permesso di farti notare solamente da lui? » domandò, guardandola come se fosse un delicato vaso di cristallo e con quelle parole avesse paura di romperla.
Ma Hermione aveva smesso di ascoltare i giudizi delle persone anni prima, quando aveva capito che non poteva piacere a tutti... che non tutti avrebbero potuto apprezzare quello che le batteva dentro. Quel che era.
« Semplicemente non mi va di farmi notare per quello che non sono... » rispose Hermione, guardando la sua figura allo specchio e chiedendosi cosa ci fosse che non andasse.
Era lì, era lei, cosa c'era di sbagliato?
« D'accordo, hai vinto, ma almeno togli la divisa quando non c'è lezione » rise Ginny, agitando la bacchetta e mormorando un "Accio": i vestiti, dopo una manciata di secondi, si depositarono tra le sue mani entrando direttamente dalla porta.
Con espressione soddisfatta, Ginny, le buttò un paio di pantaloni neri e una maglia sul letto rifatto alla perfezione, mentre Hermione afferrava la semplice maglia rosso carminio, che l'amica aveva richiamato con la magia, tra le mani, rigirandosela tra le dita quasi sorpresa dalla semplice bellezza di quella maglia, soprattutto di Ginny, a cui piaceva vestirsi in un modo appena più appariscente del suo.
« Questa me la regalò Harry pochi mesi prima che ci lasciassimo... fa a pugni con i miei capelli arancioni e mi fa ricordare troppo » mormorò l'amica, aiutandola a togliersi la divisa e infilarla su per le braccia.
La maglia le stava una meraviglia e Ginny le sorrise incoraggiante, mentre lei aggiustava - appena arrossita sulle guance - lo scollo a barca che lasciava intravedere la valle dei seni. La stoffa accarezzava morbidamente i fianchi e non era niente di eccessivo.
« Vedi? Si può essere belle anche con qualcosa di semplice, l'importante però è scegliere accuratamente ciò che si indossa, anche un accessorio - che la Mcgranitt degenera durante le lezioni, ma non il sabato e la domenica - può cambiare completamente un look » disse Ginny, facendole l'occhiolino.
« Sono stanca di ragazzi e amori infranti, Gin, le mie storie finiscono sempre con un cuore spezzato... e cercarmi qualcuno che debba sforzarsi d'amarmi solo perché io mi sforzo di essere carina proprio non mi va » disse Hermione, quasi come se quella fosse una semplice costatazione su quanto il tempo fosse guasto quel giorno e non una frase così triste, che probabilmente - molto infondo - le spezzava il cuore.
Ginny le accarezzò i capelli, poggiando la fronte sulla sua nuca, standole vicino anche solo respirando appena tra i suoi riccioli ribelli; aveva messo il pantalone nero e forse erano anche pronte per scendere giù a fare colazione, ma quella bolla di silenzio che le aveva avvolte improvvisamente era stata capace di farle sprofondare nei propri pensieri.
« Devo dirti una cosa, Hermione » iniziò Ginny, attirando la sua attenzione, ma prima che potesse dirle altro una furia da una zazzera di capelli neri e scomipigliati entrò nella stanza, gli occhiali scomposti sul naso e la bocca tirata in un sorriso solare, che si affievolì alla vista di Ginny, che bloccò la sua frase sul nascere.
« Scusa se sono piombato quì, Hermione, ma Lavanda e Calì mi avevano detto che eri pronta e continuavi a tardare a scendere in Sala Comune » si giustificò Harry, tendendole la mano.
Ginny si staccò da lei e sentì chiaramente lo scoppio di quella bolla che le aveva strette, spezzando quell'attimo di armonia. Hermione strinse la mano di Harry, ma per un attimo qualcosa le disse che stava sbagliando, che probabilmente avrebbe dovuto rifiutare quella mano, ma il suo migliore amico la strattonò verso di lui, sorridendo come se non avesse un problema al mondo.
« Ha ragione Harry, un certo languorino comincia a farsi sentire » Ginny liquidò la questione con lo sventolio distratto della mano, saltellando fuori dai Dormitori femminili con la sua solita aria spensierata.
E' colpa mia.
Hermione si lasciò trascinare fuori dal ritratto della Signora Grassa, notando a malapena l'assenza di Ron alle loro spalle; c'era qualcosa di strano che aleggiava tra Ginny ed Harry, come un tacito accordo che nuoceva ad entrambi, ma tremendamente segreto da roderli dall'interno.
