14. Capitolo XIII - My

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Due dita pallide strinsero con forza quel maglione di lana, afferrandolo e tirandolo su dal pavimento di pietra: la “R” sul petto prese fuoco e le fiamme si estesero fino alle maniche bordate con cotone d’oro, mentre il rosso della lana diventava cenere tra le sue mani; non si bruciò nemmeno quando le lingue infuocate le strinsero la pelle con inerzia, accarezzandole la carne con dolcezza. Le sembrava che quel fuoco fosse fatto d’aria: la stringeva, la stringeva, ma non le faceva male e questo la spaventava.
Strofinò le dita quando si accorse che il maglione di Ron era bruciato interamente, lasciandole solamente la mano sporca di cenere e il corpo tremante; la Torre Nord era vuota, i ragazzi erano in giro a fare rifornimento d’alcool per quella sera, magari per distrarsi, magari per non pensare a quegli attacchi che diventavano sempre più frequenti, magari per non pensare che, quella volta, erano tutti coinvolti e nessuno di loro – forse – ne sarebbe uscito intero o peggio, vivo.
Hermione Granger tremò, mentre il fuoco accarezzava la scritta “Sanguesporco”, delineando la cicatrice che le straziava l’avambraccio e rendendo la scritta rossa, quasi viva nel passato che l’aveva resa dolorosamente vera.
« È un dono molto raro » Anastasija apparve – come sempre – alle sue spalle, guardando meravigliata il fuoco che sprigionavano i suoi pori, che l’avvolgeva come una nuvola letale, fatta di cenere e rosso, come la maglia che indossava.
« È un dono che non so gestire » bisbigliò Hermione, alzando i polpastrelli e fissandosi le dita pallide.
Draco non era stato ferito dalle fiamme, ma Hermione non conosceva il perché e aveva paura. Aveva paura di ferire qualcuno, di ferire lui e non poteva permetterselo: aveva promesso di salvarlo, non di ucciderlo.
« Imparerai. Sei una strega rossa, Hermione, il fuoco è dentro te, il fuoco è te, non ti divorerà… a meno che non sia tu a chiederglielo » rispose Anastasija, facendole spalancare gli occhi.
« Gli Ignis sono creature rare, è un potere con cui ci si nasce ogni secolo e in questo ricorrente, creature così si sono quasi estinte. Molti farebbero carte false per essere così, Hermione e tu non devi rinnegare quello che sei.
Una volta imparato a maneggiarlo, non ne avrai più paura e niente potrà fermarti » continuò, accomodandosi sul divanetto di pelle nera e accavallando le gambe nude.
Quel giorno, Anastasija, indossava un vestito rosso fuoco: Il corsetto le strizzava il seno, ma Hermione sapeva che non aveva bisogno di respirare, che era tutta apparenza il colore roseo sugli zigomi pronunciati e che quindi quei lacci potevano stringere fin quando volevano, non ne risentiva, non più, almeno; il velluto le accarezzava sensualmente i fianchi stretti, mentre la gonna le fasciava le gambe fino alle caviglie, mentre uno spacco – che arrivava fino alla vita piccola e sottile –  mostrava la sua pelle candida. Anche le labbra erano rosse, mentre i riccioli erano legati in una crocchia disordinata, che lasciava il collo pallido scoperto: sulla cavità, quasi sullo sterno, si intravedevano le cicatrici di due canini.
Hermione rabbrividì: era di una bellezza da mozzare il fiato, ma di una tristezza unica, gelida. Troppe volte l’aveva paragonata ad una bambola di porcellana, immobile nella sua bellezza, ferma nella sua eterna magnificenza.
Anastasija era una Dea, e aveva il potere di creare una nuova vita e – come ogni Dio che si rispetti – aveva anche il potere di toglierla, di rendere le altre persone come lei. Cosa si provava ad essere vuoti? A non avere alcun scopo nella vita, se non placare la bestia che cresce e prende posto della propria umanità?
« Non sapevo esistessero anche le streghe rosse. Ero informata su quelle bianche e quelle nere, le prime con il potere straordinario di poter guarire e le seconde di ferire o addirittura uccidere, ma non ho mai sentito parlare di streghe “rosse” » mormorò Hermione, rimanendo all’in piedi e inclinando il capo, senza fermare le fiamme, come se facessero parte di lei, come se fossero lei.
« Le streghe rosse vengono dette anche volgarmente streghe d’amore. Ma sono tutte bugie, quelle leggende narrano il sbagliato; le streghe rosse non si interessano a incantesimi d’amore o a lanciare il malocchio sull’ennesimo uomo traditore. No, è molto più complicato.
Si parla di streghe rosse perché il loro potere viene fuori quando perdono ogni inibizione e – inconsciamente – ogni freno che le rende loro stesse. Si chiamano streghe rosse perché il loro potere viene fuori, di solito, quando vengono intaccate dalla passione e dal piacere che concede la carne.
Ci sono le Ignis, come te, che hanno il potere del fuoco: non un potere semplice, tu sei il fuoco e puoi attaccare, guarire e volgerlo a tuo piacere. Sei solo la carnefice, ricorda, mai la vittima.
Le Mata*, che sono sorelle della madre terra: loro sono la terra e si nutrono di essa, mentre possono controllare qualsiasi cosa abbia a che fare con Madre Natura; parliamo di terra, pietre, alberi e molte volte loro riescono a parlare con gli animali e “comandarli”.
Le Atl*, coloro che invece di essere fuoco, sono acqua. Possono diventarlo, possono sprigionarlo e possono comandarla come a loro meglio piace. Un giorno – se ne incontrerai una – dovrai stare molto attenta: di solito a loro non piacciono molto le Ignis.
E infine, per la schiera delle streghe rosse, ci sono le Shu*, senza offesa, per me sono le più forti. Loro sono in grado di condizionare gli agenti atmosferici, possono magari diventare un fulmine e fulminare le persone, creare un acquazzone dal nulla, bruciare come il fuoco… racchiudono tutti e tre le categorie, ma sono le più rare. Quasi estinte, secondo me.
Per ora posso aiutarti io con vari allenamenti di auto-controllo, mentre aiuterò gli altri con questi frequenti attacchi, magari infondere una base a quei novellini e condurli sulla giusta via per “combattere”. Ma quando sarà finita Hogwarts, potrai cercare le tue consorelle e accrescere il tuo potere, renderlo parte di te, renderlo te » Anastasija non aveva quasi preso fiato in tutto quel discorso e se rimanere affascinati dalla sua voce era oramai un abitudine, rimanere incantati dal racconto era quasi d’obbligo.
