8. Capito VII - Stay

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« E te? Posso salvare te, Draco? »
Draco Malfoy scansò un primino di Tassorosso, girando su se stesso per non colpire un Grifondoro del terzo, impegnato a trafficare con un Corvonero del quinto che lanciava occhiate guardinghe al gruppo di persone che si accalcava l'una sull'altra per avere la precedenza; « Il tuo Prefetto è in giro per i corridoi, Sleeve, ti conviene nascondere qualsiasi cosa tu stia vendendo illegalmente e recarti a lezione. Senza fare colazione, possibilmente, non vorrei che la Mcgranitt, oggi, si ritrovasse con qualche alunno di meno » la sua voce suonò calma e disinteressata, ma più minacciosa di urla e sbraiti, Steeve Jhonson se la diede a gambe ancor prima di visualizzare la sua figura, lasciando cadere un paio di pasticche vomitose e altre schifezze "made in Weasley", venendo seguito a ruota dal Corvonero.
« E te? Posso salvare te, Draco? »
Hogwarts era in visibilio: Natale era alle porte e come ogni anno addobbi e studenti felici saltellavano per i corridoi, dove un'aria gelida filtrava dai grandi archi che sovrastavano l'entrata principale che conduceva alla Sala Grande; il consiglio studentesco aveva allestito un piccolo ballo che si sarebbe tenuto il ventitré dicembre, il giorno prima della partenza, e le uscite a Hogsmeade erano aumentate il doppio per chi doveva ancora trovare il vestito e il regalo giusto da portare a casa.
Draco si sentiva come gli scatoloni messi a ogni angolo della scuola: pieno di un sentimento nuovo e impossibile da tenere a freno, confuso come non lo era mai stato e colorato dentro - dove un disgustoso arcobaleno aveva preso possesso della pietra fredda e grigia del suo cuore. - Non gli erano mai piaciuti i colori, ma quelli gli si addicevano, erano, in un certo senso, parte di lui.
Era il primo Natale che passava a Hogwarts e il primo Natale che passava con una donna che, ora, poteva chiamare "mamma" senza la paura di sorridere ed essere cruciato; probabilmente era una sensazione di benessere che gli riempiva lo stomaco, come se si fosse appena rimpinzato di dolci e doveva ammettere che non era così male. Davvero. L'unica cosa che riusciva a renderlo pensieroso e a volte cupo era quella domanda che lo pressava da un paio di giorni e non lasciava mai la sua mente:
« E te? Posso salvare te, Draco? » la voce di Hermione era calda come il sole di settembre e dolce come la torta alle mele che gli cucinava sua madre quando era alto solo cinquanta centimetri; sentiva lo stesso brivido dietro la nuca di quando lei aveva sussurrato quella frase e scariche altrettanto forti dietro la schiena, dove la spina dorsale si arcuava di tanto in tanto al pensiero delle sue labbra rosse e piene.
Poteva essere salvato? Draco continuava a chiederselo, ma davvero non riusciva a trovare risposta; quella mano tesa nella sua direzione era tremendamente invitante eppure aveva paura. Come quando quegli occhi rossi l'avevano fissato con la morte negli occhi, il bruno di quello sguardo gli incuteva timore. Non voleva perdere e sapeva che se avesse accettato quello sguardo come suo, qualcosa l'avrebbe ferito fino a farlo star male; Draco non voleva: il legno cominciava a cedere e alcune increspature già si notavano attraverso la sua corazza.
Che cosa sarebbe successo se avesse accettato quella salvezza? Che cosa sarebbe successo se si fosse sgretolato? Non voleva ridursi in pezzi, ma non voleva nemmeno escludere la possibilità di essere - finalmente - se stesso.
Lei ne era capace.
Lei sapeva tirare fuori quel lato.
Lei cominciava a far parte di quel lato.
Si sentiva diviso tra due fuochi, ma se sapeva che uno rappresentava il bene e la salvezza, non conosceva la funzione dell'altro fuoco: non sapeva cosa ne avrebbe ricavato e come sarebbe uscito da tutto quello e ci stava andando con cautela... ma, purtroppo, già ci si stava bruciando, senza impedire questo processo, senza provare nemmeno ad allontanarsi.
« E te? Posso salvare te, Draco? »
Gli piaceva, maledettamente.
Draco voleva bruciare tra quelle fiamme, solo che non riusciva ad ammetterlo: quel calore lo sentiva suo, era suo, ed era capace di fargli vibrare l'anima, ma lo respingeva inutilmente; quella stessa anima che aveva creduto persa ora urlava senza fermarsi, riuscendo a farlo impazzire e fargli perdere la ragione.
Lei, solo lei e sempre lei.
Aveva perso il lume della ragione insieme a lei, con lei, solo con lei e sempre con lei.