Hermione spostava lo sguardo dall'uno all'altro con gli occhi assottigliati, chiedendosi perché. Le stavano nascondendo qualcosa.
Perché?
« E' colpa mia » mormorò, con una voce così bassa che a malapena venne udita.
Era forse colpa sua?
« Questa mattina Ron è andato ad allenarsi, credo che ci aspetti nella Sala Grande » borbottò Harry, rompendo il silenzio che si era venuto a creare e spezzando la tensione che quasi poteva tagliarsi con un coltello.
« Ma gioca sempre a Quidditch? Ce l'ha una vita sociale, quell'idiota? » domandò Ginny, sorridendo a Dean Thomas, che si aggregò felicemente a loro e facendo quasi inciampare Harry sui propri passi.
« Tra poco iniziano le elezioni per i nuovi componenti della squadra e Ron, come tutti gli anni da quando è stato eletto portiere » rise Harry, mentre Hermione abbozzava un sorriso al ricordo del Confundus che aveva lanciato su quella montagna di Mcleggen; era così innamorata allora, ed era molto più semplice.
Sentiva quel sentimento che le batteva dentro puro e invincibile. Ma tutto era cambiato, loro erano caduti e il dolore aveva preso posto dell'amore.
Loro non si amavano, loro si aggrappavano.
« Chissà perché è così insicuro » sbuffò Dean, entrando per primo nella Sala Grande e arrossendo appena sulle guance scure quando Ginny si aggrappò al suo braccio, con Hermione ed Harry a seguito, che tossì come la Umbridge quando qualcosa non andava per il verso giusto.
« E' sempre stato così, anche se dopo la guerra è cambiato molto... » proferì Hermione, stringendo il braccio di Harry e intimandogli con un occhiata di starsene fermo e zitto.
Era stato lui a lasciare Ginny, quindi che bloccasse i suoi attacchi di gelosia fraterna.
« E' colpa tua » disse Harry e per poco Hermione non inciampo; legare quella frase al pensiero che le ronzava nella mente era... strano, quasi inquietante.
E' colpa mia?
« Ron ha acquistato sicurezza da quando vi siete fidanzati... l'hai aiutato ad uscire dal suo guscio e farlo emergere » finì la frase in bellezza, facendola sospirare e ingoiare quel magone che le aveva bloccato il respiro.
E' colpa mia.
Ron non l'aveva aiutata ad acquistare una nuova sicurezza né tantomeno l'aveva fatta sentire una donna affascinante, sensuale; certo, Hermione aveva diciotto anni e credeva che l'aspetto fisico non fosse importante, ma aveva desiderato - una volta - di sentirsi desiderata.
Non desiderata perché indossasse gonne allucinanti e maglie dallo scollo vertiginoso. Hermione voleva sentirsi desiderata per la sua intelligenza e la risposta pronta, per la sua sfacciataggine e timidezza; Hermione voleva sentirsi desiderata per la sua semplicità e per il sorriso che sfoggiava ogni giorno, anche se non ne aveva voglia.
Voleva sentirsi desiderata anche solo se indossava un jeans o la divisa scolastica.
« Ti sta bene questa maglia » il sussurro di Harry le soffiò via i riccioli dalla guancia arrossita, lasciandola lì mezza imbambolata. E' colpa mia.
« Ehi, Granger, dove le avevi lasciate quelle per tutto questo tempo? » Blaise Zabini urlò quella frase con tutto il fiato disponibile in gola, facendo girare mezza Sala Grande verso di lui. Non che a quel Serpeverde da strapazzo dispiacesse l'attenzione... ma a lei imbarazzava giusto un pelino.
Specie se l'attenzione era catalizzata sul suo decolté.
« Oh, ma sta zitto! » sbuffò Hermione, sedendosi al tavolo dei Grifondoro e desiderando sprofondare nell'entroterra.
Non che fosse così prosperosa, intendiamoci, lei era molto esile: prima della guerra era già magra di suo, ma dopo la morte di Fred e la ricerca dei suoi genitori tutto si era complicato e quei chili che non aveva bisogno di perdere... purtroppo se n'erano andati di per sé; era anche bassa e al fianco ad Harry e Ron quasi si sentiva uno gnomo.
Comunque aveva una terza scarsa che aveva visto tempi migliori.
Okay, una seconda.
« A cosa si riferiva? » ed ecco che Ron arrivava e parlava a sproposito.
« Alle sue tette » ed ecco che Ginny rispondeva innocentemente a tutte le sue domande.
Ron quasi soffocò con il pane tostato, guardandole in modo sfacciato il petto.
