9. Capitolo VIII - Kiss

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 "L'avrei mandato al diavolo, all'inferno, da qualunque parte, ma giuro, sarei andata a riprendermelo!"

« E' fredda questa notte, Weasley, perché non te ne torni nei tuoi dormitori? » la voce di Blaise rimbombò tra le mura della Torre di Astronomia, dura e vuota, ma Ginny non si mosse dal cornicione della torretta più alta; la vista era da mozzare il fiato da lassù e sarebbe valsa la pena una punizione se qualcuno l'avesse beccata per i corridoi a notte fonda.
I piedi nudi penzolavano nel vuoto, mentre i capelli rossi ricadevano lisci lungo la schiena magra e scarna; il maglione bianco che indossava era molto più grande di lei e quasi si confondeva con la pelle pallida in netto contrasto con il buio della notte, avvolgendola come una soffice nuvola di lana.
« Nemmeno lo sento il freddo, Zabini » bisbigliò Ginny, senza nemmeno abbassare lo sguardo per guardarlo in faccia; fissava ipnotizzata le stelle e poco si preoccupava della sua presenza alle proprie spalle, avversaria, pronta a colpirla senza premurarsi delle conseguenze. Sorrise, nel buio, stringendo la consistenza rude della pietra che la sosteneva, oramai, da due ore buone.
« E fin quando non rompi puoi restare, non ho certo paura di te » continuò, calcando l’ultima parola con tono divertito e fissandolo, finalmente, con eloquenza; Blaise non sapeva se offendersi o meno, ma - cercando di ignorare la sua figura - si sedette ad un angolo opposto al suo, dimenticando la fattura pregiata dei pantaloni neri che indossava, sul pavimento dalla pietra gelida, rabbrividendo per il freddo e accendendosi, ritrovando un nuovo entusiasmo, quel tanto sospirato spinello che - per tutta la giornata - non era riuscito a fumare. Aspirò e blocco il fumo nei polmoni, socchiudendo gli occhi scuri e lasciando che i muscoli si distendessero da soli, a priori, come succedeva ogni volta che quella roba gli andava in circolo.
Rabbrividì, dimenticando – per un lungo e dolce attimo – tutti i pensieri che quel giorno avevano fatto da padrone al suo cervello, al suo cuore, infettando per quelle ore infinite la sua anima. La sentiva già così nera.
« Com'è che la tua roba ha un odore buono e quello che vende Dean puzza? Merlino, che gli fai vendere? » mormorò Ginny, riferendosi all’erba che stava fumando e buttando le gambe verso la saletta circolare dov'erano chiusi, sporgendo la schiena verso il buio di quell'arcata che aerava l'aula e dava piena vista sul parco di Hogwarts.
« Si chiamano "regali pregiati" per chi si mette in pericolo per vendere questa roba; se la Mcgranitt venisse a sapere che un Grifondoro e un Serpeverde collaborano per vendere una sostanza illegale, prima si congratulerebbe con noi per la complicità e poi ci caccerebbe da scuola a calci nel culo. Io e Thomas ci facciamo dei regali quando arrivano le spedizioni dall'Italia e, naturalmente, ci prendiamo il meglio. Non sono scarti quelli che vendiamo, fidati, ma non è arrivano alla “purezza” di quello che ci teniamo per noi » borbottò Blaise, mentre Ginny allungava un braccio verso di lui, sicuro.
Non tremava, non tentennava e a volte Blaise ammirava la sua sicurezza: era la donna più forte e sicura che avesse mai conosciuto, tenace e orgogliosa come pochi e – in un certo senso – da prendere come esempio. Forse per non arrendersi, forse per prendere in mano le redini della propria vita. Come lui non aveva mai avuto il coraggio di fare.
« Mi fai fare un tiro? » domandò, inclinando il capo e venendo illuminata dalla luna; non sembrava vergognarsi di chiederglielo, ma non sembrava nemmeno che si vantasse di saper fumare e volerlo fare: in quell’ultimo periodo aveva venduto quella roba a ragazzine che lo facevano solo per farsi notare da lui o da altri idioti che ripetevano lo stesso sbaglio infinite volte. Sì, Blaise viveva sulla stupidità della gente – e anche sulla sua, se proprio voleva rigirare il dito nella piaga – ma il resto ce lo mettevano loro; certo, non disprezzava chi fumava quella roba, ma nemmeno l’adorava per farlo. Erano sbagli che infondo, da ragazzi, si ripetevano infinite volte. Ma quelle ragazze, poi, non potevano sapere che apprezzava di più un fisico scolpito che un paio di tette grosse; era raro che incontrasse una donna che gli piacesse veramente, di solito i suoi occhi si concentravano su tutt’altra sponda.
Era gay, su questo poteva metterci la mano sul fuoco, ma c’era stata una donna – in passato – in grado di rubargli il cuore; assomigliava tanto a Ginny e non solo fisicamente: era forte e coraggiosa come lei, viva, simile ad un fuoco che, di questo ne era sicuro, non si sarebbe spento mai.
Asia. Quando sussurrava il suo nome nella propria mente lo assaggiava ancora con dolcezza, mentre l’immagine di quella ragazza di origini Italiane gli saltava agli occhi.
La lingua sembrava sentire ancora il suo sapore.
« Tieni » Blaise le passò impassibile la canna, accarezzando appena le mani della Weasley quando le mise tra le dita il filtro.
Lei aspirò, distogliendo lo sguardo dal suo e fissando il soffitto con aria curiosa, forse rassegnata, ma più serena di quella che portava sul viso ultimamente. Sembrava quasi angosciata dagli ultimi avvenimenti, ma ora la vedeva quasi rassegnata da ogni cosa che era successa e che sarebbe dovuta succedere nei prossimi mesi.
Blaise sorrise, abbassando il volto e accarezzandosi malinconico il collo inarcato: aveva avuto la sua stessa espressione sul viso quando aveva scoperto che i genitori di Asia avevano deciso di rompere il contratto matrimoniale con lui dopo anni di forzata conoscenza; prima l’avevano costretto a crescere e convivere con lei, amarla, farsela piacere nei suoi bellissimi pregi e i suoi terribili difetti… quando poi, dopo la rinascita di Voldemort, avevano deciso che era troppo pericoloso affidare il loro gioiello ad un ragazzo che – probabilmente – sarebbe morto o diventato qualcosa di orribile. Ma Blaise sospettava che avessero trovato un pretendente con un conto in banca più alto del suo; Asia gli era stata strappata via con la forza, proprio come gli era stata messa davanti, ma lei non aveva fatto nulla per impedire che i suoi genitori la portassero via da lui.
Gli avevano costruito un castello di sabbia attorno e poi l’avevano calpestato senza chiedergli nemmeno il permesso. Era caduto. Nemmeno se n’erano curati.
Fottuta venduta del cazzo, le aveva urlato contro quando l’aveva vista dal Maginotaio per firmare l’annullamento. Aveva pensato che fosse diversa, che sotto quei vestiti ottocenteschi si nascondesse veramente una persona diversa da tutte le altre, con pensieri propri e ideali fuori dal comune, ma si era sbagliato.
Blaise si sbagliava sempre e comunque e cominciava a trovare ironica la sua intera esistenza: quando le cose cominciavano ad andare nel verso giusto tutto cadeva nuovamente in miseria. Quasi era diventato monotono crollare per poi fare fatica a rialzarsi.
« Cos’è che ti affligge, Weasley? Non ti vedevo così pensierosa da quando hai derubato Piton » mormorò Blaise, ridacchiando al ricordo delle risate che si era fatto durante la seconda guerra, quando aveva scoperto che Ginny era penetrata nell’ufficio del preside e l’aveva derubato a nome di Potter; una mossa così stupida e coraggiosa che – oltre a guadagnarsi la sua ammirazione – lo aveva fatto sorridere a piene labbra in un periodo oscuro per tutti loro.
« Lo ricordo… non sentivo così tanta adrenalina in circolo da quando, al sesto anno di Harry, dei Mangiamorte cercarono di accopparmi per la splendida idea di Malfoy di far schiattare Silente » rispose Ginny con un sogghigno; fece l’ennesimo tiro e scosse il capo, come se non avesse appena ammesso che il suo migliore amico era un “mezzo” assassino. Merda. L’aveva detto con disinvoltura, probabilmente non c’era nemmeno l’intenzione di ferirlo con quelle parole, ma al pensiero che veramente Draco avesse messo al repentaglio la vita di tutta Hogwarts e la sua solo per i suoi genitori… beh, gli venivano ancora i brividi.
Era stato così fragile in quegli anni passati a capire cosa volessero da lui e quale fosse lo scopo della sua esistenza; Blaise l’aveva visto appassire anno dopo anno fin quando, in quegli occhi, aveva trovato la forza di combattere per se stesso e basta. Non per gli altri, ma per lui.
« Tu sai bene che significa essere “senza peli sulla lingua”, vero? » domandò, sbuffando e riprendendosi la canna scuotendo divertito la testa. Il non avere paura delle conseguenze – a volte – era più divertente di una dose di Marijuana; alzare la testa e dire tutto senza avere paura era, per lui e qualsiasi persona provenisse da una famiglia d’alto rango, una vera e propria dose di adrenalina pura.
« Baciami » sussurrò Ginny, rischiando di farlo strozzare con una boccata di fumo. La fissò come se, improvvisamente, fosse impazzita.
« Sono gay » rispose, rivelando ad una sconosciuta un segreto che si portava dietro da tempi immemori.
Ginny sorrise.
« Lo so » bisbigliò, scendendo dal cornicione con un piccolo balzo e attraversando l’aula a piedi nudi. Ogni passo lo spaventava, mettendogli ansia: i suoi occhi marroni erano esageratamente grandi e sicuri e lui cominciava a temere di non riuscire a sfuggirgli.
« Lo sai? » domandò terrorizzato. Era più preoccupato di salvare le apparenze che di un suo possibile bacio; la paura che qualcuno scoprisse quella parte di lui – nascosta per tanti anni – lo terrorizzava tanto da fargli mancare il respiro.
« Zabini, anche i muri sanno che sei gay… in diciotto anni che hai varcato le soglie di Hogwarts non hai mai nemmeno baciato una ragazza » rise Ginny, come se quella fosse la cosa più naturale del mondo e lei non avesse appena chiesto ad un ragazzo – di cui era sicura dell’omosessualità – di baciarlo senza alcuna vergogna.
« Baciami » ripeté poi, inginocchiandosi ai suoi piedi e arrivando all’altezza del suo viso. Inclinò dolcemente il capo e Blaise – se la situazione non fosse stata così critica – sarebbe scoppiato a ridere per la differenza che c’era tra la sua pelle così pallida e la propria, scura come il caffè.
« Se sei sicura della mia omosessualità, Weasley, perché mi chiedi di baciarti? » il tono saccente fece ridacchiare Ginny, che poggiò una mano sulla sua guancia. Era così fredda che gli sembrò di affondare il viso in un cumulo di neve, ma non fu una brutta sensazione.
Aveva le labbra martoriate, di chi se le mordeva da una vita per trattenere i singhiozzi di pianti e pianti trattenuti ed erano ad un solo centimetro dalle sue, strette in una linea che quel giorno non aveva visto sorrisi.
« Ho bisogno di capire… tutto qua » bisbigliò Ginny, lasciando scivolare via la mano. Aveva bisogno di capire se quello che faceva Harry con lei – quando stavano insieme – era sesso o amore; aveva bisogno di capire se la sua era la forza d’abitudine e se, nella sua mente, viaggiava la sua immagine o quella di un'altra. Ne aveva bisogno.
« Baciami » e quella fu l’ultima volta che lo disse, perché in un attimo le labbra di Blaise furono sulle sue. Erano soffici e sapevano di fumo, caffè e la torta ai mirtilli che – sicuramente – aveva sgraffignato nelle cucine poco prima di recarsi su nella Torre di Astronomia.
Il pollice di Blaise si incavò nella sua guancia scarna, permettendo alla sua lingua di penetrare tra le sue labbra e accarezzargli il palato e Ginny, finalmente, capì. L’altra mano di Blaise le tirò una ciocca di capelli con forza, lasciando scivolare il rosso – arancio tra le dita scure.
Ginny ingoiò il respiro del ragazzo che la stava attirando ancor più vicina a lui e capì. Era facile chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare da quelle mani grandi e possenti: era tutto troppo facile e – finalmente – capì.
« Era così evidente, avevo la soluzione sotto al naso, ma sono stata così stupida da non accettarlo e vederlo veramente fino ad ora » sussurrò Ginny e – quasi senza accorgersene – lasciò che le unghie penetrassero nel braccio di Blaise, silenzioso e immobile.
Poteva quasi considerarsi la copertura di Harry Potter. Si sarebbe presa a schiaffi da sola per essere arrivata a quella conclusione baciando un gay: Harry non era mai stato veramente attratto da lei, si era solo auto-convinto di volerla bene e desiderarla, ma non era lei che pensava quando erano in intimità. Non era lei che vedeva, che toccava, che diceva di amare.
Coglione. «
Giuro che se mai Potter verrà accoppato da qualcuno sarò solo ed esclusivamente io a farlo » sibilò, riprendendosi e alzandosi di scatto dall’angolo dove era saltata letteralmente addosso a Zabini, pregandolo di baciarla.
Aveva… aveva pregato un uomo di baciarla! E non un uomo qualsiasi, ma un Serpeverde.
Gay.
Se la storia avesse fatto il giro della scuola come pettegolezzo avrebbe perso la faccia e pure la reputazione.
« Tu! Se osi dire in giro quello che è successo, giuro che… » iniziò, interrompendosi quando il cipiglio di Blaise divenne una vera e propria minaccia di morte cruenta e dolorosa.
« I segreti a Serpeverde… rimangono segreti. E come ho detto a tuo fratello: anche questo ci hanno insegnato nella casa degli orrori » disse Blaise, alzandosi di scatto e buttando – con un moto di stizza – il filtro della canna, oramai finita, ai propri piedi e schiacciandola con la punta delle scarpe di pelle di drago.
Aveva un sorriso amaro dipinto sulle labbra, mentre la stessa rabbia che aveva preso possesso di lui quella mattina, all’incontro con Ron, cominciava a circolare nuovamente nel suo sangue; era inquietante il modo in cui ribolliva e Blaise cominciava ad avere paura di se stesso.
« Siete così stupidi e impulsivi voi Grifondoro; voi e questa mania di grandezza, di voler fare gli eroi e i buonisti della situazione… la vita è solo un mezzo, Weasley, un mezzo per arrivare al fine. La morte, alla conclusione di tutto questo, è l’unica certezza che ci rimane, quindi perché crogiolarti in drammi esistenziali che non troveranno mai una risposta?
Perché essere in questo modo, sfrigolare nella gelosia, nella rabbia e provare dolore se poi scomparirà una volta sotto metri di terra? » l’ultima frase l’aveva bisbigliata e ora si trovava così vicino al suo viso da metterle paura.
Era ad un passo dalle sue labbra e lei con le spalle al muro, intrappolata tra la gelida pietra e il metro e novanta del ragazzo che la sovrastava, guardandola negli occhi senza mai interrompere il contatto visivo.
Ginny tremò.
« Ci sono state insegnate cose diverse, Zabini, credo che questo – oramai – sia palese » rispose, alzando il mento in segno di sfida e suscitando ilarità nell’altro. Blaise trattenne a stento un ghigno disgustato, mostrando appena i denti bianchi in netto contrasto con le labbra livide.
« Ci hanno insegnato esattamente le stesse cose, ma il punto ne è un altro: noi Serpeverde abbiamo la vita più corta della vostra e qualsiasi cosa – qualsiasi – facciamo veniamo giudicati sempre peggio. Non c’è via d’uscita per quelli come noi, Weasley e cerchiamo di rendere la nostra entrata all’inferno più plateale possibile » disse, afferrandola per le braccia e baciandola di nuovo… ma questa volta fu diverso. Fu diverso perché la rabbia dei suoi gesti le fece salire – esattamente in gola, tra le ossa, nello sterno – un incredibile adrenalina.
Era come trattenere il respiro sott’acqua e non sentire assolutamente nulla, nessun rumore, nemmeno un sospiro: Blaise aveva il sapore ferroso del sangue racchiuso tra le labbra scure e piene e si aggrappava a lei come un disperato, quasi strappandole il maglione che aveva indossato prima di uscire dai dormitori femminili a quell’ora stramba di notte.
« E sai cosa?... le fiamme non sono così male come sembra » sussurrò sulle sue labbra, ansimando e sorridendo nello stesso istante; il suo pollice affondò nella carne sensibile tra le costole, incavandosi e facendola gemere appena.
Blaise l’afferrò per le gambe, quasi costringendola ad aprirle con il palmo delle mani e – spingendola ancor di più verso il muro – spinse il bacino contro il suo. La baciò con forza, lasciando che le proprie mani rimanessero impronte violacee sul busto, quasi nudo contro il maglione chiaro che – alzandosi – le scopriva le gambe magre.
Ginny gemette e lui spinse nuovamente il bacino contro il suo. Sentiva pienamente la curva dei seni che premeva contro il suo petto, le mani piccole che gli scompigliavano i capelli scuri e un profumo che non riuscì a riconoscere, ma che lo inebriò a tal punto da farlo respirare a pieni polmoni.
Per un attimo dimenticò chi era e fu una sensazione incredibile. Ginny gli tirò una ciocca di capelli e lui respirò ancora tra le sue labbra.
Blaise nemmeno si accorse della figura stagliata contro la porta d’ottone chiusa a metà, troppo impegnato a sospirare tra quelle labbra e quasi tremare tra quelle braccia; quegli occhi verdi sembravano volerlo uccidere tant’erano rabbiosi, ma Harry Potter non si mosse dalla sua postazione. Lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e diede un ultima occhiata fugace prima di dare le spalle a quella scena: ricurvo e con i pugni chiusi si avviò verso l’ala opposta del castello, camminando quasi senza vedere veramente ogni passo che percorreva.
Sentiva il cuore pesante, le gambe pesanti e la testa che quasi malediceva ogni passo che avanzava: cadde in ginocchio, sentendo la pelle lacerarsi sotto la pietra fredda dei corridoi che aveva percorso con il fiatone, tremando per la rabbia che sembrava volergli scoppiare dentro ed ebbe paura. Harry aveva paura perché sentiva la magia quasi cercare di implodere e liberarsi. Sentiva il cuore che quasi lo supplicava di sotterrarsi, magari annullarsi, ma di non rimanere sospeso, con un pezzo cadente e uno mezzo rotto.
Il dolore gli martellava le tempie e gli impediva di respirare, trascinandolo giù, verso il buio.
« Ti ho trovato, finalmente » bisbigliò una voce nel buio, mentre una figura avanzava verso di lui, messo in ombra dalle lanterne che si spensero al suo passaggio; Harry alzò lentamente lo sguardo verso l’uomo che lo sovrastava, trattenendo il respiro nel constatare che – gli occhi che brillavano da sotto il cappuccio nero come la pece – erano privi di pupilla. Erano interamente rossi, spaventosamente grandi e inquietanti ed Harry era sicuro… non aveva mai visto niente di simile.
« Chi sei? » mormorò Harry, senza riuscire a distogliere lo sguardo da quello dell’uomo che lo sovrastava: cercò di alzarsi, ma le gambe sembravano di pietra e gli impedivano qualsiasi movimento. Sembrava in trappola.
« L’unico in grado di ucciderti, Potter » bisbigliò l’uomo, guardandolo dall’alto e sorridendo in modo macabro. Aveva il capo inclinato e lo osservava con dolcezza, quasi come se assaporasse quel momento da una vita e – finalmente – fosse riuscito nel suo scopo.
Con le dita pallide lasciò cadere il cappuccio nero come la pece dal volto soddisfatto ed Harry trattenne il fiato: le labbra violacee e sottili lasciavano intravedere gli incisivi laterali superiori simili a zanne, mentre i capelli biondi miele sembravano sposarsi perfettamente con la pelle pallida come il latte. Harry, se avesse avuto la forza di muoversi, sarebbe sicuramente scappato a gambe levate: quell’uomo gli metteva i brividi e ogni cosa di lui gli urlava di dargli le spalle e correre via, lontano da lui, mettersi in salvo.
« Cosa sei? » bisbigliò, ingoiando a vuoto e fissando – allibito – la bocca dell’uomo allargarsi ancor di più in un sorriso e mostrare i denti quasi con la soddisfazione nel vederlo tremare dinnanzi all’impossibilità di poter fare qualsiasi cosa.
« Aleksej Romanov, signor Potter e credo che lei sappia cosa sono, ma preferirei un tono più reverenziale nei miei riguardi, vista la paura che regna nei suoi occhi » rispose Aleksej, riferendosi al tono disgustato e sorpreso che aveva usato quando aveva mostrato i denti aguzzi. Si vedeva lontano un miglio che era un vampiro: il petto si muoveva solo ed esclusivamente quando pronunciava qualche parola ed era pallido come un lenzuolo, quasi come un morto che – inesorabilmente – comincia a marcire dopo giorni il suo decesso.
« E’ abbastanza difficile penetrare in questo castello, non è vero, signor Potter? » mormorò Aleksej, girandogli attorno come un predatore fa con la sua preda; russo dalla punta dei capelli fino a quello delle scarpe, lo si intuiva persino dall’accento duro che accompagnava ogni singola sillaba che pronunciava.
Lì, tra il mantello sbottonato e la camicia semi-aperta, c’era – come marchiato a fuoco – un tatuaggio: un aquila bicipite con una corona e uno scettro; tutto sembrava chiaro, ma Harry non riusciva a collegare quell’uomo a niente che ricordasse.
Sembrava un ricordo lontano, sbiadito.
« Guardami, Harry Potter. Guardami. » sussurrò Aleksej, piegandosi sulle ginocchia e arrivando all’altezza del suo viso: era spaventosamente vicino al suo e lo guardava pieno di aspettative e desiderio. Le dita dell’uomo si poggiarono con delicatezza sulla sua guancia e la cicatrice bruciò come la gota sfiorata: il fuoco – quello che non sentiva dalla morte di Lord Voldemort – sembrò sciogliergli la carne come fosse acido.
Harry gridò quasi come se lo stessero scorticando vivo, mentre le unghia dell’uomo penetravano sempre più a fondo, nella carne, quasi come se volessero toccare le ossa.
« Shhh » disse, poggiandogli un dito sulle labbra e intimandogli di fare silenzio, quasi divertito dal come allargasse la bocca per riprendere fiato da quella tortura.
« Questo è solo l’inizio » continuò poi, alzandosi e fissandolo nuovamente dall’alto. Ad Harry sembro di vedere ogni sua mossa a rallentatore: il braccio calarsi lungo i fianchi, lo sguardo di chi aveva finalmente vinto un grande premio. La lingua accarezzò i denti e il suo collo scricchiolò pericolosamente.
Romanov l’afferrò per il collo, alzandolo con una sola mano. Sembrava possedere la forza di cento uomini e non sforzarsi nemmeno: i denti si allungavano a vista d’occhio, quasi pronti ad azzannarlo; la sua bocca era pericolosamente vicina al suo collo ed Harry cominciava a temere.
Stava morendo per davvero? Era così facile? Aveva passato sette anni a sfuggire al mago Oscuro più potente di tutti i tempi e ora si ritrovava come creta nelle mani di un vampiro.
Mille domande gli affollavano la mente e lo confondevano sempre di più: come aveva fatto ad entrare nella scuola? Era un alleato dei Santi? E, cosa più importante, c’era un infiltrato che l’aveva aiutato?
Non riusciva a trovare nemmeno una risposta e più che preoccuparsi per se stesso, vicinissimo alla morte, il suo primo pensiero furono i suoi migliori amici. Si domandò se fossero al sicuro e se anche loro avrebbero subito quella lunga tortura prima di assaporare la fine. La fine.
Non gli sembrava vero: era arrivata la Signora con la falce anche per lui; non sapeva definire le sue emozioni e non sapeva dire se fosse felice o amareggiato. Era arrivato tutto troppo tardi e allo stesso tempo troppo presto. Era stato pronto un anno fa e al contempo non lo era in quel momento. Stava morendo. Non ricordava nemmeno più come respirare e non era nemmeno commovente come dicevano: nessuno spezzone della sua vita gli passò davanti agli occhi e fu quasi deprimente.
« Per amor di Dio, fratello, ora prendi ordini anche da maghi? » il sibilo di serpente che aveva fatto tremare le mura attorno a loro fece bloccare Romanov sul nascere; i suoi occhi rossi si sgranarono fino all’inverosimile, prima di bloccarsi su una figura che – pericolosamente – Harry sentiva dietro di sé.
« Anastasija » il vampiro lo lasciò andare ed Harry crollò sul pavimento come un sacco di patate: girò il viso verso la voce e una visione lo accecò. Un odore di violette gli arrivò all’olfatto come un bagno caldo e lo avvolse con tenerezza; due occhi rossi privi di pupille si inchiodarono nei suoi, ma gli fecero meno paura. Erano due rubini incastonati in due grandi occhi da cerbiatta.
« Va tutto bene » sussurrò Anastasija, come l’aveva chiamata l’uomo che lo aveva attaccato improvvisamente. Teneva i capelli biondo\ramati sciolti sulle spalle fragili e piccole; sembrava avere quindici anni, non di più e la sua pelle era bianca come quella di Aleksej.
Gli tese una mano che – in quel momento – sembrò una salvezza.
Harry non sapeva di chi fidarsi, ma accettò la sua mano di volata, senza farselo ripetere due volte: con leggerezza, Anastasija, lo trascinò dietro la sua schiena, quasi nascondendolo agli occhi dell’uomo che fissava il tutto con rabbia.
Che situazione di merda, avrebbe detto Draco ed Harry gli avrebbe dato ragione, anche se di nascosto.
Era racchiuso tra due fuochi che sembravano volersi divorare tra loro ed era impressionate l’elettricità che correva tra i due, simile ad un fiume in piena che sembrava voler colpire l’altro con violenza.
« Tu… come osi presentarti al mio cospetto! » l’urlo rabbioso di Aleksej aveva risvegliato i quadri e tutti correvano da una parte all’altra in pieno fermento. Harry indietreggiò e la ragazza rise a pieni polmoni, mostrando un paio di canini degni dell’avversario.
« Sono secoli che non mi vedi, fratello e così mi saluti? » rispose Anastasija, senza muoversi di un millimetro quando lui le afferrò con forza il polso. Erano ad un metro di distanza, ora, e si fissavano con sfida e rabbia.
« Feccia » sibilò Aleksej, soffiando come un gatto e assottigliando lo sguardo. Harry si sentì toccare una spalla e sobbalzò quando vide la Mcgranitt alle sue spalle, stretta nella sua insostituibile vestaglia scozzese; aveva il viso tirato e preoccupato e fissava la scena con un misto di pena e angoscia.
« Non ho più il tuo stesso sangue nelle vene, non posso considerarmi in alcun modo feccia, Romanov » mormorò in risposta Anastasija, mordendo con forza il polso che la teneva e tirando con rabbia, strappando un pezzo di carne dal braccio di colui che aveva chiamato fratello.
Ora che li guardava bene, però, notò una certa somiglianza nei tratti che prima non aveva notato: oltre i colori che li accomunavano, c’erano dei lineamenti che quasi li rendevano uguali. Il naso piccolo e all’insù, le labbra sottili e il viso asimmetrico, simile anche nelle espressioni che – messi vicini – li rendevano fratelli di sangue in tutto e per tutto.
« Romanov è anche il tuo cognome, Anastasija, non dimenticarlo! Sei stata e sei tutt’ora una Romanov! » urlò Aleksej, mentre sangue nero come le ali di un corvo macchiava la camicia madida che gli stringeva il busto.
« Anastasija Romanov è morta secoli fa, fratello, questo non devi dimenticare » sibilò la ragazza, poggiando un palmo aperto sulla spalla del fratello e spingendo con forza il braccio verso la schiena: Harry sentì un sinistro scricchiolio e dall’urlo dell’uomo capì che gli aveva appena spezzato un braccio.
« Puttana » e le stesse labbra che avevano pronunciato quell’insulto la baciarono sulle labbra. Ad Harry, quel bacio, sembrò quello della morte. Aleksej sospirò sulle labbra della sorella e sembrò quasi sputare veleno. Lei non si mosse, lui la fissò per un secondo che sembrò infinito.
Le accarezzò i capelli e tese le labbra, poi si trasformò in un pipistrello: la sua pelle si scurì fino a diventare nera come il carbone e il suo corpo si deformò, rimpicciolendosi fino a diventare grande quanto il palmo della sua mano. Aleksej sparì come era arrivato, volando velocemente verso la parte opposta alla loro senza che qualcuno lo fermasse.
« Un vampiro trasformato quando viene ferito guarisce dopo nemmeno due secondi, è inutile fermarlo tanto quanto attaccarlo… troverebbe lo stesso un modo per uscire da questo castello sano com’è entrato » mormorò Anastasija, pulendosi stizzita le labbra.
Il bacio della morte, davvero carino da parte di suo fratello fare quei gesti esclusivamente per lei. Erano secoli che non lo vedeva – nel vero senso della parola – e la prima cosa che aveva fatto era stata insultarla; era da lui, dopotutto, riservava ancora rancore per aver dato le spalle alla sua famiglia quando era stata completamente distrutta.
Harry Potter la guardò confuso e lei rise appena: come avrebbe potuto spiegare a quel ragazzo che per diciassette anni non era stato solo? Come faceva a dirgli che sua madre l’aveva proclamata, anni fa, sua madrina? Un vampiro che si era nascosto nell’ombra fino a quel momento, facendogli credere che oltre gli amici di famiglia non avesse nessun altro su cui contare.
« E tu chi sei? » domandò Harry, ancora sconvolto per essere stato appena attaccato e poi difeso da quelli che avevano tutta l’aria di essere fratello e sorella. Respirò a fondo: la prospettiva di morire gli era sembrata così vicina e allettante che – in quel momento – si rese conto che i problemi che credeva aver definitivamente cancellato li aveva solamente seppelliti per qualche tempo e ora risalivano a galla come un fiume in piena, travolgendolo pericolosamente.
« Sono la tua madrina, Harry » bisbigliò Anastasija in risposta, fissandolo dispiaciuta e guardando la Mcgranitt annuire, quasi acconsentendo la verità scomoda che aveva appena sputato, come se lui le avesse chiesto l’ora e lei – come niente fosse – gli aveva detto che ore erano.
Harry la guardò imbambolato per due minuti buoni… poi, quasi facendole temere di avergli fatto venire un infarto, svenne.

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