2. Capitolo I - Caput Draconis

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"La perplessità è l'inizio della conoscenza"
( Kahlil Gibran)






Hogwarts era ritornata allo splendore iniziale: le sue torrette svettanti, il Platano Picchiatore e la piccola radura che precedeva il Lago Nero, erano stati ricostruiti con dedizione, come se il fuoco non avesse mai lambito ogni singola pietra della scuola di magia e stregoneria, come se gli incantesimi e i giganti non avessero distrutto ogni statua o cosa che si fosse trovata sul loro cammino.
I mattoni, i gargoyle, gli alberi secolari e ogni quadro erano ritornati al proprio posto, suscitando - ancora, di nuovo, - le stesse emozioni di anni fa, quando uno studente varcava la soglia di quella che sarebbe diventata casa.
Quel giorno, il sole delicato di settembre, accarezzava la magia che vezzeggiava in quel luogo - che poteva respirarsi a pieni polmoni - e i visi degli studenti, maturati dopo la guerra, distrutti dopo la battaglia.
Molti studenti si erano riversati fuori dalle mura, ridendo, ma solo due visi non sorridevano. Solo due visi si guardavano, lasciando che il vento portasse via il sapore acre della sconfitta. Del dolore.
« Sì, insomma, credevo che... » balbettò Ron Weasley, imbarazzato, grattandosi la fronte con un sospiro, mentre le orecchie diventavano scarlatte e il viso andava in fiamme. Si fronteggiavano, uno di fronte all'altro, e lui quasi non aveva il coraggio di guardarla negli occhi.
Le arcate proiettavano appena la propria ombra su di loro e pochi metri li dividevano dall'entrata... per poter scappare. Più velocemente possibile. Ma ancora nessuno dei due si era mosso, forse per potersi ferire di più. Forse per farsi male di meno. Insieme o no, lo sapevano entrambi, si sarebbero feriti lo stesso.
« Lo so » sospirò Hermione, stringendosi i libri al petto e ignorando le spalle del suo ragazzo rilassarsi impercettibilmente. Si vedeva lontano un miglio che voleva trovarsi dappertutto tranne che lì, a dirle quello che proprio non riusciva ad uscirgli dalle labbra.
Non era una sorpresa quel comportamento: quando si trattava di ferirla, Ron cercava di radunare tutto il tatto possibile, che poi si trasformava in dolce goffaggine, intenerendola.
« Lo sai? » domandò Ron, guardandola curiosamente.
« Oltre ad essere la strega migliore del nostro secolo - modestia a parte - posseggo quello che viene chiamato intuito femminile, Ronald » continuò Hermione, sorridendogli in un modo che voleva essere incoraggiante, anche se le riusciva a stento. Sentiva il volto congelato e la schiena così rigida che - se si fosse impuntata ancor di più - si sarebbe spezzata in due parti. Come un ramoscello. Lei, spezzata dall'amore. Era possibile? Poteva succedere che, una donna intelligente e acuta come lei, finisse per innamorarsi e rimanerne ferita?
Hermione strinse ancor di più il libro di pozioni al petto, quasi solcando la copertina di cuoio con le unghia lunghe.
« Ho capito quello che volevi dirmi ancor prima che mi trascinassi fuori dalla biblioteca » finì, questa volta sospirando afflitta.
Aveva capito tutto quello che lui voleva dirle ancor prima che la precedesse per i corridoi, senza nemmeno prenderla per mano.
Aveva sentito il cuore incrinarsi appena un po' quando lui le aveva sussurrato "devo parlarti" senza sorriderle, senza afferrarla e stringerla in un abbraccio; lui era così delicato quando si trattava di tenerla forte a sé, anche se, nonostante la presa su di lei, Hermione l'aveva sentito perennamente sfuggevole, simile al fumo che scivola dalle dita.
Era così stanca di rincorrere qualcosa che non si sarebbe mai lasciata afferrare, di qualcuno che non aveva bisogno di lei, di quel che era, ma dell'immagine che dava. Aveva bisogno di qualcuno che sarebbe rimasto, anche se non per sempre - non aveva mai avuto quella presunzione - ma almeno quell'attimo in cui avrebbe sentito il cuore battere all'unisono con il suo.
« Mi dispiace, Herm » mormorò Ron, abbassando colpevole il viso.
"Oh, al diavolo!" pensò la ragazza, cercando di riprodurre uno dei suoi sorrisi più dolci e solari. « Non è colpa tua, Ron. E non ce l'ho con te, davvero, quindi non preoccuparti » disse Hermione, accarezzandogli il viso; Ron appoggiò la guancia sulla sua mano, socchiudendo per un millesimo di secondo gli occhi.
Sentì la barba incolta graffiarle appena il palmo, come lui le stava graffiando il cuore, ma non fiatò. Come sempre.