« Ronald Bilius Weasley! » strepitò Hermione, schiaffeggiandolo dietro la nuca e coprendosi con un braccio... anche se non c'era proprio niente da coprire, visto che era tutto coperto.
« Che c'è, Granger, non ti va a genio che Weasley ti guardi? » ci mancava Zabini all'attacco, che attirò nuovamente l'attenzione della Sala Grande su di loro e su di lei, rossa come un pomodoro.
« Stai un po' zitto? » sbraitò Hermione in risposta, mentre il ragazzo di colore piegava le labbra piene in un sorriso subdolo.
« Eppure non mi sembravi tanto scettica quando hai trastullato Draco Malfoy! » sembrò quasi che la sua voce profonda e roca uscisse a rallentatore dalla sua bocca ed Hermione giurò di vedere gli occhi di Ron uscire fuori dalle orbite.
Merda.
« Tu... cosa hai fatto? » lo strepitio di Ron non aiutò di certo la situazione, sembrava che Hogwarts, in quel momento, avesse solamente orecchie per loro; sarebbe stato un triangolo perfetto: l'eroina del Mondo Magico che ha una tresca con il suo peggior nemico che all'ultimo momento si è ricreduto, mettendo da parte il suo migliore amico ed ex ragazzo.
« Potrei ucciderti se gli dai corda » sibilò Hermione verso il rosso, sperando che capisse la sua disperazione e mettesse fino al tremendo imbarazzo che l'aveva assalita a quelle parole.
« Per le mutande consunte di Merlino, Hermione, che significa che hai trastullato Draco Malfoy? » sibilò a voce più bassa, lasciando cadere la fetta di pane tostato nel piatto mezzo vuoto.
« Non significa niente, Ronald, e pure se fosse questi non sono affari tuoi! » la voce di Hermione salì di due ottave ed Harry ritenne opportuno intervenire, prima che la sua migliore amica affatturasse il suo migliore amico e lui perdesse il portiere della squadra.
« Meglio non discuterne quì, andiamo... » afferrò Ron per la manica della divisa da Quidditch e cercò di tirarlo su, ma il ragazzo non si mosse, continuando a fissare Hermione negli occhi.
« Forse oggi non ha messo la divisa proprio per questo motivo... fare colpo su qualcuno con un vestiario che mette in risalto i propri punti di forza » rincarò Blaise, ringraziando tutti i protettori di Hogwarts che Draco non fosse ancora presente.
Se l'avesse sentito gli avrebbe sicuramente tappato la bocca con cinque o sei calci ben assestati nelle parti basse.
« Questa è stata bella » rise Ginny, alzando il pollice verso Blaise, che ringraziò inclinando il capo.
« Ginny, ti prego, non metterti anche tu con questa idiozia! » sibilò Hermione, mentre Ron si alzava in tutto il suo metro e novanta e la fissava con i suoi occhi azzurri incendiati.
« Beh, sai che ti dico? Dì a Draco Malfoy che è tutta apparenza. Sei frigida e rigida come un palo » e mormorò quell'ultima frase con così tanta cattiveria che Hermione sobbalzò.
« Forse ero frigida e rigida perché il palo a malapena si vedeva e io a stento lo sentivo » e con quella frase ad effetto che lasciò Ron con la bocca mezza aperta e una Ginny in brodo di giuggiole, diede le spalle a tutti e uscì con gran stile dalla Sala Grande, tanto da guadagnarsi un fischio d'ammirazione da Theodore Nott.
"E' davvero colpa mia, allora?"
Probabilmente non era Ron a farla sentire meno femminile... ma lei stessa non lo era.
« Idiota » sibilò tra sé e sé, ma questa volta non era riferito a lei quell'insulto, ma a quello stronzo di Ronald Wealsey.
Le sembrava essere ritornata a due giorni prima, quando aveva vagato per il castello con le lacrime agli occhi e il cuore in tumulto, sofferente per quell'uomo che era stato speciale, ma che si stava rivelando un bambino.
« Stupido » continuò, stringendo i pugni con forza e calciando la porta del bagno di Mirtilla Malcontenta.
Sembrava che quel bagno fosse diventato ritrovo per malati di cuore.
« Oh, oh, la piccola Mezzosangue ha un problema? » Mirtilla uscì da uno dei cunicoli fluttuando dolcemente, con un sorrisetto sulle labbra. Non le era mai piaciuto quel fantasma: era una vittima, certo, ma anche una terribile stronza.