Hermione era sempre stata affascinata dal sapere e conoscere quelle cose era meraviglioso: non sapeva nulla sulle streghe rosse, ma aveva intenzione di approfondire le ricerche, conoscerne di più.
« Lo faresti davvero? Aiutarmi, intendo » domandò Hermione, congiungendo le mani dietro la schiena e inclinando il capo: i ricci le accarezzarono le spalle, e le gambe si strusciarono tra di loro, coperte da un paio di pantaloni neri come l’onice.
Anastasija annuì, sorridendole con dolcezza e familiarità.
« Ma non credo che tu ne abbia bisogno… sei o non sei la strega più brillante di questo secolo? » ridacchiò Ana, mostrando i canini sporgenti e scoppiando in una risata cristallina.
« Ho passato molto tempo nell’ufficio della preside, mentre voi vi sollazzavate qui, sulla Torre. Naturalmente lei e Silente ti hanno elogiato fino all’inverosimile e sotto sotto anche Piton l’ha fatto… aggiungendo, però, complimenti del tipo “saccente so-tutto-io” e altri epiteti carini  » continuò, mentre Hermione alzava gli occhi al cielo e sorrideva.
« Non siamo mai andati molto d’accordo, sì » acconsentì la Grifondoro, accomodandosi al suo fianco e – quasi senza rendersene conto – spegnendo finalmente il fuoco che l’avvolgeva. Sospirò, rilassandosi e guardandosi le mani in cerca di scottature o altre lingue infuocate: niente, sembrava essere sparito come era apparso.
« Controllo, Hermione, hai bisogno solo di controllo » le raccomandò Ana, picchiettandole delicatamente una guancia.
« Su quello che ci siamo dette… può rimanere tra di noi? » domandò Hermione, mordendosi le labbra e guardandola interdetta. Non le piaceva tenere segreti con i suoi amici o in generale con le persone a cui teneva, ma quella volta era vitale che tutto quello rimanesse tra lei e Anastasija: Harry non avrebbe sopportato una sua possibile partenza una volta finita la scuola e lei non voleva ferirlo.
Per Draco… per Draco non lo sapeva, ma non era sicura che ci sarebbe rimasto male quanto il suo migliore amico.
« Silenzio di tomba » bisbigliò Anastasija, mimando di cucirsi la bocca e buttare la chiave. Hermione le sorrise, riconoscente, rilassandosi dopo due giorni di totale inferno e dubbio.
« Miseriaccia, Harry, perché non puoi aiutarmi? » la voce di Ron, dalla tromba delle scale, le raggiunse prima che comparisse, insieme ad un fracasso incredibile che solo la sua persona poteva portare.
« Tu ti dimentichi la bacchetta in dormitorio? Tu te le trascini in braccio, Rosso della malora » sbottò la voce di Draco, che fece sogghignare Hermione: era il solito, oramai cominciava a credere che i battibecchi gli piacessero più del consentito.
« Ammazzati, furetto »
« Dopo di te, donnola »
« Che Merlino vi fulmini, e basta, porco Salazar! » urlò Harry, comparendo esasperato alla porta della Torre Nord e chiedendosi cosa avesse fatto di male nella vita per meritarsi quei due alle calcagna.
« Questa si chiama “tensione sessuale”, ragazzi miei. Sfogate e adios, almeno non rompete le palle » disse Blaise, e dai rumori in sottofondo, Hermione, era sicura che qualcuno si era rifatto le scale con il culo per terra.
« Vi odio e dovete starmi lontani » sibilò Ron, apparendo alle spalle dell’amico con i capelli rossi scompigliati e una cassa piena di bottiglie tra le braccia. Draco, alle sue spalle, lo scimmiottò.
« Chi ti caga, Weasley » borbottò Blaise, con Theodore e Astoria a seguito. Tutte le bacchette dei “maschietti” erano puntate su altre casse, tutte galleggianti sulle loro teste ed Hermione arricciò le labbra: che intenzioni avevano? Sapevano, vero, che non ne sarebbero usciti vivi con tutta quella roba? Sospirò, scuotendo il capo.
« Finirete in coma etilico » disse, indicando le casse e arcuando le sopracciglia in un cipiglio severo. Draco le sorrise in modo sfavillante.
« Meglio in coma che in compagnia di questi decerebrati » rispose angelico, sbattendo civettuolo le ciglia bionde.
« Zitto e subisci, perché è la nostra stessa sorte, Serpe della malora » sibilò Harry, grattandosi la cicatrice e svaccandosi accanto ad Hermione, che gli accarezzò con dolcezza i capelli.
« Godetevi questi due giorni, perché poi inizieremo con gli allenamenti e non avrete così tanto tempo per ubriacarvi! » sghignazzò Anastasija, alzandosi dal divanetto e ticchettando con i tacchi alti fino alla porta. Ron la guardò con la bava alla bocca, Blaise le fece l’occhiolino e Theo arrossì vagamente, abbassando lo sguardo.
Harry, invece, sembrava immune alla sua bellezza: i suoi occhi smeraldini la guardavano con affetto fraterno, non con la solita malizia che qualsiasi uomo la guardasse sembrava possedere. Era dolce, come – a suo tempo – quando ancora in lui c’era qualcosa di umano, lo era stato Aleksej Romanov.
« Hai definito tutti i dettagli con la Mcgranitt, ecco perché sei sparita? » domandò, teneramente, con gli occhiali appena storti sul naso e il solito sorriso da eterno Peter Pan sulla bocca.
Ecco cosa adorava Hermione in lui: nonostante la guerra e le risme mentali, le persone perse e i sensi di colpa, Harry non perdeva mai quel lato da bambino eterno, che – insieme a Ron – l’avevano reso il suo migliore amico, quello che era in grado di farla sorridere anche quando il mondo andava in pezzi.
Hermione si accoccolò al suo fianco, pensando che le era mancato il suo profumo e le sue braccia calde, che la circondarono con dolcezza. Sì, decisamente le era mancato in tutto e per tutto, specie in quegli atteggiamenti intimi che solo loro condividevano.
« Sì, è così. Stiamo rifinendo le ultime cose e poi vi renderemo partecipi di tutto » rispose Ana, mandandogli un bacio volante e salutando tutti con la mano, mentre spariva per la tromba delle scale con un sono ticchettio. I ragazzi ricambiarono all’unisono, sentendo l’eco della sua risata spegnersi sempre di più.