« Saremo sempre amici, vero? » sussurrò Ron, guardandola sinceramente con gli occhi azzurri spalancati, in attesa di una risposta. Come sempre.
Quegli occhi bruni che avevano visto il mondo, che racchiudevano l'universo, si chiusero: tra quelle palpebre passò un lampo di malinconia, un tuono di tristezza, ma sulle sue labbra rosee e carnose si dipinse un sorriso meraviglioso, simile ad una rosa in sboccio in un deserto arido. Speciale.
« Certo, Ron. Credevi forse di liberarti di me così facilmente? » ridacchiò Hermione, mentre in uno slancio di felicità Ron la stringeva in uno di quegli abbracci fraterni, che poi, negli ultimi tempi, si erano trasformati in qualcosa di più. Abbracci che aveva desiderato - fin troppe volte - come l'aria. Hermione li adorava, sapevano di casa e vecchio, come quando indossava un maglione vecchio di sua madre e risentiva il suo odore, quello che la tranquillizzava e cullava. Lui era così. Aveva quasi l'odore di sua madre, ma si stava affievolendo: oramai, tra loro, più niente veniva naturale. Era tutto troppo forzato, quasi come un'abitudine di cui non poter fare a meno.
Aveva capito tutto quello che lui non le aveva detto fin dall'inizio, quando aveva visto i suoi occhi guardarla dispiaciuta.
« Grazie » mormorò Ron, lasciandola andare e sorridendole come solo lui sapeva fare: dolcemente, con gli occhi azzurri che si socchiudevano appena e le lentiggini che spiccavano sotto il sole estivo di settembre. Lo stesso sole che accarezzò le sue guance, accaldandole, e i suoi occhi, quasi asciugandoli dalle lacrime che facevano forza per non uscire.
« Vai! » rise Hermione, sospingendolo sotto le arcate, leggermente, mentre lei rimaneva immobile sotto quel salice piangente, in attesa che lui le desse le spalle per accasciarsi contro la corteccia con gli occhi serrati. Era ruvida, la sentiva prepotente contro la schiena, ma non si mosse.
Aveva bisogno di quell'appiglio per non cadere.
Non doveva piangere.
Non poteva piangere.
Strinse le dita ancor più forte attorno al libro, quasi facendosi male il petto quando se lo schiacciò contro con forza. I riccioli bruni le ricaddero davanti al viso, coprendole il profilo pallido - così in contrasto con quei capelli così ribelli, troppo simili a lei. -
In realtà aveva sempre saputo che ,prima o poi, quello che legava lei e Ron si sarebbe spezzato: avevano passato troppo tempo insieme e vedersi in un certo modo quasi li spaventava dopo tanti anni vissuti in simbiosi. Lei ci aveva provato. Aveva scoperto di provare qualcosa di più per Ron al terzo anno, e avrebbe dovuto capire che non avrebbe funzionato quando aveva compreso che lui, al quarto, aveva cominciato a captare che lei era una ragazza da poter invitare al ballo. Molto probabilmente la paura della guerra imminente li aveva spinti l'uno tra le braccia dell'altro, legandoli in quel rapporto di amore\amicizia.
Ci avevano provato a stare insieme in quei mesi: la guerra era finita e il loro bacio era stato distruttivo e pieno di paura, quasi come una tempesta, ed entrambi erano consapevoli che poteva essere il primo e l'ultimo; si erano stretti con così tanta enfasi da unirsi in una sola cosa. Tutto faceva male, ma lui continuava ad essere delicato nei suoi confronti: non le aveva spezzato le ossa per intrufolarsi in lei, lo aveva fatto piano, insinuandosi come un serpente.
Ron ci aveva creduto all'inizio, forse più di lei: le sue attenzioni erano sincere e voleva davvero costruire qualcosa quando la guerra era finita e loro erano stati finalmente liberi, ma Hermione era troppo per lui. Troppo severa, troppo impegnata, troppo matura e seria dopo una guerra fatta di lacrime.
Ron aveva bisogno di qualcuno che gli sorridesse, non che gli impartisse ordini. Forse qualcuno che lo facesse sentire più sicuro di sé, affidandosi al suo essere uomo e ragazzo. Qualcuno che fosse capace di farlo ridere anche se la morte di suo fratello gli gravava sulle spalle. Ron aveva bisogno di scacciare i suoi fantasmi, non di renderli più gravi... e lei, di fantasmi, ne era sommersa fino al collo.
Nonostante il dolore sordo che sentiva proprio al centro del petto, Hermione non poteva negargli la sua amicizia: non era colpa sua se quella "cosa" che c'era tra di loro non funzionava; non poteva rinchiudere l'amico in una relazione in cui lui si sentisse imprigionato e non amato. Non voleva rinchiudere nessuno in gabbia, anche se lei non era contemplata in quel nessuno, perché in una gabbia dorata ci si era rinchiusa da sola. E non trovava più la chiave.