Era un qualcosa che gli riempiva l'anima e il cuore e, quest'ultimo, da quando lei gli aveva sfiorato lo sterno, batteva ogni giorno, con violenza e lo faceva per non fargli dimenticare che c'era ed era lì, pronto a sfracellarsi, pronto a sbalzargli fuori dal petto e non tornare mai più indietro, pronto a innamorarsi e diventare nuovamente di pietra alla prima delusione.
« Chi è che ti ruba i pensieri, Caposcuola? » Daphne gli sfiorò il lobo dell'orecchio con le labbra, sorridendo maliziosa e bloccandolo a pochi passi dall'entrata della Sala Grande, comparendo alle sue spalle come un fantasma... ma molto più pericoloso, micidiale, cattivo; la sua mano piccola e pallida era posata sul suo fianco rigido e il mento posato sulla spalla, mentre gli occhi azzurri osservavano le persone sfiorarli appena per poi sorpassarli, ignorarli, oppure guardarli di sottecchi e cercare di capire i loro sussurri, senza sentire l'odio che quasi affogava le parole, le dita che cercavano di sfregiare la carne e la speranza di far del male all'altro con una perfidia quasi innata.
« Nessuno, ma nemmeno questo ti riguarda, vero, Daphne? » mormorò Draco, inclinando il capo e lasciando che le unghie della bionda penetrassero nella divisa, sul bicipite, mentre la sua frangia gli solleticava la guancia destra. Daphne rise, alzandosi sulle punte e allacciandogli le braccia attorno al collo; il suo primo istinto fu di sciogliere quella stretta e indietreggiare, sapendo quanto fosse velenosa, sicuramente, Daphne non ci avrebbe pensato due volte a morderlo.
Sentiva il suo seno aderire alla sua schiena, la gonnellina della divisa sfiorargli le natiche e il suo fiato - che sapeva di menta, di odio - era quasi piombo tant'era irrespirabile. Draco annaspò.
« Non metterci nessuna speranza, Draco; siamo stati marchiati come carne da macello, la storia si sta ripetendo e questa volta siamo noi i protagonisti. Non puoi essere salvato, nemmeno se t'inculi il Salvatore del nostro Mondo; ora siamo noi i prescelti e preparati a morire con dignità perché - che tu lo voglia o no - ci aspetta l'Inferno » sibilò Daphne e Draco gelò completamente.
Non capiva cosa Daphne avesse captato nel suo sguardo, ma lei aveva compreso e gli stava togliendo qualsiasi speranza. Gli stava urlando che era nato come Serpe e sarebbe morto come una lurida e viscida Serpe; nessuno l'avrebbe salvato, nemmeno lei e, come richiamata, la S sul suo petto bruciò come ciocchi ardenti su carne viva.
Draco stinse i denti e lei ridacchiò, baciandogli delicatamente le labbra strette e soffiandogli sulla bocca, suscitandogli ancor più rabbia; cercò di respirò a fondo e di sfuggita vide gli occhi di Theodore evitarlo.
Abbassò il capo e spostò con forza i capelli dagli occhi stretti in due fessure. Daphne lo lasciò solo con la consapevolezza di avere il potere di poterlo spezzare ancora e ancora.
Il volto di Hermione sfumò e la "S" bruciò con furia omicida.
« E te? Posso salvare te, Draco? »
« Mi rendi le cose troppo facili, Malfoy » Ron lo sorpassò, ficcandogli una spallata ben assestata e sorridendo ironico; prenderlo per la cravatta rosso-oro e sbatterlo al muro, sfogare la propria frustrazione su di lui e prenderlo a pugni, sarebbe stato fin troppo facile, ma colpirlo con quelle nocche sbiancate dallo stringere troppo i pugni non gli avrebbe dato le stesse soddisfazioni di farlo a pezzi dentro, come lui aveva fatto a pezzi lei.
Weasley voleva la stessa cosa che bramava lui, ma solo per egoismo.
Lui aveva lasciato andare quella che Draco considerava una salvezza, senza curarsene affatto e ora che l'aveva vista lì, salva, nelle mani di qualcun altro, il rosso cominciava a vacillare. Ed era bene. Sarebbe stata una lotta inutile da parte sua, essere il suo migliore amico non l'avrebbe tenuto nelle sue grazie per sempre.
Sbagliare era umano e Weasley lo era fin troppo.
« Anche tu, Weasley, mi rendi le cose troppo facili; il tuo essere irrimediabilmente idiota mi ha permesso di entrare nelle grazie della tua ex senza il minimo sforzo » rispose, incrociando le braccia al petto e spostando le labbra nella pallida imitazione di quel ghigno che, anni fa, sfoggiava giusto per il gusto di farsi odiare. Da tutti. Da Potter. Da lui. Da quegli occhi bruni.