« È successo qualcosa? » le mormorò Harry all’orecchio, mentre Ron si sedeva alla sua sinistra e gli altri prendevano posto sulle poltrone. Hermione scosse il capo, abbozzando un sorriso e sospirando sul suo collo: lui la strinse con più forza e Draco tossì sonoramente, guardandoli di traverso.
« Eh? Che c’è? Sei geloso, biondastro? » sibilò Harry, velenoso, mentre Hermione lo zittiva con uno scappellotto sulla nuca.
Il sole stava tramontando e non c’era spettacolo più bello di quello: i raggi aranciastri accarezzarono i loro visi, colorandoli e rendendoli più vivi, meno cupi, forse più allegri. Erano insieme, con l’odio incosciente che si prova per il compagno di scuola, con la malizia degli adolescenti, che cominciano a tastare il territorio, che cominciano a sentire i primi ormoni sballottare. Erano insieme, tastando l’amore, l’amicizia, il rancore e tutto andava bene, anche se faceva male.
Tutto andava bene.
« Di te? Ma non farmi ridere, Pottah! » sputò Draco, sogghignando e riavviandosi i capelli biondi. Strinse i denti, cercando di non lanciarsi su quell’idiota occhialuto di Potter e rompergli la faccia – come avrebbe voluto tutto l’Universo – e calmarsi.
In realtà, l’unico di cui avrebbe sempre avuto paura, era proprio Potter. Lui era l’unico che la conosceva affondo, che aveva condiviso con lei qualsiasi momento – intimo o no – e di conseguenza, era lui il pericolo più grande.
Lui, che ora la stringeva.
Lui, che ora si beava del suo sorriso.
« Ah – Ah, Draco, non si dicono le bugie » bisbigliò Blaise, beccandosi un calcio da Draco, che sorrise velenoso nella sua direzione.
« Ah – Ah, Blaise, tu invece parli troppo! » sibilò, carezzevole, mentre il ragazzo di colore bestemmiava in aramaico per il dolore.
« Spero che Hermione, un giorno, te lo stacchi a forza, con i denti » sbottò, mentre Hermione arrossiva e lo guardava scandalizzata. « Ehi! » sbraitò, offesa, colpendolo con la prima cosa che le era capitata per mano: il libro di Antiche Rune. Ottocento pagine. Rilegato in cuoio.
Blaise ululò dal dolore.
« Che il Barone Sanguinario beva del vino elfico dalla tua testa, donna maledetta! » strepitò, mantenendosi una gamba e la testa, presa in pieno.
« Ben ti sta! » borbottò Ron, aprendo una bottiglia di whiskey incendiario e disponendo i bicchieri sul pavimento, in cerchio « E mentre aspettiamo la Parkinson, beviamoci su! » disse, versando il liquido ambrato nei bicchieri e sedendosi sul pavimento freddo: venne seguito dai presenti, che si accomodarono a poca distanza l’uno dall’altro. Le loro ginocchia si toccavano, come i loro gomiti, ed era anche una bella sensazione restare così, a riscaldarsi, con la bocca tesa in un sorriso e le risate che portavano quei momenti.
Astoria non aveva ancora aperto bocca, come Theodore – più pallido del solito – e se la cosa era sospetta gli altri non lo diedero a vedere; quella era la loro notte, della loro vita, per dare un po’ di sfogo alla loro schifosissima adolescenza, che si mostrava a tratti.
« Al mio tre – disse Ron, afferrando il bicchiere tra le dita e ingoiando a vuoto. –
Uno – e qui tutti presero il bicchiere e lo alzarono a livello della bocca. –
Due – continuò, mentre tutti storcevano il naso per la puzza d’alcool. –
Tre!  » e tutti ingollarono il whiskey tutto d’un fiato, trattenendo i conati di vomito che salirono alla gola come un traverso di bile per il sapore acido della bevanda.
Hermione rabbrividì, posando il bicchiere e sorridendo stupita di quello che quei pazzi la portavano a fare: in fondo non avevano tutti i torti, perché no? Erano solo loro, quindi perché non bere e magari dimenticarsi per un attimo di essere quelli che avrebbero dovuto inforcare le bacchette e combattere? Perché no? Perché non sorridere come un ebete per una sera?
« Salazar, se faceva schifo! » borbottò Astoria, scuotendo il capo ripetutamente e scatenando l’ilarità in tutto il gruppo, tranne che in Theo.
« Già, fa proprio schifo » disse ironico, afferrando la bottiglia e riempiendosi nuovamente il bicchiere; Daphne era ancora in infermeria e si sentiva d’impazzire: aveva deciso di non volerlo vedere e Madama Chips quasi si era messa a fare la guardia per fare in modo che non entrasse di straforo.
Maledizione! Sarebbe impazzito di quel passo e avrebbe spaccato tutto, perché aveva bisogno di vederla, toccarla, sentirla. Aveva bisogno di guardarla, di accarezzarla, magari stringerla così forte a sé da sentirsi mancare.
« Passa, Theo! » borbottò Blaise, afferrando la bottiglia e riempiendo nuovamente tutti i bicchieri, mentre Theodore già beveva tutto d’un fiato e rimediava l’ennesimo giro.
« Non essere triste, lei si riprenderà presto » la voce di Draco si sentì appena, fu quasi come un soffio all’orecchio di Nott, che alzò di scatto gli occhi blu sull’amico, che gli sorrise o – come sempre – sogghignò.
« Lo so » rispose, abbassando il capo e trattenendo il vomito quando Astoria gli strinse il braccio con dolcezza, impalpabile come sempre. Avrebbe trovato il modo – se lo era giurato – di avvisare tutti.
Non sapeva come, ma ci stava lavorando: Astoria poteva averlo incastrato come voleva, ma niente l’avrebbe fermato, nemmeno lei e i Santi. Non si erano fermati a Lord Voldemort, non si erano sottoposti alla loro famiglia e alla morte vicina e non l’avrebbero fatto nemmeno con loro.
« Ron, ricordi quella volta che dormimmo tutti e tre nello stesso letto ed Harry – per vendicarsi del calcio che gli menasti nel sonno – ti infilò un ragno finto in bocca? Per calmarti ci vollero tre ore d’orologio e una pozione della Pace da parte di tua madre » rise Hermione, al ricordo di quella sera alla Tana.