« Questi non sono affari tuoi » disse Hermione, sedendosi sul pavimento accanto ad uno dei lavandini che permettevano l'ingresso nella camera dei segreti.
Come al primo anno, quando lui l'aveva insultata e lei si era rinchiusa nel bagno a piangere.
« Io posso capirti... » si lamentò Mirtilla, fermandosi davanti a lei.
« Va via! » urlò così forte che per un attimo si sentì in colpa, ma Mirtilla non esitò a strillare più di lei e tuffarsi nella tazza del water, quasi allagando il bagno.
Lei e Ron non avevano mai fatto l'amore e tantomeno lei l'aveva mai visto nudo, tranne quelle poche volte - sempre con dei pantaloni - durante la ricerca degli Hocrux; lei non aveva il diritto di dire che lui era... impotente come lui non aveva il diritto di poter parlare della sua presunta frigidità.
Hermione era vergine, punto, e non perché aspettava il principe azzurro o altre fandonie simili; semplicemente non si era mai sentita pronta per fare un passo del genere.
Non considerava la sua verginità così preziosa, ma nemmeno così inutile da regalarla al primo che si dichiarava apertamente a lei. In realtà nemmeno ci aveva pensato in quegli anni: con Harry come amico e Voldemort alle calcagna - con dissennatori, lupi mannari e disastri a seguito - quelle cose da ragazze le aveva accantonate in un cassetto, aspettando il momento giusto per tutto.
Si era sentita pronta quando aveva baciato Viktor al quarto anno e si era sentita prontissima quando aveva baciato Ron durante la battaglia finale; non aveva avuto ripensamenti, anzi, non si era mai pentita di quel gesto fatto.
Ron aveva provato a fare l'amore mesi prima che iniziasse la scuola: passare del tempo insieme e da soli era normale per due diciottenni ed Hermione aveva casa libera fin quando non avrebbe trovato il sistema giusto per ridare la memoria ai suoi genitori; lui era stato delicato come non mai, l'aveva baciata lentamente, assaporando il momento e poi - arrossendo come un bambino - l'aveva accarezzata sui fianchi.
All'inizio non aveva provato fastidio... Ron non era invadente ed era comunque normale che due fidanzati si concedessero carezze più intime; poi però lui era diventato più audace e lei era entrata in panico: certo, si conoscevano da ben sette anni, ma l'amore lo stavano assaporando poco a poco.
Lui non sapeva tutto di lei e quest'ultima voleva che conoscesse ogni suo lato prima di concedersi pienamente a lui. Non ne era stato dispiaciuto e non gliene aveva fatto una colpa; lo aveva apprezzato per quel gesto e probabilmente l'amore per lui era cresciuto un po' di più dopo quella grande dimostrazione d'affetto... ma allora perché ora le stava rinfacciando ogni cosa?
"E' colpa mia"
Hermione si portò le ginocchia al petto, poggiandoci delicatamente il mento.
"Devi piangere?" Sorrise, scuotendo il capo; forse era matta: una voce dentro di lei le chiedeva se voleva piangere, le diceva che era colpa sua, le mormorava che Draco non era male e che Ron era uno stronzo.
Da quando la sentiva? Pochi giorni, da quando credeva di aver perso la sua sanità mentale per quell'amore che nemmeno poteva più chiamarsi così.
« Mi chiedo cosa ci trovino i Babbani in questa » un pacchetto di sigarette fu buttato ai suoi piedi e Draco Malfoy si sedette di fronte a lei, con le gambe incrociate e la borsa a tracolla aperta.
Hermione afferrò il pacchetto di sigarette incuriosita, ma non si sorprese della presenza del Serpeverde; sembrava che oramai lui sapesse sempre dove trovarla e come trovarla.
« E' la loro invenzione più stupida dopo le pistole » mormorò Hermione, mentre Draco apriva il pacchetto e ne sfilava una delicatamente, rigirandosela tra le dita incuriosito.
« Blaise le vende di nascosto ai figli di Babbani insieme a Dean Thomas; me ne ha dato uno prima che uscissi dal dormitorio, dice che schiarisce le idee, ma non ho capito cosa intendeva » disse Draco, chiedendosi cosa dovesse farci con quella cosa.
« Questa si fuma, Malfoy » sbuffò Hermione, abbozzando un sorriso alla faccia stranita di Draco, che guardava la sigaretta in modo sospettoso.
« Blaise è un idiota, in tutti i sensi, quindi posa questa cosa e continua a gingillarti con i tuoi oggetti da mago Purosangue » e quasi furono le ultime parole famose perché Draco Malfoy si sentì punto nell'orgoglio.