« Mi diverte la tua costanza nel volerla allontanare da qualcuno, ma fidati Weasley, io sono il male minore. Quello che ti ferirebbe di più sarebbe scoprire che il tuo migliore amico - quello cui ti sei sentito costantemente inferiore - sta cercando di prendersela; non sarebbe carino vederli insieme, non è vero?
Escluderti per chiudersi in un mondo dove tu non entreresti nemmeno morto. Vederlo toccare qualcosa che hai sfiorato prima tu, vedere lei amarlo come non ha mai amato te.
Davvero carina come cosa, vero, Weasley? Ti sto aiutando, davvero, quindi resta tranquillo nella tua bolla di estrema ignoranza e idiozia. Io le sto facendo semplicemente conoscere qualcosa che tu non sei stato in grado di darle... sai, quel lato per cui lei non ti ha mai dato l'accesso » l'allusione al sesso - assolutamente falsa - e la rivelazione che Ron temeva più di tutte furono quasi la miccia che diede il via all'esplosione finale.
Le orecchie di Ron divennero scarlatte e scattò così velocemente che fu quasi impossibile evitarlo: lo colpì proprio sullo zigomo e a Draco sembrò di sentire le ossa scricchiolare mentre una macchia nera gli copriva la visuale.
Aveva quasi lo stesso destro di Hermione, ma più forte, deciso, forse più cattivo.
« Ronald! » l'urlo di Hermione superò il chiacchiericcio degli studenti, furioso e preoccupato, seguito immediatamente dalla sua figura.
La sua voce era roca e il suo sguardo aveva seguito la direttoria di quella mano e angosciato il colpo che aveva fatto accasciare il corpo esile - magro, smunto, quasi scheletrico - di Draco Malfoy.
Era pallida quel giorno, più del solito, ma i suoi occhi - nonostante fossero contornati da pesanti occhiaie violacee - erano ugualmente un fuoco che divampava rabbioso, simili a pezzi di pietra incastonata - pietra che ora brillava per la furia omicida che le distorceva i suoi lineamenti stanchi, spossati. -
« Cosa ti è saltato in mente? Sei impazzito? » sibilò, inginocchiandosi di fronte a Draco e toccandogli con delicatezza lo zigomo rosso; aveva perso i sensi e Hermione, per un attimo, si chiese se fosse davvero così fragile come sembrava.
Era di una tenerezza unica, steso lì e colpito con così tanta forza. Strinse i denti e affondò le dita nella carne pallida di Draco.
« E te? Posso salvare te, Draco? »
« Lo difendi pure? Quest'essere immondo - cui ti sei appena inginocchiata - ti ha insultato fino e un anno fa e ti considerava feccia; era presente quando sei stata torturata, quando sei stata marchiata come un animale e non so se tu lo hai dimenticato, ma ha cercato di ucciderci nella stanza delle necessità.
Considera il tuo sangue sporco e indegno, te solo un mezzo per non essere ucciso dai Santi; non so cosa ti attiri di lui e il perché ti faccia prendere in giro da scarti del genere.
Ti consideravo intelligente e la mia migliore amica, ma se vai a letto con il nemico e non mi dici che il nostro migliore amico si è confessato... beh, non sei nessuna delle due cose » Ron sembrava un fiume in piena, non si fermava, aveva il volto pallido e gli occhi infuocati, il vuoto nel petto e il veleno sulla lingua.
La stessa lingua che le aveva accarezzato il palato e si era stretta con la sua in una dolcezza unica ora la stava avvelenando senza remore, ferendola e straziandola dall'interno, senza preoccuparsi del sordo silenzio che vigeva nel suo petto.
Il suo cuore si era fermato per un attimo, l'aveva guardato e probabilmente - per un millesimo di secondo - l'aveva odiato con intensità.
Poteva?
Poteva odiarlo?
Lui e la sua insicurezza, lui e il suo nemmeno accorgersi di spezzarle il cuore. Ma quella volta era diverso, lui lo sapeva eccome, stava calcando quelle parole con ferocia e non si preoccupava dei suoi sentimenti, quella volta la tenerezza non centrava un bel niente.
« Se continuerai a mettere il tuo orgoglio e il tuo senso d'inferiorità davanti a tutto e tutti, perderai ogni cosa, Ronald. Per ora, però, ti sei limitato a perdere me.
Trenta punti in meno a Grifondoro e, se continuerai con questa pagliacciata, sarò costretta a informare la preside dell'accaduto e allora non sarà più di mia competenza questa situazione. Buona giornata » il gelo che aveva avvolto le labbra di Hermione e il tono che aveva usato aveva fatto fermare parecchie persone, stupite.
« Innerva » sussurrò poi, toccando le guance di Draco con la punta della bacchetta e sorridendo appena quando i suoi occhi grigi s'inchiodarono nei propri, confusi.