Le orecchie di Ron divennero scarlatte come la maglia che indossava Hermione e arrossì dalla punta dei capelli fino a quelle delle scarpe: la ragazza si morse le labbra e – senza riuscire a trattenersi – scoppiò a ridere.
In realtà era ancora arrabbiata con lui, ma in quel momento davvero non ce la faceva a tenergli il broncio: aveva una faccia troppo divertente! « Ricordo anche quando George appese un lenzuolo sporco di sangue fuori dalla finestra dove dormivate tu e Ginny urlando per caso che avevi appena perso la verginità e che Ron era diventato finalmente un uomo » disse Harry, scoppiando miseramente a ridere al ricordo della faccia di Molly Weasley. George era stato messo in punizione per una settimana – nonostante avesse venti e passa anni – ma ne era valsa davvero la pena.
« Eppure, dalle fiamme dell’altra notte, sembra proprio che quel lenzuolo avrebbe dovuto appenderlo Draco  » borbottò Blaise, angelico, beccandosi un occhiataccia dall’intero gruppo: cercò di proteggersi dai cazzottoni che cercavano di mollargli a comitiva. Bastardi, facevano le ammucchiate!
Draco la guardò di sottecchi, ma lei ricambiò pienamente lo sguardo: aveva le labbra lucide e rosse, ancora sporche di whiskey e le guance rosee, mentre Blaise le riempiva l’ennesimo bicchiere e lei lo ingollava ferocemente, come se le piacesse.
Sorrideva, come se non avesse un pensiero al mondo e lo faceva meravigliosamente: i denti brillavano come la pelle pallida e la seconda bottiglia venne stappata. Non avevano più parlato dell’altra sera, in realtà sembravano volersi evitare, ma Draco sapeva che era tutto apposto: lo vedeva nei suoi occhi, nel desiderio che vigeva nel suo sguardo come nel proprio, quasi bisognoso di lei.
« … Voglio volare » borbottò Harry, alzandosi di scatto con un scintillio malvagio negli occhi.
« Volare? » domandò Draco, il cui sguardo si era appena acceso.
Harry annuì.
Draco sogghignò.
« Accio scope! » urlarono all’unisono, con le bacchette puntate in avanti e – come si aspettarono – le scope volarono tra le loro mani con estrema velocità. Draco afferrò la bottiglia di vodka assoluta – regalo da parte di George – e si mise in sella alla sua Firebolt, seguito a ruota da Harry, che afferrò – si manteneva leggero, lui – una birra bionda.
« Ehi, Granger… ti fidi di me? » gli occhi di Draco brillavano mentre le porgeva la mano, dalle dita lunghe e pallide, da pianista.
Hermione rise, scuotendo il capo « No, certo che no! Che domande fai, Malfoy? » disse, divertita, mentre lui ammiccava sensualmente.
« E fai bene! » mormorò, prima di afferrarla di slancio e caricarsela – come un sacco di patate – proprio sulle gambe.
Hermione urlò, aggrappandosi al suo mantello e Draco scese in picchiata, seguendo la tromba delle scale a rotta di collo, con Harry alle calcagna. Sganasciato dalle risate la vide nascondere il volto nel suo maglione, ma la sentiva ridere: alcuni singulti le scuotevano le spalle, mentre sentiva i denti contro la lana soffice dell’indumento che indossava.
Tremò, tracannando l’ennesimo sorso di vodka e sterzando per evitare che si schiantassero contro Pansy, che sembrava apparsa dal nulla: Hermione urlò nuovamente, insultandolo « Rallenta, maledizione! » sbraitò, senza venire ascoltata minimamente. Con la coda dell’occhio, Draco, vide Potter afferrare Pansy per un braccio e caricarsela dietro, mentre la mora sgranava gli occhi dal terrore e lo guardava come se fosse impazzito.
« Fammi scendere, porco Salazar, fammi scendere! Oh Merlino santissimo, Potter, se non vuoi che ti ammazzi, fammi scendere! » la sentiva sgolarsi, mentre Harry rideva come un pazzo, frenando all’improvviso e partendo nuovamente come un razzo.
« Cerca di non farti beccare, Sfregiato e… chi arriva prima all’entrata della Sala Grande vince! » disse Draco, aumentando il tono per farsi sentire e accelerando – con sommo terrore di Hermione. – E forse, proprio per la paura o perché era già mezza ubriaca – afferrò la bottiglia e ne bevve un gran sorso, trattenendo un brivido di disgusto.
Draco rise nuovamente, stringendola con forza – quasi come se non ci fosse un domani – e facendo girare la scopa a trecentosessanta gradi. Hermione strillò come un invasata, mentre la vodka si versava lungo le scale e lei vedeva il mondo sottosopra: sentiva le braccia di Draco tenerla forte a sé, mentre i capelli rimanevano sospesi a mezz’aria, come una cascata.
« Io già lo so. Che ti fidi di me, intendo » respirò al suo orecchio, sulla sua pelle, facendola rabbrividire e salire tutto quello che si era bevuto dritto alla gola: aveva voglia di vomitare, di baciarlo e magari fingere che là fuori non c’era nessuna guerra.
Il mondo tornò normale e Draco ricominciò a correre: Harry li sorpassò, ma andò a destra, mentre l’altro svoltò a sinistra, evitando di schiantarsi contro qualche albero o passare di striscio per il terzo piano, che sembrava il preferito di Gazza.
« Vomiterò, sono sicura che vomiterò » balbettò Hermione, zittendosi nel sentirlo ridere. Lo faceva veramente, mostrando i denti e buttando la testa all’indietro, mentre gli occhi si riducevano in due spilli e brillavano dalla gioia. O dalla pazzia. Ma ad Hermione, in quel momento, piacevano entrambe.
« Ci schianteremo… o peggio, ci espelleranno! » urlò, aggrappandosi al suo collo e allungando la sua risata.
« È l’ultimo anno, Hermione, apri gli occhi e goditi la vista! » le rispose, eccitato, mentre un quadro gli urlava dietro per averlo spaventato a morte. Draco scese una nuova rampa di scale e lei – finalmente – guardò lo spettacolo che le si presentava dinnanzi agli occhi: ogni forma o cosa era indistinguibile, c’erano solo macchie di colore e profumi sfumati che le arrivavano all’olfatto.
C’era solo Draco e i suoi capelli biondi. Draco e il suo sorriso divertito. Draco e il suo profumo prepotente, che la sera prima aveva rischiato di farla impazzire. Hermione urlò, ma questa volta rise anche, mentre l’adrenalina superava l’eccitazione.