La sua faccia divenne una maschera indignata e i suoi occhi lanciarono fulmini, mentre le dita da pianista strapparono quasi con forza l'oggetto dalle mani di Hermione, che lo guardò meravigliata.
Aveva arricciato le labbra in modo superbo, alzando il sopracciglio destro e albino con superiorità; sembrava volerle comunicare che non voleva ritornare ai suoi gingilli da Purosangue, come se lei si fosse offesa con la propria frase.
« Fammi vedere come si fa, Mezzosangue! » ordinò imperioso, mentre Hermione lo guardava offesa per quell'ordine.
« Non sono la tua serva, Malfoy! » sbottò, alzando il mento con fare orgoglioso e incrociando le braccia al petto; quel gesto sembrò catturare l'attenzione di Draco, che spostò lentamente lo sguardo sulla linea morbida dei seni.
« Draco Lucius Malfoy! » ed ecco che anche Draco gemeva per lo scappellotto - anche bello pesante - ricevuto sulla nuca.
« Che c'è? » sbraitò ancora mezzo imbambolato, massaggiandosi la parte lesa.
« Stavi guardando ! »
« Mpff » rise Draco, senza meravigliarsi del suo tono arrabbiato.
Sembrava così pura lì, seduta e vestita delle sue insicurezze, abbracciata da quei errori che l'avevano resa donna, matura, consapevole di quel cuore che le batteva dentro; era una bambina cresciuta troppo in fretta, lei, e sembrava aver paura di qualsiasi cosa che facesse riferimento a quella crescita veloce, ancora non completa.
« Voi uomini siete dei porci »
Aveva la bocca carnosa imbronciata e aveva portato le braccia a proteggersi il busto, come se fosse nuda davanti ai suoi occhi. Ma non lo era, ed era quello il bello.
« E' l'effetto vedo non vedo che ci fa quest'effetto, Mezzosangue » rise Draco, mentre la vedeva lasciar cadere le braccia e arricciare il naso.
Si grattò imbarazzata una spalla, quasi conficcandosi le unghia nella maglia di stoffa.
« Non si vede niente, vero? » bisbigliò, arrossendo sulle guance.
Pura.
« No » mormorò Draco e probabilmente la risposta fu positiva, perché Hermione gli sfilò la sigaretta dalle dita, poggiandola sulle labbra e accendendo una piccola fiammella con la bacchetta; Draco sobbalzò quando vide del fumo uscire dalle narici della Granger e per un attimo - stupidamente - si chiese se stesse andando a fuoco.
« Fumi, Granger! » esclamò sorpreso, additandola, ed Hermione scoppiò a ridere.
« Appunto, Malfoy, fumo. Quando qualcuno usufruisce della sigaretta viene chiamato fumatore... supposizione esatta, direi! » disse, allontanando la sigaretta da sé con aria disgustata e passandola al ragazzo, che la fissò interrogativo.
« Devo anche insegnartelo? » sbottò Hermione, scuotendo il capo.
« E secondo te come imparo? » sibilò sornione, guardandola in modo eloquente.
« Sono affari tuoi! La sigaretta è letale e non voglio essere la colpa di un tuo futuro tumore » disse Hermione, riavviandosi un ricciolo che le era caduto sugli occhi, che fissavano insistentemente il volto pallido di Malfoy - impegnato a guardarla in cagnesco -.
« Tucosa? »
« Una cosa che non ti piacerebbe provare » sbuffò la Grifondoro, ma far cambiare idea ad un Malfoy era come spostare un macigno d'un quintale.
Testardo.
Draco si portò il filtro alla bocca e senza nemmeno farla apposta aspirò, volendo invece sospirare scocciato alla faccia saccente della Granger; il fumo gli andò di traverso e per un attimo credette di morire: la gola andò in fiamme e gli occhi si incendiarono.
« Complimenti, Malfoy, ora puoi considerarti un idiota a tutti gli effetti » disse Hermione, applaudendo ironicamente al ragazzo che si fece così rosso in viso che, anche a non volerlo, scoppiò miseramente a ridere.
La sua pelle pallida andava in netto contrasto con le guance rossissime per lo sforzo della tosse e assomigliava ad un Tedesco ubriaco.
« Non... » tossì Draco, volendo intimarle di non ridere, ma l'attacco di tosse proprio non riusciva a farlo parlare; era terribile fumare e si ricordò, tra uno sputacchio e l'altro, di uccidere Blaise Zabini e le sue stupide idee.

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