Hermione lo rassicurò con uno sguardo, accarezzandogli la parte ferita e sospirando; « va tutto bene, ora ti accompagno in infermeria » mormorò, aiutandolo ad alzarsi e così applicata a sostenerlo da non vedere il sogghigno sulle sue labbra rivolto verso Ron.
Le labbra erano tese con dolcezza quasi snervante, rosee e sottili, mentre quella lingua di serpente - velenosa e letale - accarezzava i denti bianchi, quasi con soddisfazione; Draco ammiccò e Ron lasciò cadere le braccia lungo i fianchi.
Era stato così stupido a sottovalutarlo in quel modo, come un uomo qualsiasi, come un umano preso dai propri sentimenti e l'aveva fregato, mettendolo nel sacco come un idiota qualsiasi. S
erpeverde fino all'ultimo, calcolatore fino al midollo.
Doveva aspettarselo, avrebbe dovuto prevederlo.
Il braccio di Draco circondava la vita di Hermione, l'altro le sue spalle. La mano di lei, piccola e bianca, stringeva il suo mantello con forza, come un appiglio, e Ron - anche a quella distanza - poteva vedere le dita contratte e strette, tremanti, ed ebbe paura.
L'aveva persa e se ne accorse quando lei abbassò il capo e le spalle, incurvandosi come solo una volta aveva fatto: quando Harry si era consegnato e sapeva che erano sconfitti, che sarebbero morti, che non l'avrebbero mai più rivisto.
Lei se ne stava andando con la sicurezza di non ritornare mai più, di aver perso - lei, lui, loro - e, dolorosamente, sentì il cuore crollare miseramente.
« Mai, mai sottovalutare il nemico, Weasley. Ci insegnano anche questo a Serpverde » la voce di Blaise alle sue spalle risuonò cupa, quasi spenta, forse pericolosa, forse serpeggiante.
I suoi occhi scuri lo guardavano dall'alto, ma erano diversi dal solito: non c'era niente di gentile nella pupilla dilatata e il gelo che vigeva sovrano nel suo sguardo.
« Avevi la possibilità... lei avrebbe scelto sempre te e tu lo sai bene; hai distrutto tutto perché non sei capace di controllarti. Anche questo ci insegnano a Serpeverde.
Controlla le tue emozioni, nascondi ciò che sei e ciò che hai e sarai sempre, e dico sempre, vincitore » continuò, mentre il viso era adombrato dalle nuvole nere che scurirono la distesa che sovrastava le campagne desolate della Scozia.
Era strana l'aria che tirava: così tesa, tersa di aspettative e rumori - giuramenti fatti al vento, tirati tra mari e monti e arrivati tra quelle mura già un tempo sgretolate. -
Rimbombavano maledizioni tra i tuoni che fecero tremare le fondamenta; qualcosa era alle porte e nessuno di loro era preparato.
« Sarete i primi a morire, come lo siamo stati noi un anno fa » Ron strinse i pugni e guardò il volto del ragazzo con un sorriso ironico dipinto sulle labbra sgretolate dal dolore.
Blaise rise, alzando il volto verso il soffitto e inclinando il capo.
Aveva ragione, purtroppo: sarebbero caduti uno dietro l'altro e stavolta il pericolo era più grande; nessuno conosceva chi si nascondeva dietro questi attacchi. Nessuno conosceva i Santi e nessuno si sarebbe schierato dalla loro parte.
Le apparizioni di quelle "S" marchiate a fuoco sulla pelle erano sempre più frequenti e loro non potevano nascondersi quella volta, scappare non sarebbe servito... loro li avrebbero trovati, anche in capo al mondo.
Una goccia di pioggia accarezzò l'erba alta che circondava il parco magico e un tremore incontrollabile colse le mani di Blaise, tradendolo per la prima volta in vita sua.
Sarebbero morti tutti, uno dopo l'altro, e quel presentimento - presagio - diventava sempre più presente, angosciante, faceva mancare l'aria come una coperta attorcigliata attorno al collo.
In un attacco d'ira afferrò Ron per la collottola, sbattendolo al muro e superandolo di parecchi centimetri: Hermione, a metri di distanza, sentì il tonfo, ma non si girò, continuò a camminare ritta, come se quel tonfo e quello scricchiolio d'ossa non fosse mai arrivato al suo udito.
« Giuro Weasley, giuro sulla cosa più cara, che qualsiasi cosa accadrà voi sporchi Grifoni, verrete seppelliti nella mia stessa sporca e viscida tomba » sibilò a un dito dalle sue labbra, sputando veleno, liberandosi in parte del peso che lo opprimeva.