Le sue mani, la sua bocca tra i capelli, le gambe quasi intrecciate tra di loro: i respiri ansanti e la corsa che accelerava sempre di più, scavalcando quasi le leggi della fisica, della ragione. Risero all’unisono, aggrappandosi l’uno all’altro.
Draco frenò all’improvviso ed Hermione si accorsa che erano i primi ad arrivare: avevano vinto. « Non merito nemmeno un bacio della vittoria? » mormorò Draco al suo orecchio, mentre lei gli faceva la linguaccia, come una bambina.
Sentiva la testa girare come una trottola e la nausea aumentare e la sensazione aumentò quando Draco le posò le labbra sul collo, e le sentì morbide, vellutate; erano le stesse che si erano posate alla valle dei suoi seni, sulla sua bocca. Tremò, aggrappandosi ancor più forte a lui.
« Al diavolo la vittoria, Granger! » bisbigliò, afferrandole con forza il mento e baciandola con trasporto. Hermione si aggrappò alle sue spalle, intrufolando la lingua nella sua bocca e sospirando sulle sue labbra schiuse.
Era strano come il diavolo in persona potesse regalarle l’entrata in paradiso, assicurandole un posto in prima fila. Hermione si staccò, riprendendo fiato e scese dalla scopa, indietreggiando e ondeggiando – ubriaca, felice, se stessa – con i ricci che le ricadevano sulle spalle, gli occhi accesi dal desiderio. « Prendimi, se ci riesci » soffiò, scoppiando a ridere e cominciando a correre.
Draco lasciò cadere la scopa sul pavimento, scavalcando il pezzo di legno e lanciandosi all’inseguimento della Mezzosangue, mentre teneva la bottiglia stretta tra le dita pallide; vedeva le sue gambe strusciarsi l’una contro l’altra, le guance rosse, le labbra schiuse e ancora gonfie per il bacio che le aveva rubato prima.
Vide i suoi polpastrelli accarezzare il muro alla sua destra e i suoi passi ondeggiare, ogni tanto frenare: Hermione svoltò un corridoio, divertita, e si infilò in uno stanzino per le scope. Era vuoto, probabilmente Gazza l’aveva ripulito da tempo, e c’era solamente una sedia malandata, mezza nell’angolo – probabilmente rotta e abbandonata lì dal custode. –
C’era buio pesto, ma ci pensò Hermione ad illuminare ogni singolo angolo di quella stanzetta: prese di nuovo fuoco e questa volta, avvolta dal riverbero rossastro delle fiamme, apparve quasi inquietante ai suoi occhi. Ma era bella, diavolo, se lo era.
I suoi occhi bruni brillavano di una brama che gli fece tremare le vene nei polsi, mentre quelle labbra – che non avrebbe mai smesso di baciare, su cui sarebbe morto e risorto altre mille volte – si tendevano in un sorriso sinistro, sensuale, che non aveva mai visto sul viso di Hermione Granger. Ma quanto poteva dire di conoscerla? Nessuno, nessuno poteva dire di conoscere del tutto una persona, nemmeno quando questa si spogliava dalle paure, dai segreti più reconditi e oscuri; eppure la desiderava anche così, anche con quel lato buio che lo infiammava terribilmente, facendogli quasi perdere il senno.
« Guardami  » bisbigliò lei, roca. E lo stava facendo, la percorreva centimetro per centimetro, quasi come un assetato nel deserto. La sua pelle serica, il seno che si alzava e abbassava – per il respiro accelerato, per la corsa, per il fuoco che le incendiava l’anima – , accentuando la rotondità dei seni, le cosce e il volto, la cosa più meravigliosa che avesse mai visto. Che avrebbe mai voluto vedere. Il ciondolo che le aveva regalato riposava tra la valle dei suoi seni e l’accarezzò con lo sguardo, avvicinandosi lentamente, quasi come un rapace.
« Draco » mormorò Hermione, quasi supplicandolo con la voce.
Impazzì.
Impazzì di lei e delle occhiate che gli lanciava, quasi inconsapevole, ancora ubriaca.
Lasciò cadere la bottiglia sul pavimento, mormorando un incantesimo che sigillasse la porta e li rinchiudesse dall’interno – senza permettere a nessuno, dall’esterno, di poter entrare – mentre il fragore di cocci rotti rimbombava tra quelle mura spoglie e il liquido incolore si spargeva sul pavimento di pietra grezza.
Draco non ebbe paura delle fiamme e si avvicinò ancora di più, schiacciandola al muro con il proprio corpo: il calore non lo toccò e nemmeno una bruciatura comparì sulla sua pelle. Non aveva paura delle fiamme, no, finché le sprigionava lei non ne avrebbe mai avuto paura.
Poggiò il palmo aperto sul suo petto, dove il cuore batteva all’impazzata.
Un battito.
La baciò con prepotenza, mordendole con forza il labbro inferiore e succhiandolo avidamente, mentre lei gemeva contro di lui, buttandogli le braccia al collo e facendo in modo che le fiamme li avvolgessero interamente, come da scudo – come se, in un certo senso, fosse sprigionato dalla loro libidine. –
Due battiti, frenetici.
Draco si sedette sulla sedia malandata, trascinandosi Hermione, che si sedette a cavalcioni su di lui; questa volta si addolcirono e le loro mani divennero tenere, malinconiche, si assaporarono quasi con strazio.
La bocca di lui si staccò dalla sua, riprendendo fiato e scendendo lungo il collo, sulla gola – mordendola dolcemente – fino ad arrivare alla valle dei seni: lì, quasi smanioso, si staccò solo per toglierle la maglia rossa. L’ammirò interamente, mordicchiando il cotone candido del reggiseno bianco che indossava, spingendo i pollici nelle costole e beandosi dei suoi gemiti, che erano un misto di piacere e dolore.
Com’erano loro, insomma.
Le fiamme si attenuarono e la lingua di Draco guizzò lungo il suo torace, arrivando all’ombelico, mentre lei lo staccava da sé per liberarlo dal mantello e dal maglione, mordendolo sulla scapola sinistra con forza.
« Hermione, Hermione, Hermione » ripeté lui, come una nenia, stringendosela contro fino a far mancare il respiro ad entrambi. Le loro ossa s’incastrarono, mentre le loro membra quasi lottavano per collidere tra di loro.