« Che delusione, mi aspettavo almeno un cazzotto » sbuffò con tono deluso una voce alle sue spalle, facendola sobbalzare.
Seduto sull'erba, sotto l'ombra del salice, Blaise Zabini la guardò con i suoi occhi neri e un sorrisetto divertito sulle labbra carnose. Al suo fianco - senza proferir parola - e in netto contrasto con la sua pelle color moka, se ne stava Draco Malfoy, il mento appuntito poggiato sui pugni chiusi e gli occhi grigi fissi sulle biglie quasi sprofondate nell'erba alta.
« Tipo quello che quasi ruppe il setto nasale di Draco al terzo anno » disse Blaise, prima di scoppiare a ridere sotto lo sguardo scocciato di Draco, che alzò gli occhi al cielo. Il petto le si alleggerì appena, facendola rabbrividire. La presa sul libro si afflievolì, donandole conforto.
« Ron è troppo alto, non potrei mai arrivare sul suo naso senza procurarmi uno scaletto... in quel caso, purtroppo, se la sarebbe già data a gambe » rispose Hermione con un mezzo sorriso, cercando di ricacciare indietro le lacrime con forza.
La stessa forza che ruggiva, fiera, nel suo petto gonfio di sconforto.
« Ho sempre pensato che lui fosse troppo poco per te » disse Blaise, lanciando con forza una biglia che andò a cozzare contro quella rossa di Draco, che si spostò di lato. Hermione arrossì, Draco fece una smorfia e Blaise esultò, tendendo una mano verso l'amico: « Ho vinto, amico, sgancia venti galeoni » ridacchiò, facendo scuotere il capo alla riccia, che si sedette a poca distanza da loro.
Un'unghia era spezzata e la copertina del libro rovinata: Blaise fece finta di non notare nulla, abbassando il viso sulle biglie, pensieroso.
« Non mordiamo, Granger » sibilò Draco, notando con fastidio che lei - volutamente - si era messa a distanza di sicurezza da loro due.
« Io sì » rispose Hermione, sogghignando quasi nello stesso modo che era solito fare lui. Blaise scoppiò a ridere e Draco alzò un sopracciglio, guardandola stranamente. La Granger sapeva fare battute. Wow, forse il mondo stava per capovolgersi.
Il sole la illuminò, accarezzando le guance rosse e il sorriso appena accennato, che sapeva di un libro scritto a mani nude, con impegno e dedizione. Sapeva di chi aveva visto tutto nella vita, e aveva afferrato quel sorriso dai meandri dell'oscurità di un petto inaridito da sangue e dolore.
Con un gesto secco il Serpeverde afferrò la propria borsa a tracolla, frugandoci dentro fino a sentire il metallo tra le dita lunga e pallide: afferrò i soldi di Zabini e li buttò sull'erba, fissandolo minacciosamente e puntandogli un dito contro: « Questa è l'ultima volta che gioco a biglie con te, Zabini » sibilò, mentre il ragazzo di colore ammiccava sensualmente con gli occhi obliqui.
Hermione aprì il libro di pozioni, lasciando che il sole l'accarezzasse ancora e le infondesse un po' di calore, riscaldando le sue ossa gelide; slacciò il gancetto del mantello e si tirò su le maniche del maglione e della camicia, incrociando le gambe e cominciando a sfogliare le pagine del libro con interesse.
Il giorno dopo il professor Lumacorno avrebbe tenuto una lezione con quelli dell'ottavo anno e avrebbe affidato una prova alla classe per testare le loro capacità. E mai dirsi che Hermione Granger non fosse preparata a una prova così importante.
« Pagina 140 » mormorò la voce strascicata di Draco, prima che si alzasse spazzolando l'erba rimasta sui pantaloni neri della divisa. Hermione alzò lo sguardo, coprendosi gli occhi con una mano: i capelli di Malfoy, alla luce del sole, brillavano come filigrana d'oro, che, a ciuffi, gli ricadeva sulla fronte piana. La pelle pallida era solcata da una sola cicatrice sul sopracciglio, mentre gli occhi grigi sembravano aver perso la baldanza di tanti anni prima.
Draco le dedicò un saluto distratto, lasciandola da sola sul prato con Zabini, che avvicinandosi a lei vide che pagina 140 parlava della Pozione della pace. Si guardarono stupiti negli occhi, capendo che Malfoy - in qualche modo - conosceva la pozione che avrebbero fatto il giorno dopo durante la prova.
« Quel bastardo non l'aveva detto nemmeno a me » sibilò Blaise imbronciato, promettendo vendetta all'amico. Invece, Hermione lasciò che l'imitazione pallida di un sorriso le solcasse le labbra: Malfoy aveva qualcosa che batteva dentro il petto, ogni tanto. Probabilmente il mondo stava per capovolgersi.

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