Lo fece di nuovo, facendo cozzare la schiena di Ron contro la pietra fredda, beandosi dei suoi occhi offuscati dal dolore. Lo lasciò improvvisamente, guardandolo accasciarsi contro il muro e indietreggiando appena, senza pentirsi minimamente del gesto appena compiuto: aveva cose più preoccupanti da pensare; cose che, da quando due giorni fa una civetta delle nevi aveva depositato una lettera sul suo grembo, erano diventate fastidiosamente martellanti.
Sua madre gli aveva scritto. Lei, la grande Katelyn Zabini, gli aveva scritto una missiva.
Lo faceva solo quando c'era un nuovo pretendente in vista e Blaise odiava essere ricevuto a Zabini Manor solo per conoscere quei porci che volevano entrare nelle grazie di sua madre solo per scoparsela.
Non che lei fosse meglio: se li scopava e poi li sposava, solo per soldi, naturalmente. Come se tutto quello fosse naturale oppure anche solo lontanamente normale.
Gli uomini ricchi che sua madre sposava avevano una certa mentalità, cosa che, Blaise, non accettava di buon grado. Così seri, così all'antica, con pensieri bui, oscuri, pieni di falle e valli deserte.
Blaise entrò nella Sala Grande, lasciando Ron alle sue spalle e dirigendosi verso il tavolo delle Serpi, dove si stava consumando una silenziosa colazione. Si sedette di fianco a Theodore, ancora tremante: quel Natale, quel Natale sua madre lo voleva a casa; "ti piacerà, ne sono sicura" aveva scritto, come tutte le altre santissime volte... e come sempre era sicuro che non gli sarebbe piaciuto, come lui non sarebbe piaciuto all'altro.
Sua madre avrebbe dovuto saperlo, i tipi che frequentava non accettavano uno come lui.
Avrebbe dovuto accorgersene dopo i primi due mariti avvelenati.
"Non succederà mai più, amore mio. Quando senti dolore, chiudi gli occhi e vedi che il mondo ti sembrerà più bello. Prometto che la mamma sarà qui a proteggerti" diceva ogni volta che veniva frustrato, cruciato, a volte persino strangolato da quegli uomini che lei sposava per fama e soldi.
All'inizio andava tutto bene, come in quelle favole cui tu stesso stenti a credere; tutto troppo perfetto, tutto troppo nella norma. Poi, tra un giorno e l'altro il suo "segreto", quello che era diventato tale dopo aver scoperto che non era gradito nell'alta società, veniva scoperto e il mondo che era stato regalato a lui e sua madre si capolgeva: le botte, quelle pesanti, le cinte, i bastoni, le maledizioni e il dolore.
La prima volta che era successo, con il suo primo patrigno, sua madre aveva cercato di proteggerlo. La grande Katelyn era stata cruciata e aveva portato i segni sul suo corpo statuario e latteo.
Due giorni dopo il suo patrigno era morto misteriosamente e improvvisamente. No, Blaise non era stupido: era cresciuto tra pozioni ed erbe, veleni e antidoti, conosceva ogni cosa... persino quando una persona assumeva del veleno che non lasciava tracce, bruciando solo ogni cosa.
Lei lo aveva ucciso e lui si era ritrovato colpevole di un omicidio che non aveva commesso.
Ogni miserabile notte che passava sognava quegli occhi chiusi pacificamente e quella voce che lo richiamava dal profondo, incolpandolo di ogni cosa. Tecnicamente non aveva versato lui il veleno nel succo di zucca mattutino dell'uomo, ma la colpa era sua.
La volta dopo era stata peggiore. Due, tre, quattro, cinque, sei e sette, otto, ognuno di loro aveva la stessa reazione e se alcuni nemmeno si permettevano di sfiorarla con un dito, lei reagiva sempre peggio agli abusi che lui subiva sotto il suo stesso tetto.
"Chiudi gli occhi, amore mio, ogni cosa passerà in un battito di ciglia" gli sussurrava dolcemente, coccolandolo come un bambino bisognoso di aiuto.
Delle volte aveva paura di restare solo con lei, ma poi il sangue era diventato visibile sulle sue mani: sua madre non centrava niente, era tutta colpa sua.
Solo colpa sua.
Sempre colpa sua.
« Ehi, Blaise, tutto bene? E' mezz'ora che fissi il vuoto » Theodore gli sventolò una mano davanti al viso, ripescandolo dal suo stato di trance. Sorrise con un vuoto nel cuore incolmabile, sentendo le cicatrici bruciare a una a una, come per ricordargli che la tortura stava per ri-iniziare.
Come per ricordargli che non era finita, ma appena iniziata.
« Tutto bene, grazie » rispose, respingendo il cibo con una smorfia e stringendo i denti. Lui non aveva fatto niente, non aveva mai fatto niente: in realtà nemmeno si considerava diverso, almeno non al punto da doversi nascondere.