Hermione si alzò e Draco le sbottonò i pantaloni, accompagnando la loro scesa lungo le gambe con una carezza, baciandole l’interno coscia, il ginocchio, mentre lei si sfilava le scarpe da ginnastica con un gesto brusco.
Hermione, Hermione, Hermione. Oramai la sua mente non sapeva pensare altro e credeva davvero d’essere impazzito. Completamente, perché lei oramai le aveva tolto il sonno. Irreversibilmente, perché non c’era modo di scappare, era una gabbia e all’interno vi ci era chiuso da solo e ci stava anche con piacere.
Era legato a lei, ora, e non poteva più scappare. Non voleva scappare.
I suoi pantaloni fecero la stessa fine di quelli di lei e finalmente la loro pelle entrò in contatto, nuda, bruciante, vogliosa sempre di più; Hermione lo baciò ancora e ancora, rubandogli persino il respiro e regalandogli il suo, pieno di speranze, pieno di un amore che – in diciassette anni di vita – non aveva mai conosciuto.
Lei gli graffiò le spalle e lui penetrò secco, spingendo il suo capo contro il proprio per continuare a baciarla e tappare l’urlo che stava per uscire dalla sua bocca.
Hermione, Hermione, Hermione.
La sua mente era in grado di formulare un altro pensiero, qualcosa di diverso da quei capelli ricci, da quelle labbra che sapevano d’alcool e amore; com’erano arrivati a quello? A dipendere dalla bocca dell’altro, a non riuscire a restare separati. In quei mesi era cambiato tutto, eppure tutto era rimasto uguale.
E mentre i loro corpi continuavano a muoversi in sincrono e il piacere si mescolava al dolore, Ron, Blaise, Theodore e Astoria si guardavano nelle palle degli occhi e lasciati soli in quella sbronza colossale si buttarono sul poker… e ne uscirono delle belle.
Ronald riempì un posacenere da solo, bevendo e fumando come un turco, mentre Blaise stava scommettendo tutto il suo patrimonio e Theodore bestemmiava in turco per tenersi lontana Astoria, che non cagava di striscio il suo comportamento antipatico e sgarbato.
E iniziava il gioco: Ron diede le carte e Blaise si accese una canna con faccia nevrotica, tirando così tanto dal nervoso fino a strozzarsi e formando una nuvoletta di fumo che riuscì a sballare perfino i quadri appesi alla parete.
« Non barare » sibilò il rosso, verso il Serpeverde con un cipiglio severo e da gran duro. Blaise sogghignò. Ron assottigliò lo sguardo e la partita iniziò; c’era una cosa da dire sul gioco d’azzardo, lì ad Hogwarts, ed era che i figli di Babbani – ogni venerdì sera – dopo la cena e le lezioni, mettevano su un vero e proprio circoletto per dementi, come li aveva apostrofati acidamente Hermione anni prima.
E il vero divertimento – almeno a Grifondoro –   era insegnare ai Purosangue le regole basilari, facendo credere loro che fosse facile, e metterli nel sacco giocandosi il tutto e per tutto; Ron aveva perso tanti di quei galeoni con Dean Thomas che avrebbe potuto sfamare l’intero Congo e non erano tutti soldi suoi… nemmeno sapeva quanti debiti aveva con Harry, povera anima pia.
Blaise aveva imparato con Draco e Theodore grazie ad alcuni Corvonero e sapevano che ora era guerra aperta. Le facce diaboliche che avevano assunto quei due bastardi erano da ridere, ma erano serie da fare schifo, ‘manco stessero praticando Occlumanzia o altre tecniche per oscurare i pensieri all’altro. Theodore li guardò schifati.
« Passami quella maledetta birra, Nott, che qui si fa notte » mugugnò Ron, lamentandosi, e Theodore gliel’avrebbe lanciata volentieri dietro la testa, ma evitò la discussione sul nascere e si limitò a passargliela e tenerne una per sé.
Erano tesi come corde di violino e Blaise non fece nemmeno una delle sue solite battutacce, cosa che sbalordì non poco i due poveri disgraziati presenti, che dovettero sorbirsi tutta la partita con tanto di occhiatacce e insulti, bestemmioni e oggetti lanciati da una parte all’altra.
Quando verso le tre quei quattro barboni rientrarono, con tutti i vestiti stropicciati, Hermione tutta ubriaca che a malapena si reggeva in piedi e Malfoy che aveva la faccia più beota mai vista sulla faccia della terra, trovarono Zabini a ballare… mezzo nudo. E certo, signori e signori, Blaise Zabini toccò letteralmente il fondo quando si abbassò i pantaloni e s’infilò i boxer nel sedere, ballando col culo all’aria e sculettando al limite della decenza.
« Ho vinto, ho vinto, ho vinto e ho vinto! » urlò, facendo volare i pantaloni dall’altra parte della sala e poggiando i palmi sulle ginocchia, dando modo al suo sedere di muoversi con più sensualità.
Harry per poco non vomitò tutto quello che si era scolato, anche perché il volo non aveva di certo aiutato l’alcool a digerire meglio: beccò Malfoy con la sua scopa sulla testa, restituendola al proprietario dopo averla trovata in Sala Grande senza l’idiota e la sua migliore amica – e dal loro aspetto sospettò che avessero festeggiato la vittoria a modo loro. –
Era da manicomio, perché Ron crollò con la faccia contro il pavimento, maledicendo tutta la sua progenie e quella sfiga che – quando si trattava di lui – sembrava infilarsi i maledetti occhiali a culo di bicchiere di Potter.
« Vi odio, vi odio tutti » disse, battendo ripetutamente la testa, mentre Hermione scoppiava a ridere indecentemente, crollando seduta sul pavimento per tenersi la pancia.
« Blaise, ti prego, calmati » ma il ragazzo di colore sembrava davvero su di giri, perché – con le scarpe da ginnastica e i calzini neri alzati fino alle ginocchia – aprì la porta della torre e cominciò una maratona… che quel gruppo mal assortito non dimenticò nemmeno negli anni avvenire.
« Blaaaaaaaaaaaise! Porco Merlino, sei nudo, torna qua! » sbraitò Draco, correndo alle spalle dell’amico con i capelli ritti in testa all’idea di essere beccati dalla Mcgranitt in una situazione del genere.