Disonore, la pecora nera della famiglia, una macchia scura sulla loro casata, erano quelli gli epiteti con cui veniva catalogato: qualcosa da eliminare, come se fosse sporco dentro.
Come un animale.
Blaise aveva due gambe e due braccia, due occhi e un naso, una bocca e due orecchie; amava come qualsiasi altro essere umano, se non di più, ma mai di meno. Soffriva come qualsiasi altra persona, se non di più, ma mai di meno.
Eppure... eppure non andava bene.
Non sarebbe mai andata bene.
« Avvisa tua madre che non puoi tornare a casa per Natale, abbiamo una scommessa da gestire e portare a termine. E poi quasi nessuno ritorna a casa, quest'anno... Hogwarts, per adesso, è il luogo più sicuro per noi » sussurrò Theodore a bassa voce, mentre il soffitto sulla sua testa rispecchiava l'umore dell'amico.
Gli sfiorò delicatamente la spalla, senza farsi notare, ricambiando appena il sorriso che Blaise - tra un gemito e un verso strozzato - gli regalò.
« Hogwarts, per adesso, è il luogo più sicuro per te » bisbigliò Theo, versandosi del succo di zucca e distogliendo lo sguardo dal suo viso. Blaise sospirò: era stato lui a curare le sue ferite quando, troppo profonde, non erano guarite nemmeno con le pozioni rigeneranti di sua madre.
Punti di sutura, ecco come li chiamava e ricordava che facevano un male cane, ma nonostante tutto non aveva mai saputo perché portasse quei segni sul corpo. Gli chiedeva cosa, quando e perché, per risposta aveva sempre ricevuto solo gemiti di dolore e il cuscino strapazzato di morsi per non urlare.
« Puoi... puoi farlo tu? » la sua voce risultò ovattata persino alle sue orecchie, troppo lontana, troppo debole. Theo annuì, guardando alla sua destra: Harry Potter sedeva silenzioso al tavolo dei Grifondoro, perso in un mondo tutto suo; dovevano muoversi e se Draco cominciava a farlo apertamente, loro avrebbero dovuto usare più pazienza.
Pansy occupò il posto al suo fianco, silenziosamente. Certe volte, quella ragazza, gli metteva paura: da quando i suoi erano stati arrestati il suo silenzio era perenne e fastidioso, carico di sottintesi, come se capisse ogni cosa e captasse ogni errore.
I suoi capelli lunghi erano raccolti e lasciavano il viso scoperto, duro e impenetrabile; la mascella era contratta e gli occhi neri fissavano il cibo che si stava servendo con una lentezza estenuante.
Le labbra sottili erano tese, mangiucchiate e sul bordo roseo vide il segno dei denti quasi con precisione disarmante.
« Draco è stato preso a pugni » disse improvvisamente, attirando l'attenzione di alcuni compagni di casa su di sé. Blythe scattò, ma Pansy lo afferrò per il bordo del mantello, sbattendolo duramente sulla panca.
« Calma, nanetto, c'è la Mezzosangue con lui » disse irrisoria, affondando - quasi con cattiveria - il coltello nelle uova.
La sua rabbia era la stessa che aveva usato per salvare la Granger e Blaise rise, alzando il volto verso il soffitto buio. Erano le nove di mattina, ma sembrava notte inoltrata: una donna innamorata era pericolosa, più del consentito... ma una donna innamorata e non ricambiata, lo era più del lecito.
« Che hai intenzione di fare, Pansy? » sussurrò roco, fissandola seriamente. Pansy scosse il capo, lasciando che alcuni ciuffi neri le accarezzassero il volto pallido.
« Niente, Blaise, assolutamente niente.
Il mio unico piacere sarà vederlo soffrire per mano della sua dolce amata, giusto per il gusto di fargli sentire quello che ho sentito io. Per il resto mi aspetto delle scuse plateali per il dolore che mi ha causato » rispose, calma, come se stesse discutendo del tempo e non di altro.
Blaise sghignazzò: le donne, ah, le donne, con il loro sesto senso e la capacità di capire le cose prima degli altri. No, loro non pretendevano cruda vendetta, bastava loro solo la stessa moneta con cui erano state ricambiate.
Merlino, se le adorava!
Le donne come Pansy sapevano essere generose ed egoiste, dolci e velenose, bastarde ed egocentriche. Con quelle mani sapevano accarezzare e uccidere, con le braccia stringere e strangolare.
« Lo hai detto stesso tu, moriremo tutti, Pansy, perché non usare il nostro tempo in un modo migliore che vedere gli altri soffrire? » disse Theodore, spegnendo il sorriso sulle labbra della ragazza.
Probabilmente non era cattiveria - oppure sì, conoscendo Theo e la sua imprevedibilità si sarebbe aspettato tutto da lui - ma Blaise sapeva che in fondo, molto in fondo, tutti volevano bene a "picchia duro Parkinson", il soprannome che le avevano affibbiato al secondo anno, quando aveva picchiato un Serpeverde del quinto perché le aveva detto che era brutta.
Ma Pansy era stata così innamorata da aver perso persino se stessa, allontanandosi da tutto e tutti, chiudendosi in un mondo e lasciandosi trascinare da due occhi che non l'avevano mai guardata; Draco non l'aveva mai inquadrata per quel che era veramente, forse come tutti loro in realtà.
« La mia indole da Serpeverde non me lo permette » rispose, pulendosi delicatamente la bocca con un tovagliolo e contraddicendosi con il brusco movimento delle gambe, che si alzarono di scatto permettendole di fuggire.
Lo faceva sempre, quando non voleva dare risposte. Lo faceva sempre, quando non sapeva cosa ci sarebbe stato dopo. Eppure, Pansy, poi, restava sempre.
Draco la feriva, la insultava, il più delle volte la usava e poteva anche ucciderla dentro, ma lei restava lì a farsi ferire, insultare, usare e persino uccidere. Agognava una carezza e se ne beava.
Lo amava come solo loro vigliacchi sapevano fare: in silenzio, con sofferenza, quasi con odio.
« Falla respirare, d'accordo? E' sotto pressione da un bel po' e con i suoi sotto chiave non sa dove appoggiarsi... » mormorò Theodore, alzandosi e afferrando la borsa per recarsi a lezione.
Si allontanò sotto gli occhi di Daphne, che si portò del caffé amaro alle labbra, sotto quelli di Blaise - perso in quel limbo di solitudine dov'era caduto quando sua madre gli aveva inviato quella lettera.
Si allontanò sotto gli occhi di Astoria, che si trattenne dal darsi a morsi da sola.
« Andiamo? » Theodore guardò Blaise con impazienza, incitandolo a seguirlo.
Lo affiancò e ricambiò il suo sguardo inclinando il capo. « Dici che Draco sta bene? Ultimamente gliene stanno capitando di tutti i colori » disse Theodore, arricciando il naso e guardando verso il tavolo dei Grifondoro, dove mancava il solito trio.
Blaise rise.
« Draco mi sta regalando quei galeoni senza nemmeno saperlo... senza che io faccia niente » disse Blaise, quasi soddisfatto del destino che l'amico si stava creando con le proprie mani, senza l'aiuto di nessuno, senza che nessuno scrivesse per lui quella volta.

Dall'altra parte del castello, invece, Draco stava maledicendo quel maledetto di un Weasley per averlo colpito. Certo, vendicarsi con quelle rivelazioni affatto gradite gli avevano risollevato di parecchio il morale, ma uno zigomo rotto non era certo uno scambio equo.
« Maledizione, Malfoy, com'è che ultimamente sembri Harry? Dove c'è un guaio ti ritrovi tu in bella vista con un cartellone con una scritta luminosa che recita "ehi, sono qui!" » sbuffò Hermione, che - fortuntamente - aveva due ore di buca prima di iniziare con le lezioni.
Ultimamente, con tutto quello che era successo, con sirene, Santi e botte annesse, si era dedicata ben poco allo studio, ma studiare tot. ore al giorno, portandosi avanti e non limitandosi ai compiti assegnati il giorno dopo, si stava rivelando più che utile.
Draco sbuffò, fissandola con insistenza e alzando orgogliosamente il mento. « Non paragonarmi a Potty, Mezzosangue » soffiò sprezzante, mentre Hermione gli accarezzava la guancia spargendo dell'unguento - fin troppo puzzolente - sulle parti lese.
« Simpaticissimo, guarda » sibilò in risposta, mentre la Stanza delle Necessità le offriva un servizio di primo ordine da crocerossina; era il primo posto a cui aveva pensato: non voleva che Madama Chips facesse delle domande e informasse la preside dell'accaduto. Aveva minacciato Ron, ma non voleva metterlo veramente nei guai.
« Mi hai difeso » mormorò Draco a bassa voce, afferrandole il polso e costringendola ad avvicinarsi un altro po'. Non la stava ringraziando né rimproverando: la sua era una costatazione, quasi sorpresa, forse compiaciuta, in quel momento non sapeva dirlo.
Il suo respiro era troppo vicino al proprio e i suoi occhi troppo applicati a fissarla, studiarla, scioglierla.
« E' un reato, signor Malfoy? » mormorò Hermione, ricambiando lo sguardo con sfida, abbozzando un sorriso arrabbiato e abbattuto, ma fiero, quasi orgoglioso di essere lì, nonostante il dolore della perdita che le affievoliva il battito del cuore.