Quel bastardo di Blaise sembrava – nonostante i litri di vodka che si era scolato – impossibile da acciuffare: correva come un invasato, con i capelli neri al vento e l’espressione vittoriosa di chi ha sconfitto Lord Voldemort e intanto allargava le braccia, facendo venire un traverso di bile al biondo, che lo seguiva come un pazzo scappato dal reparto igiene mentale del San Mungo.
« Porc… sta andando verso l’ufficio di Gazza, deficiente, acchiappalo! » sibilò Harry, ma troppo tardi: la porta di mogano si aprì di botto e Blaise ci finì proprio dentro, schiantandosi dentro come un idiota. Come nei cartoni animati – che Harry aveva tanto visto da bambino – scese lentamente verso il basso, con il volto spiaccicato contro la porta e le chiappe al vento, cadendo al suolo con un tonfo sordo.
Avevano fatto tre piani di corsa e avevano il fiatone, ma la faccia tramortita di Blaise, quella pallida del custode e la situazione in cui si erano cacciati diedero ai due nemici di sempre il fiato per scoppiare a ridere come due beoti, accasciandosi sul pavimento di pietra insieme all’amico e sganasciandosi dalle risate, alla faccia del moro che aveva perso i sensi.
« Studenti fuori dai dormitori, studenti fuori dai dormitori! » urlò Gazza, indicando terrorizzato il sedere scuro di Zabini completamente scoperto e questo insospettì Harry: se avesse riconosciuto gli studenti li avrebbe già afferrati per le orecchie e trascinati dalla preside, aspettando solo una punizione per poterli appendere per i pollici nelle segrete… ma no, gridava semplicemente “studenti fuori dai dormitori” con una faccia disgustata e anche rossa, cercando di non fissare Blaise mezzo nudo.
« Infilati il cappuccio in testa, Malfoy! Gazza non ci ha riconosciuti » bisbigliò Harry, seguendo il suo stesso consiglio e afferrando Blaise per le gambe: in un nano secondo se lo caricò sulle spalle, mentre Draco gli faceva un cenno affermativo « Io a destra e tu a sinistra, cerchiamo di distrarlo » mormorò il biondo serpente, e prima che il custode capisse cosa stava succedendo, Draco gli menò una spallata che quasi lo mandò a gambe all’aria: Harry prese la parte opposta e Gazza ritenne più opportuno inseguire a rotta di collo l’idiota che l’aveva urtato con l’esatta intenzione di fargli male.
« Fermati, disgraziato, fermati! » lo sentiva sbraitare Harry, mentre girava a destra per prendere le scale del dormitorio dei Tassorosso e arrivare più velocemente alla Torre. Ma se la fortuna gli aveva sorriso per il giro in scopa, non aveva atto lo stesso quel momento, perché sull’ultima scalina del terzo piano, la vestaglia scozzese – sempre uguale – della preside Mcgranitt spiccò nel buio… e venne trascinato nel suo ufficio senza una scusa che giustificasse la sua corsa con uno studente mezzo nudo, ferito e ubriaco marcio, Serpeverde, sulle spalle.
E furono guai.
 
« Come avete osato? Mai e dico mai, da quando insegno in questa scuola, è successa una cosa tanto deplorevole… e stupida! »
Erano passate oramai due ore da quando Draco l’aveva scampata da Gazza ed era stato convocato nell’ufficio della vecchiaccia grazie a quello spione di Potter e cominciava a stracciarsi letteralmente le pluffe.
Draco sapeva che la donna stava mentendo: ai tempi dei gemelli Weasley e ancor prima i Malandrini, erano state fatte cose peggiori… ma naturalmente quelli erano Grifondoro, mentre quello trovato in mutande era rigorosamente – anche se fuori di testa – Serpeverde.
« Siete in punizione… tutti e tre! » sbottò, mentre Harry e Draco si chiedevano che volesse proporre più, visto che già convivere a stretto contatto era già grave di suo.
Poi sembrava aver visto le loro facce, perché con un gesto brusco indicò la scatola di biscotto di fianco a parecchi gingilli strani. Harry fu il primo a prenderne due, pizzicando la gamba di Malfoy per intimargli di prenderne uno pure lui; Draco alzò gli occhi al cielo: prima li insultava, poi offriva biscotti e poi li metteva in punizione.
Certo che era strana.
« Dopo Natale, d’accordo? Vi farò godere queste vacanze in santa pace e poi, appena iniziano le lezioni, luciderete per bene ogni angolo del castello… perché considero indecorosa la sfida che avete lanciato a Zabini e ritenetevi fortunati che non vi ho sospeso » disse, quasi sadica, facendo venire uno stocco ad entrambi, che si appuntarono mentalmente di fucilare Zabini appena fosse sveglio.
« Sicuro che stia bene? È ancora svenuto… » mugugnò la Mcgranitt, guardando con faccia disgustata uno dei suoi studenti sbavare indecentemente. Aveva lasciato perdere quando Harry l’aveva supplicata di non usare l’Innerva, perché quello era ubriaco da fare schifo e si sarebbero beccati una punizione ben più corposa se la preside l’avesse scoperto.
Se ne tornarono nella torre tutti mogi e trovarono lo sfacelo più totale: Ron sbavava proprio come Blaise – ed Harry a quel punto si chiese quanta roba di erano scolati da soli – e ronfava allegramente sulla pancia scoperta di Hermione, sdraiata di schiena sulla moquette con i ricci sparsi e le braccia e le gambe allargate, come se prima di crollare avesse avuto intenzione di fare un angelo di neve; Theo dormiva accuccio lato in angoletto, mentre Astoria – la più lucida di tutti – aveva optato per il divano.
Pansy, povera anima pia, che dopo essere stata trascinata in scopa ed essere stata costretta da un Ron spiritato a fare una partita di poker, dormiva su una poltroncina con le ginocchia portate al petto e il capo posato sullo schienale.
Draco mollò senza grazia il suo amico sul pavimento, facendogli battere la testa con forza e svegliandolo di colpo, mentre schioccava la lingua, furibondo « Brutto bastardo fedifrago! » sibilò, giusto per non svegliare la Granger, mollandogli un calcio ben assestato nelle costole.
Blaise, ancora ubriaco e tutto assonnato, gemette, senza reagire. Fu tempestato di pugni e calci e lasciato lì con un cane, con nemmeno la forza di strisciare come un verme: Draco alzò il viso con alterigia, calciando via Weasley dalla sua Mezzosangue e prendendosela in spalla, trascinando entrambi nella sua camera; la stessa cosa fece Harry, sospirante, che tanto per aver visto quella scena rimollò un calcio a Blaise e prese – tanto per sfregio e perché gli dispiaceva vederla rannicchiata in quel modo – Pansy tra le braccia, rintanandosi gufando nella sua camera.