« No, non lo è » rispose, mentre la osservava afferrare una boccetta di unguento per evitare il gonfiore. Era applicata, evitava di guardarlo appieno, ma era vicina, così vicina da poterla osservare nuovamente come l'ultima volta e - si rese conto - gli piaceva guardarla in quel modo.
Era da un centimetro dal suo viso.
Era ipnotizzato quasi quanto lei e gli era quasi impossibile distogliere lo sguardo; il suo respiro gli accarezzava il volto e la bocca schiusa e poteva quasi sentire l'odore del burro e del miele che spalmava ogni mattina su una fetta di pane tostato per la solita e abituale colazione.
« Posso quasi considerarmi la causa di tutte le tue sfortune » mormorò Hermione, continuando a spargere l'unguento sulla guancia; Draco non rispose, trattenendo a stento un sorriso: era vero, da quando lei gli aveva rivolto la parola non gli era successo niente di buono, ma lo stava toccando.
Lo stava toccando e tremava sotto le sue delicate dita, sotto il suo sguardo divertito e un po' dispiaciuto e il sapore del suo respiro che desiderava rubare, rapire, renderlo proprio e soffocare sulla sua bocca rosa e carnosa, piena di promesse e speranze, dolori e angoscie.
Hermione Granger era il suo inferno e lo era stato per sette anni; la sua superbia era irritante come il suo insuperabile orgoglio. Lei, così sporca - come perennemente gli aveva ricordato suo padre - camminava a testa alta ed era capace di superarlo in quasi tutte le materie, permettendosi di insultarlo - colpirlo - odiarlo e guardarlo dall'alto in basso.
Lui, con il sangue più puro di tutta l'Inghilterra messa insieme.
Era coraggiosa e aveva la forza di vivere e pensare come volesse. Lui no. Poi la scoperta del sangue impuro del Signore Oscuro, l'umiliazione della sua famiglia, l'incarico di uccidere Silente; l'incertezza di tutte le sicurezze che l'avevano accompagnato fin da bambino.
Probabilmente l'amore per se stesso aveva superato quello per il suo stesso sangue.
« Forse hai tutte le ragioni del mondo per odiarmi... oltre il solito motivo » continuò Hermione, bisbigliando e abbozzando un sorriso un po amaro, forse consapevole del sbagliato.
« Forse hai ragione » rispose Draco, afferrandole la mano sporca d'unguento e spingendola contro il livido che si stava formando sullo zigomo.
Ora era il suo inferno perché lo spogliava con gli occhi, guardando la sua anima corrotta e vigliacca senza tirarsi mai indietro. Aveva toccato il suo cuore e l'aveva sentito prepotente contro lo sterno, facendogli quasi dolere le costole.
Forse non era in grado d'amare - e questo lo sospettava anche lei - ma la sentiva dentro viva, danzante, un fuoco. Era la sua luce mentre lui si sentiva una stupida falena, irrimediabilmente attratta, impazzita, consapevole di potersi bruciare ma strafottente. Pronta. Senza controllo.
« Mi dispiace » e lì Draco impietrì. Lei gli stava quasi chiedendo scusa per ciò che non aveva fatto.
Draco spinse la sua mano con più forza contro di se, beandosi di ogni cosa di lei. « Parli troppo per i miei gusti » disse con voce acre, alzando il viso e accostando le labbra alle sue. Hermione non si scostò, ma non lo sfiorò nemmeno di striscio, inclinando il capo e lasciando che quei ricci - che aveva imparato ad adorare - cadessero sulla spalla coperta dalla divisa.
Draco soffiò sulle sue labbra e le morse, giusto per farle sentire lo stesso dolore che sentiva lui quando gli stava vicino. Giusto per farla male come stava male lui ogni volta che lo ignorava.
Hermione continuò a non spostarsi: aveva gli occhi socchiusi ed era così piccola confronto a lui, così fragile confronto a lui; strinse le dita tra i riccioli, le tirò qualche ciocca e l'avvicinò ancor di più alla sua bocca, sfiorandole la spalla con l'altra mano.
« Guardami » sussurrò Draco sulla sua bocca, fissandola serio in volto. Lei aprì gli occhi e lui tese le labbra in un ghigno, lo stesso che aveva osservato e disprezzato per anni, lo stesso che la stava spingendo a ricambiare quasi nello stesso modo.
« Mi piace anche così, in questo modo, in questo momento, con degli stronzi alle calcagna e i tuoi ex che vogliono farmi lo scalpo. Mi piace e basta, d'accordo? » disse, sorprendendola.
Il sogghigno di Hermione si allargò, forse come il suo cuore. Di poco, ma di più confronto a prima.
Aveva detto tutto ciò che le bastava, in quel momento, probabilmente per i prossimi giorni... e se sarebbe durato di più non le sarebbe dispiaciuto affatto.
 

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