E finì così la serata di quei beoti, ubriachi fino al midollo e stupidi anche peggio e quando la mattina dopo – all’ora di pranzo, a dire il vero –  si svegliarono nella Torre regnò il silenzio più assoluto: i magnifici sette si rivolgevano la parola bisbigliando, camminavano con una faccia bianca cadaverica per la torre e pregarono gli elfi – felicissimi anche – di servire la colazione lì, nel silenzio più assoluto.
Harry per poco non baciò in bocca la sua migliore amica dopo che questa cacciò degli analgesici Babbani per il mal di testa, beccandosi un calcio negli stinchi da Draco, che sibilò velenoso nella sua direzione, come un vero serpente.
Blaise aveva la faccia di un cadavere sull’orlo del collasso, con due occhiaie che facevano concorrenza con quelle di un vampiro e Ron non era conciato diversamente.
« Abbiamo ancora altra roba… » alitò proprio quest’ultimo, fissando le altre tre casse accatastate in un angolo.
« La finiamo questa sera, in una sfida » bisbigliò Blaise, che era un ammasso di lividi irriconoscibile. Naturalmente non ricordava nulla della sera prima, ma qualche bastardo  a caso – Theodore Nott – gli aveva scattato una foto che lo ritraeva mezzo nudo correre giù per la rampa di scale, con quei due alle calcagna che lo avevano ridotto in quello stato.
« Rivoglio tutti i soldi » sibilò Ron, sdraiato sulla moquette con un panno avvolto nel ghiaccio posato sulla fronte. Blaise, steso sul divano, sogghignò. « Meglio riformulare la frase: riperderò tutti i soldi » lo scimmiottò il ragazzo di colore, beccandosi uno scappellotto da Hermione, che di sentire delle loro beghe proprio non ce la faceva più.
Si alzò di scatto, mandando al diavolo tutti quanti – anche Harry e Draco, che non centravano e niente e la guardarono con tanto d’occhi – e uscì di scena, borbottando come una teiera per essersi presa una sbronza con quegli idioti e aver evitato di essere espulsa per un pelo.
Continuò a borbottare improperi fin quando non arrivò nell’ala ovest del castello, nei pressi della Torre di Astronomia, dove sapeva trovarsi le stanze di Anastasija. Completamente nascosta agli occhi di tutti, a pochi passi dalla classe della Cooman, c’era lei. La porta appariva solamente agli occhi di chi sapeva della sua permanenza al castello ed Hermione vide parecchie rifiniture d’oro comporre un grosso disegno: un drago dalle grosse ali bianche, che si muoveva sinuoso tra nuvole bianche – raffigurate ad arte. –
La ragazza si morse con forza le labbra, sospirando: i suoi piedi l’avevano condotta lì senza che nemmeno se ne fosse resa conto e la cosa cominciava a farsi seria; la voglia di prevalere su tutti stava crescendo prepotente in lei, senza nemmeno darle il tempo di pensare lucidamente.
Bussò, sperando che la vampira non stesse facendo nulla di importante da poterla disturbare e aspettò. La porta si aprì, rivelando i capelli rossicci della donna e il volto giovane e perfetto di Ana, che si spostò di lato per entrare.
« Stai bene, piccola? » domandò, sorpresa di ritrovarsela in camera.
Era tutto buio, lì, ma Hermione riusciva a vedere perfettamente la stanza da letto che la circondava: la pietra grezza non dava un aspetto più grossolano all’arredamento elegante, anche se a modo suo. Il letto a baldacchino, accarezzato da tende di velluto rosso sangue, torreggiava al centro della stanza, costruito da legno così scuro da tendere al nero. Una scrivania accanto all’arcata immensa di fronte all’entrata era immersa da scartoffie e cartelle, il legno era dello stesso colore del letto, dove c’era accostato un baule abbastanza grande.
Tende rosso sangue ricoprivano le arcate e ad occhio erano di velluto anch’esse, poi un piccolo comò e un frigo in fondo alla stanza che fece corrucciare Hermione: che diavolo ci faceva un frigobar nella stanza di un vampiro? pensò scioccata, sbattendo ripetutamente le lunga ciglia.
« Scusa se ti disturbo, Anastasija, ma… volevo parlarti di alcune cose che riguardano i Santi » mormorò Hermione, mentre la ragazza l’invitava a sedersi sul letto e si dirigeva verso il frigo: sotto lo sguardo basito di Hermione afferrò una tazza di ceramica, cominciando a sorseggiare lentamente.
« Non sapevo che… si beh, che i vampiri bevessero » borbottò la riccia, mentre Ana sogghignava sinistramente.
« È sangue. Non fare quella faccia, sono donazioni che riesco a procurarmi in sordina  » disse, agitando la mano come per scacciare una mosca molesta.
« Buon appetito, allora – e qui una faccia disgustata da fare schifo – comunque, tornando a noi, forse ho capito quando ci attaccheranno… direttamente » disse Hermione, mettendo la vampira sull’attenti.
« Avremo una lunga giornata, allora » sbuffò Anastasija, sedendosi a gambe incrociate sul letto e guardandola attentamente.
Uscirono da quella stanza alle otto di sera, quando oramai era scesa la notte e – con la luna piena e rossa – tra le vie di Londra, qualcosa di più.
 

***

 
Fuoco e fiamme, ecco cosa lasciarono i Santi al loro passaggio. Nello Yorkshire, in una delle sue tante lande desolate,  una piccola villetta fu rasa al suolo: niente fu lasciato al caso, nemmeno il buco nero – dove prima risiedeva l’abitazione – che raffigurava una grossa S infuocata.
Aleksej sogghignò, pulendosi la bocca sporca di sangue e guardando l’operato con espressione soddisfatta. Tutti morti, perfino gli elfi erano stati sgozzati senza risentimento, mentre i bambini erano stato un blando pasto per lui e alcuni dei suoi amici.
« Ben fatto, signori! » sibilò, battendo le mani ai presenti e ridendo apertamente, come se non avesse appena ammazzato una famiglia di otto persone, bambini compresi.
Con quell’ultimo ghigno presente sulle labbra si materializzò, senza sapere di avere scatenato una reazione a catena che non avrebbe più potuto fermare.

Io sono di legnoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora