6. Capitolo V - Together

3.4K 160 24
                                    

"Nulla è per sempre, ma se ci credi sarà infinito"




Una volta aperti gli occhi, Draco, sorrise: imbottito di medicine e calmanti, guardò quella che considerava – per un solo attimo – una dolce visione giocata dalla febbre alta; due occhi bruni, grandi e ansiosi, lo fissavano con tenerezza al suo capezzale, stringendolo in un muto abbraccio, avvolgendolo in una stucchevole preghiera.
Quelle lunghe ciglia erano imperlate di lacrime, ma ora non piangeva, lo guardava senza proferir parola, con la consapevolezza che – molto probabilmente – il giorno dopo nemmeno avrebbe ricordato il suo volto inclinato e i riccioli che le incorniciavano il volto pallido e magro.
« Sei venuta » sussurrò Draco, forse sperando che la morte fosse diventata più bella e ora lo stesse portando via.
« Non ho potuto fermarlo » rispose, con voce dispiaciuta, ma ferma, stabile, un porto sicuro – quello che era sempre stato e che non avrebbe mai smesso d'essere. -
« Verrai con me, vero? » mormorò Draco, fissandola disperato e aggrappandosi al suo braccio, mentre il panico lo assaliva.
Lei doveva restare con lui, aiutarlo ad affrontare la morte più serenamente, senza la paura che gli stringeva il cuore in una morsa, senza la paura di restare solo e immobile dinnanzi ad una cosa così grande, troppo persino per lui; « Non andrai da nessuna parte, Draco, ora dormi » sussurrò, ma il ragazzo scosse energicamente il capo.
Le afferrò con forza il mento, mentre il braccio gli tremava con violenza, insieme alla sua anima in tumulto; lei lo guardò spaventata, allargando gli occhioni e fissandolo preoccupata, ma la cosa che lo rincuorò, facendogli calmare il battito del cuore, fu quella stretta sicura che continuava a infondergli calore.
La sua mano era calda e lo teneva ben saldo alla realtà.
« Dimmi che sarai con me, quando succederà. Prometti che sarai con me! » bisbigliò Draco, febbrile, toccandole il viso come un disperato, sfiorandola con foga, mentre lei gli fermava il polso con dolcezza, accostando la guancia sul suo palmo aperto.
« Prometto che quando succederà sarò lì con te » lo assecondò e Draco si rilassò, socchiudendo gli occhi appannati.
« E non avrò paura? » sbadigliò, girandosi su un fianco e rannicchiandosi in una posizione fetale, portandosi le ginocchia al petto come un bambino.
« No, perché ci sarò io con te » rispose, accarezzandolo sul capo ripetutamente.
Draco chiuse gli occhi, in beatitudine, tremando sotto quel tocco caldo, materno, amorevole, in grado di spezzare le sue barriere e squarciargli la pelle.
« Sempre » mormorò, prima di addormentarsi e sognare due occhi bruni vegliare il suo cammino, proteggerlo nonostante il passato, perché ora – con quelle mani strette – guardavano solo il futuro buio che l'aspettava. Insieme.
"Sempre".

***
 

« E' mio figlio, maledizione, mio figlio! » Narcissa Black si alzò di scatto, sbattendo con foga i palmi aperti sul tavolo di mogano scuro.
Gli occhi azzurri erano spalancati, lucidi, intrisi di un sentimento che – in quel momento – le stava facendo sanguinare il cuore; sapere suo figlio lì, in un letto, da solo, ferito, la spezzava in due. Aveva la schiena così inarcata che la spina dorsale, attraverso il vestito di seta, sembrava essere stata disegnata a penna; le unghia conficcate nei palmi penetravano nella carne e le procuravano un tenue dolore che – confronto a quello che le palpitava dentro – era niente.
« Non possiamo andare lì, Narcissa, abbiamo Auror e Santi alle calcagna e in questo momento non so chi sia peggio! » Lucius Malfoy fece una smorfia disgustata dalle fiamme alle sue spalle, mentre sua moglie, tremando impercettibilmente, si girava verso di lui con un'espressione irosa e altezzosa dipinta sui tratti dolci e aristocratici.
« Basta, Lucius, basta; ti ho seguito in ogni dove, in qualsiasi scelta, sbagliando e vincendo con te. Ho lasciato che la nostra famiglia venisse calpestata, che mio figlio venisse minacciato e torturato, solo per amor tuo, solo perché era troppo tardi per tirarsi indietro; ora basta.
Se non vuoi raggiungere tuo figlio, d'accordo, non mi interessa... ma non privarlo a me! Ora sono libera di fare le mie scelte, di proteggere mio figlio a costo della vita, di essere finalmente una madre! E se questo ti turba puoi anche smettere di scrivermi e parlarmi tramite questo stupido camino » disse Narcissa, alzando orgogliosamente il mento e fissandolo con disprezzo.
« Narcissa, smettila di essere una maledetta sentimentalista e ascoltami! » urlò Lucius, ma lei – con le spalle ritte e un leone fiero e ruggente nel petto – si era smaterializzata ai confini di Hogwarts, coprendo i fluenti capelli biondi con un cappuccio nero come la notte.
Alti cancelli di ferro battuto la sovrastavano, mentre la solita magia l'avvolgeva: da quando non metteva piede ad Hogwarts? Respirò a pieni polmoni l'odore di casa e famiglia, quella che – anni prima – non l'avrebbe mai abbandonata... prima che Lucius le portasse via ogni cosa, persino l'amore per se stessa. Prima che Lucius le promettesse una vita luminosa, sfarzosa, piena di un amore inesistente.
Lui le aveva portato via tutto, persino il suo cuore, spezzando quelle braccia che non stringevano suo figlio da fin troppo tempo.
Draco.
Una lacrima le accarezzò il volto, mentre il suo patronus volava verso l'ufficio della Mcgranitt, leggero e meraviglioso come solo lui poteva vantare d'essere; una fenice araba, quella che rinasce dalle proprie ceneri, volava alta nel cielo, abbagliandola con il suo candore e facendola sorridere teneramente: il suo patronus era cambiato dalla fine della seconda guerra e sapeva perché: la fenice rinasce dalle proprie ceneri, come aveva fatto il suo bambino.
Draco era rinato dalle ceneri del dolore, dalle fiamme che l'avevano avvolto dopo aver condotto una vita che non gli apparteneva, che non era sua e che non aveva mai avuto il coraggio di contestare; aveva aperto gli occhi e aveva deciso di tenere intatta la sua anima... lui aveva deciso di scegliere, come lei non aveva mai avuto il coraggio di fare – come lei non aveva mai avuto il coraggio di pensare, anche solo per un attimo. -
« Sei venuta! » la Mcgranitt corse nella sua direzione, aprendo i cancelli con uno sventolio di bacchetta e guardandola con una nuova speranza negli occhi. Persino la donna anziana aveva sperato fino all'ultimo che rinsavisse, salvandosi e salvandolo; solo lei aveva capito troppo tardi... solo lei non aveva preso una scelta fino a pochi secondi prima, alzando finalmente il capo e dicendo "no", come non aveva mai fatto, come aveva urlato suo figlio dinnanzi a Lord Voldemort.
« Dimmi che sta bene » sussurrò Narcissa, tremando nel mantello nero e stringendosi in un abbraccio vuoto.
Sola.
Quella volta era sola, ma non si sarebbe data per vinta: avrebbe combattuto con le unghie e con i denti per il suo bambino, senza se e senza ma, questa volta sarebbe stata forte, nessuno l'avrebbe spezzata, niente l'avrebbe fermata.
Quel dolore era solo la prova che aveva fatto la scelta giusta, che aveva imparato ad essere se stessa e verificando che poteva contestare suo marito, poteva essere qualcuno anche senza di lui.
Un sorriso le nacque sulle labbra sottili: non sola, con lui.
Sempre con lui.
Draco non l'avrebbe mai lasciata e questo le dava solo la sicurezza che lui era l'unico da salvare, l'unico da tenere stretto al petto; lui era l'unica scelta da fare, l'unica opzione che avrebbe mai avuto.
Sempre con lui.
« E' vivo » la rassicurò la Mcgranitt, chiudendo i cancelli alle sue spalle e lasciandola entrare, facendole strada verso quel cuore che palpitava distrutto, solo, in cerca di parole che nessuno poteva sussurrargli se non lei. In cerca di abbracci, carezze e una presenza che solo sua madre poteva dargli... che solo lei poteva regalargli.
Suo figlio era lì e lei non agognava altro che vederlo e poterlo stringere, sussurrargli tutto l'amore che teneva ancorato dentro e non farlo mai più sentire solo.
Draco non era mai stato solo, mai, anche se lui pensava il contrario, lei era sempre stata lì – nascosta in un angolo – a sorvergliarlo e amarlo.
Entrarono all'interno di Hogwarts, silenziosa e buia, e solo il ticchettio delle loro scarpe si udiva tra quelle mura di pietra; nessun fantasma era presente, come tantomeno i professori.
Narcissa aveva una mano sul cuore e il fiato di chi ha corso, di chi trema silenziosamente, nel buio, in solitudine. In ansia, in completa balia dell'ignoto, tra le mani dello strazio che a malapena le permetteva di sbattere le palpebre, con la paura di aver perso l'unico uomo della sua vita che l'amava per quel che era. Per l'amore che dava.
« E' qui » disse la donna anziana, sorridendole e accentuando le rughe attorno gli occhi vissuti, stanchi, sopravvissuti a troppo.
Narcissa spalancò le porte dell'infermeria, bloccandosi alla vista di quel capo piegato sulle lenzuola bianche e madide del letto di Draco; i capelli ricci, aperti a ventaglio, contrastavano con il candore di quella immensa stanza, mentre due braccia si dividevano tra i due lettini messi a poca distanza.
Hermione Granger dormiva col capo poggiato sul petto di suo figlio, con la mano stretta tra quelle pallide di Draco e l'altra tra quelle del piccolo Blythe, pallido come cera e immobile come una statua.
« Signor... » Narcissa fermò le parole della Mcgranitt, scuotendo il capo con fermezza e addolcendo lo sguardo dinnanzi al sorriso appena accennato sulle labbra sottili del figlio che, nonostante stesse dormendo e il dolore alla ferita che gli avevano procurato, sembrava nella più beata serenità che avesse mai provato.
« Li lasci riposare, la prego » mormorò, afferrando una sedia e sedendosi vicino alla ragazza, tra il letto di Draco e quello di Bly; accarezzò il volto di suo figlio, baciandolo tra i capelli biondi e dedicò la stessa attenzione al piccolo Serpeverde, mentre Hermione sembrava troppo persa nei suoi sogni da accorgersi della sua presenza.
« Baderò io a loro, questa notte » finì, slacciandosi il mantello e lasciandolo cadere sul pavimento bianco; il vestito azzurro, che le stringeva la vita sottile e si allargava fino ad arrivarle alle caviglie, si intonava con i suoi occhi socchiusi, persi in un tempo dove niente si muoveva e tutto andava per il verso giusto, verso quella direzione che aveva sempre sognato e una realtà che non guastava, che era perfetta così, in quella semplicità che aveva donato alla sua famiglia tranquillità e serenità. Dolcezza e amore.
« Come vuoi » sussurrò la Mcgranitt, congedandosi e chiudendosi la porta alle spalle, mentre Narcissa, con dita tremanti, si azzardava ad accarezzare i ricci della ragazza, che si accoccolò ancor di più sul petto di Draco.
Lei lo aveva vegliato mentre – come una stupida – la madre di quell'angelo lottava contro l'amore che nutriva per suo marito e quello verso il figlio, cullandolo al suo posto e non facedolo sentire... solo.
Lei, che era stata torturata da sua sorella.
Lei, che sul braccio portava la scritta "Sanguesporco", sofferta, fatta col sangue e le lacrime, tra un pianto trattenuto e urla intrattenibili.
Lei, che avrebbe dovuto dare il colpo di grazia a suo figlio, lo aveva vegliato al suo posto, addormentandosi su una sedia scomoda in un infermeria che puzzava di medicina e stantio.
« Mmm, dormi amor mio, la mamma ora è qui con te » sussurrò, accarezzando il capo di quei due testardi, scelti per uno scempio che non avrebbero supportato nemmeno i più grandi degli eroi.
I suoi bellissimi bambini.
« Mmm, dormi mio più grande tesoro, prometto che non ti lascerò mai solo » continuò, mentre Draco apriva appena gli occhi assonnati, ancora perso in quel limbo che l'aveva avvolto quella mattina.
« Mammina? » il fatto che fosse incosciente fece sorridere Narcissa: Draco non avrebbe pronunciato quella parola nemmeno sotto tortura, Lucius gli aveva insegnato che quel termine era da plebei e che la donna che lo accudiva era sua madre, qualcosa che avrebbe dovuto lasciar perdere una volta cresciuto.
Una persona futile della sua vita, utile solamente ad accudirlo e togliergli ogni cosa, anche il più sottile sentimento che avrebbe potuto rovinare il buon nome di famiglia.
Narcissa non era niente, ma Lucius non avrebbe mai capito l'amore che li legava, l'importanza di non perdersi mai e tenersi sempre vicini, anche se maledettamente distanti.
Il mio sangue.
« Sono io, amore mio » bisbigliò, perdendosi nei suoi occhi grigi addolorati, ora più rassicurati, ora meno soli.
Ora era con lei.
« Sei qua con me » sussurrò Draco, cercando il suo sguardo e trovandolo, pronto, amorevole, dolce e sicuro e sorrise, perdendosi nella dolcezza di quelle carezze mai ricevute.
« Non sono mai andata via, Draco, mai » disse Narcissa, sfiorandogli il braccio fasciato e sorridendogli come non aveva mai fatto.
« Sei bella, mammina » bisbigliò Draco e una risata cristallina uscì dalle labbra sottili di Narcissa, che lo accarezzò ancora una volta sul capo.
« La mamma canterà per te tutta la notte, amore, dormi sogni tranquilli » sussurrò, mentre una lacrima solcava il volto di suo figlio, che non la guardava veramente, che aveva lasciato alla mercé di quelle persone senza cuore.
Su quel viso che assomigliava al padre, ma quel cuore che non aveva niente in comune con lui; Narcissa aveva lasciato Draco da solo e non l'avrebbe mai dimenticato, non avrebbe mai smesso di darsi la colpa di tutto ciò.
Vita mia.
« Saremo insieme... » iniziò Draco, mentre Narcissa portava la mano gelida del figlio sul proprio cuore, che batteva così veloce da farle mancare il fiato.
« Nelle notti buie e insonni » continuò lei al suo posto, stringendolo come non aveva mai fatto.
« Dormi, amor mio, la mamma non ti lascerà mai più » bisbigliò Draco, mentre Hermione apriva appena gli occhi, immobilizzandosi dinnanzi a quella ninnanna; niente li accompagnava, ma madre e figlio sembravano così in simbiosi da rendere il tutto così dolce, unico, meraviglioso.
« Mmm, son qui con te, bel bambino biondo, chiudi gli occhi e fai bei sogni... la mamma canterà per te tutta la notte » sussurrò Narcissa e Draco chiuse gli occhi, mentre Hermione azzardava ad alzare il capo, sbalordita.
« Mmm, lascia che la mamma ti vegli, amor mio, lascia che ti tenga, lascia che ti ami, perché la mamma non andrà mai via, amor mio » finì, sorridendo nel sentire il respiro stabilizzato di Draco e nel constatare che Hermione fosse sveglia.
« Io... » balbettò la riccia, venendo bloccata da una mano alzata della donna.
« Grazie » sussurrò Narcissa, senza mai lasciare Draco, senza mai distogliere gli occhi dal volto pallido del figlio, in completa e assoluta beatitudine.
« Non ho fatto niente, signora » rispose Hermione, abbassando il capo imbarazzata.
Lei le aveva sempre messo soggezione, con quel corpo esile e quel volto indistinguibile – quello di una vera e propria Black, duro come il marmo, ma fine, con lineamenti quasi impalpabili, disegnati con dedizione – le incuteva terrore, riuscendo a farla sentire sciatta, quasi brutta in confronto alla sua bellezza eterea e ora si trovavano sedute vicine, a guardare un ragazzo distrutto dalle proprie scelte, ma non solo.
Mai più solo.
« Hai fatto più del dovuto, più di quello che ho fatto io – che sono sua madre. - Draco aveva bisogno di qualcuno che gli tenesse la mano in questo lungo e tortuoso cammino e tu, nonostante i vostri – i nostri – trascorsi l'hai fatto senza battere ciglio; non conosco il sentimento che ti anima, signorina Granger, ma per ora mi basta sapere che hai tenuto mio figlio in braccia sicure, stringendolo in una fortezza insormontabile.
Non chiedo di meglio, non ho mai chiesto di meglio, in realtà » disse Narcissa, guardandola forte e decisa.
Hermione riusciva a vedere così tante crepe in quel muro di legno che mostrava Lady Malfoy con fierezza: erano profonde, rosicchiate dalla muffa e da tare, ma, sorprendentemente, ne andava orgogliosa.
Sapeva che era distrutta, si sentiva distrutta, ma non se ne vergognava: quelle crepe le mostrava, ma non ascoltava i risolini delle persone e tantomeno le dicerie, anzi, le accarezzava e passava avanti, sorridendo all'invidia delle altre persone.
Lei si era alzata.
Lei era viva.
Lei era lì e questo importava.
« Lei è corsa qui e questo basterà di sicuro a Draco » mormorò Hermione, arrossendo appena e attorcigliandosi – nervosa e in soggezione – un ricciolo attorno l'indice dalle unghia mangiucchiate.
Narcissa sorrise, accarezzandole una spalla di sfuggita; non si sentiva sporca, non sentiva nessun peso, nessuna maledizione sulle sue mani... in realtà lo aveva sempre saputo: erano loro ad essere sporchi dentro, non il contrario, non era mai stato il contrario.
Erano solo ad essere sporchi, loro che riuscivano ad odiare persone che nemmeno conoscevano, solo perché avevano sangue diverso, solo perché si erano imposti un ideale.
Narcissa ora provava vergogna: aveva torturato quella stessa ragazza che stava stringendo dolcemente suo figlio, senza battere ciglio dinnanzi al passato che l'aveva ferita. Che l'aveva quasi uccisa.
Sua sorella Bellatrix aveva ragione: Hermione Granger era una ragazza pericolosa, ma oltre alla sua spropositata intelligenza, lo era anche perché non aveva paura di niente, né di passare oltre né di perdonare.
Hermione non era capace di odiare ed era questo che la rendeva così terrificante agli occhi dei nemici.
L'amore.
Restarono in silenzio, osservandosi di tanto in tanto di sottecchi, anche se Narcissa lo faceva apertamente, fissandola negli occhi, scrutandole dentro, cercando di capire chi era, com'era, analizzandola, studiandola e sorridendo... perché capiva ogni maledettissima cosa di lei con un solo sguardo e lo si capiva da come stringeva gli occhi di ghiaccio in un'espressione pensierosa.
Lei assomigliava così tanto a Draco, con i suoi capelli biondo chiaro e la tempesta che dominava nel suo sguardo; erano due serpenti, loro, sempre pronti a colpire ed avvelenare. Sempre pronti a scappare quando le cose si mettono male.
Tentatori e meschini.
Belli e terribili.
I fiori del male dal quale sorge la bellezza.
L'alba sorse, illuminò i loro visi stanchi, ma svegli: Narcissa non le aveva chiesto di andare via e lei non si era mossa dalla sua postazione iniziale. La sua mano destra stringeva ancora quella del piccolo Blythe, ma quella sinistra aveva abbandonato quella di Draco; ora c'era sua madre con lui, a cullarlo e rassicurarlo, ma – contro ogni previsione – facendole sudare i palmi e ingoiare a vuoto, gli aveva stretto il mignolo, coprendo quel contatto con le lenzuola bianche e madide.
Lui era caldo, incredibilmente caldo, e la stava riscaldando.
Quel contatto le aveva trasmesso una piccola scossa, ma niente era paragonabile a quelle fiamme che le avvolgevano le mani; il giorno prima era stata lei a strofinargli le braccia e il corpo per riscaldarlo dal freddo e gelido dolore che lo stava avvolgendo, ma ora era il contrario.
Lui nemmeno se n'era reso conto, ma aveva aperto il palmo della mano, quasi invitandola ad incastrare le proprie dita tra le sue.
E, completamente stordito dal sonno profondo in cui era caduto per le medicine, Draco aprì gli occhi quella mattina, trovando quattro paia d'occhi ad osservarlo; diverse emozioni lo attraversarono e trasparì tutto dalle sue labbra leggermente schiuse e gli occhi completamente dilatati.
Non era ancora in grado di fingere, come aveva sempre fatto, non era ancora in grado di nascondersi, come ogni attimo della sua intera esistenza.
Era lì, era Draco, il vero e unico.
Hermione arrossì nuovamente, grattandosi imbarazzata il capo.
« Shhh » sussurrò Narcissa, posando un dito sulle labbra del figlio e zittendolo prima che aprisse bocca per parlare.
« Va tutto bene, amore, pensa solo a riposare » sussurrò, accarezzandogli una guancia e facendo si che Draco sussultasse sotto tutte quelle dolci e amorevoli carezze e quelle tintinnanti e meravigliose parole.
Mamma, non Madre.
« Vado ad avvertire la Mcgranitt e Madama, so che sei in mani sicure » disse Lady Narcissa, prima di alzarsi e svolazzare nel suo vestito azzurro, baciare nuovamente suo figlio sulla fronte e lasciare una scia di un delizioso profumo – dolce, come l'odore di quelle caramelle alla frutta che Hermione da piccola mangiava a volontà – alle proprie spalle.
Draco puntò gli occhi su di lei, come due pugnali pronti a trafiggerla, come due grandi fulmini pronti a colpirla – come due freccie pronte a trapassarle il cuore che le batteva a mille. -
Hermione si sentiva agitata come non mai: il volto di Draco non era duro come al solito, anzi, sembrava ancora perso in quel limbo maledetto dov'era stato trascinato contro la sua volontà, era come un bambino pronto a crollare e le metteva paura.
Draco era fragile e la terrorizzava, perché – in quel terribile momento – lei aveva più paura di lui.
« Sei fredda » sussurrò, toccandosi i capelli biondo platino e guardandola di sottecchi; Hermione sobbalzò, sgranando gli occhi: teneva ancora la propria mano intrecciata con la sua e quando cercò di ritrarre il braccio, rossa come un pomodoro, lui fece forza, trattenendola.
Non distolse mai lo sguardo dal suo, sicuro.
« Ieri non lo eri » continuò Draco, riferendosi a quando era stato ferito; Hermione lo guardò curiosamente, inclinando – sorpresa – il capo: i riccioli ricaddero come una cascata sulle sue spalle e – per la prima volta – Draco notò delle sfumature rossicce tra il bruno scuro dei suoi capelli.
Nonostante fossero crespi, da quella distanza, poteva vedere ogni singola ciocca intrecciarsi su se stessa, abbracciare l'altra intimamente, stringerla e asfissiarla come solo due amanti sanno fare.
Erano belli i suoi capelli, nonostante ora fossero gonfi per la notte passata insonne di fianco a lui; oh sì, l'aveva intuito che lei era rimasta a vegliarlo, aveva sentito le sue dita toccarlo timidamente e questa volta toccava a lui riscaldarla, perché era gelida, perché lei era riuscita – straordinariamente – a trasmettergli l'angoscia che provava per lui... per loro.
« Mi sentivo in colpa, come se fossi responsabile di quello che ti è accaduto; non sono riuscita a fermarlo e mi sentivo inutile » il fiume di parole che uscì dalle sue labbra fu come lava incandescente; Draco la guardò, stringendosi il ponte del naso tra indice e pollice.
« Potrai essere anche la strega più brillante che questo secolo abbia conosciuto, ma cerca di ragionare... non sei né Merlino e tantomeno Morgana, non puoi sapere tutto e – cosa più importante – non puoi salvare tutti, Mezzosangue » sospirò Draco, fissandola in modo eloquente.
« E te? Posso salvare te, Draco? » fu come un soffio di vento, dolce, delicato, appena udibile, ma forte, tanto da sentirlo chiaro, inconfondibile.
Draco tremò, stringendo con forza le sue dita: poteva essere salvato? Era ancora in tempo?
Quegli occhi scuri, bruni, accesi da una nuova speranza, gli urlavano di sì.
Puoi essere salvato.
Ora.
« Hermione? » Harry sgattaiolò all'interno dell'infermeria, con una coperta ingombrante tra le braccia e la faccia di chi ha dormito poco e niente.
Draco lo guardò stranito, regalandogli un dito medio come un delizioso e indimenticabile "buongiorno" ed Harry fece una smorfia, che – sotto sotto – il Serpeverde giurò assomigliasse più ad una risata.
« Ti sei ripreso bene, a quanto vedo, Malfarrett! » sbuffò, aprendo la coperta con un gesto secco e buttando ogni cosa commestibile esistente nel Mondo Magico; cioccorane, gelatine tutti gusti + 1, gomme bolle bollenti, zuccotti di zucca e un'infinità di cioccolata che, appena avvistata, a Draco brillarono gli occhi.
« Questa l'ha fatta Zabini, dice di non poter venire perché c'è troppo movimento lì nei sotterranei...l'attacco tuo e di King ha spaventato molte Serpi » disse Harry, poggiando una torta alle fragole sul comodino alla sua destra; gli occhi di Draco si addolcirono e saettarono verso il letto di Blythe, ancora pallido come un morto.
Così piccolo e dentro già troppo grande.
« Ehm, ecco, ho ascoltato un pizzico di conversazione tra la Mc, tua madre e Madama Chips, dicono che si riprenderà presto – è riverso nello stesso stato comatoso in cui eri tu – e che dovrai restare qui ancora per qualche giorno... ho anche ascoltato il pezzo di quella maledetta che diceva qualcosa sul fatto che la punizione non è affatto finita e io dovrò venire a trovarti ogni santissimo giorno.
Queste, comunque, le ho portate perché per due giorni ti faranno mangiare solo medicina e brodino » disse Harry, aggiustandosi gli occhiali tondi sul naso e arricciandolo appena per il sorrisetto ironico che era nato sulle labbra di Draco.
« Non sapevo fossi gay, San Potter »
« Fottiti » Harry schioccò la lingua, regalando un dito medio simpatico e sincero al nemico di sempre e, con un gesto secco, afferrò Hermione per il cappuccio della divisa e la trascinò fuori dall'infermeria; fece finta di non notare il braccio scivolare via da sotto le lenzuola e nemmeno lo sguardo smarrito di Malfoy, che lo fucilò con gli occhi grigi contratti.
« Dormire con la Serpe non farà diminuire le voci di corridoio, piccola » sibilò Harry, sbattendosi la porta dell'infermeria alle spalle e sorridendo falsamente alle tre donne strette tra di loro e intente a confabulare a bassa voce; la Mcgranitt alzò gli occhi al cielo, indicandosi gli occhi con due dita e indicando subito dopo lui, facendogli intendere che lo teneva d'occhio per bene.
« Due Serpeverde feriti e immobili in un infermeria vuota, pensa prima di parlare, Harry! Dopo il dolore che hanno patito con quell'attacco diretto non volevo di certo che qualche nostro compagnio commettesse una sciocchezza dettata dal dolore e desse ad entrambi il colpo di grazia » nella voce di Hermione traspariva una punta amara e arrabbiata, sembrava che tutto quello stesse per sfociare in odio a chi aveva ferito senza pensare alle conseguenze, senza pensare alla loro vita che stava – di nuovo e ancora, ancora e ancora – per capovolgersi.
« Ti ho aspettata tutta la notte, ma non sei mai arrivata » Harry si bloccò nei pressi della Sala Grande, di fianco alle grandi arcate che mostravano il parco, dove il sole ora stava illuminando le acque oscure del lago, gli alberi secolari della foresta e i rami inquieti del Platano Picchiatore.
Che ora erano? Hermione non lo sapeva, aveva passato la notte in bianco e le mani dell'amico, posate sulle spalle rigide, non l'aiutavano di certo; sentiva le sue dita penetrare nella carne, quasi trapassare i vestiti e trasmetterle qualcosa che Hermione non riusciva a definire.
« Mi dispiace, Harry » soffiò, stanca, poggiando il capo sulla spalla dell'amico e guardando le sirene emergere dal lago; strinse gli occhi, meravigliata, e vide la chioma bionda di una di loro.
Le sirene non uscivano mai dal lago e l'ultima volta che l'avevano fatto era al terzo anno, quando si erano riscontrati dei problemi alla prova del Torneo Tremaghi.
« Harry... perché ci sono sirene fuori dal lago? » sussurrò Hermione, attirando l'attenzione dell'amico e catalizzandola sul volto della sirena, dove gli occhi si posavano sul terreno circostante, come se cercasse qualcuno o qualcosa.
Quasi incantata da qualcosa, Hermione, scavalcò il muro delle arcate che la separava dall'entrata principale di Hogwarts e dal lago, camminando spedita e ignorando i richiami di Harry; più lui le diceva di aspettarlo più le sue gambe si muovevano, quasi correndo per arrivare dinnanzi a due paia d'occhi gialli.
« Hermione! » l'urlo di Harry era lontano e le sue mani fin troppo vicine a quelle di quell'essere che la guardava; la sirena allungò la sua mano squamata, simile ad una pinna, verso di lei e allargò gli occhi in un'espressione quasi deliziata.
Hermione si sentiva completamente incantata da lei: non era un pesce tantomeno una donna, ma un serpente incantatore che la stava trascinando verso di sé, scuotendo sensualmente la sua chioma – simile a tante piccole vipere – e muovendo la bocca pallida e carnosa senza emettere suono; cosa stava cercando di fare? Hermione non riusciva a capirlo, si sentiva solamente senza forze, come se la notte passata in bianco si stesse facendo sentire tutto d'un colpo, facendola sentire pesante, come piombo, come un'ancora che sprofonda sempre di più.
Harry cercò di afferrarla per il mantello della divisa, ma Hermione aveva già afferrato la mano della sirena, sprofondando le unghia in quei palmi squamati e facendo colare alcune gocce di sangue nelle acque scure del lago.
Era lei che si stava facendo male: sobbalzando, Harry, vide le unghie di Hermione saltare uno dopo l'altra quando aveva toccato quella sirena.
Infida.
In un attimo la vide sprofondare sempre più giù, sparire in quelle acque oscure e diventare tutt'uno con esse: le acque si ghiacciarono e diventarono una sola lastra che comparò quella che avvolgeva il suo cuore immobile.
« Hermione, maledizione, Hermione! » urlò, senza fiato, saltando sul ghiaccio e scivolando lungo steso; Harry annaspò, colpendo – con i pugni chiusi – con forza il ghiaccio.
Niente.
Uno, due tre...
Quattro, cinque, sei.
Niente.
Ora sentiva il cuore battere furioso e l'angoscia palpitava insieme all'ansia; i denti cominciavano a battergli per il freddo improvviso che scuoteva le fronde degli alberi e i suoi vestiti.
« Deprimo! » il ghiaccio si inclinò e lunghe increspature si formarono sulla lastra spessa e liscia.
« Ardemonio » non gli importava che avesse usato una maledizione potente, che probabilmente non era nemmeno capace di controllare, sapeva solo che quella vampata maledetta aveva completamente sciolto il ghiaccio e l'aveva fatto sprofondare nelle acque stranamente gelide del lago.
Solo un incantesimo potente poteva causare ciò: niente, niente, poteva condizionare gli agenti atmosferici, se non un grande mago capace di maneggiare la bacchetta più del consentito.
Le fiamme che aveva evocato si spensero insieme a lui, che si bloccò nel bel mezzo del lago; tanti piccoli aghi gli stavano penetrando fin sotto la carne, pugnalandolo togliendogli il respiro.
Harry si tolse velocemente il mantello, tossendo ripetutamente e tuffandosi: gli occhi verdi – spalancati fino all'inverosimile e attenti a qualsiasi movimento – si muovevano frenetici sott'acqua; andava sempre più giù e l'ossigeno cominciava a venire meno, ma Harry sapeva che non sarebbe tornato su senza Hermione.
Le acque erano troppo scure e il freddo cominciava ad appannargli i pensieri, ma l'idea di risalire non gli saltava nemmeno in mente: cercava, cercava, cercava senza sosta, muovendo le mani e le gambe in modo scordinato.
Hermione.
Si sentì afferrare per un braccio, ma non si mosse di un millimetro: l'acqua cominciò a penetrargli nei polmoni e l'aria sparì tutto d'un colpo... era la stessa sensazione che aveva provato quando aveva visto quei riccioli bruni sparire tra quelle acque; il sole cominciò ad intravedersi appena, era come correre tra gli alberi e non intravedere mai la luce per la natura troppo fitta, troppo asfissiante, da togliere il fiato.
La pressione che stavano esercitando sul suo braccio era niente al confronto ai pugni che sembrava ricevere nello stomaco; Hermione, la sua Hermione!
« Merda, Potter, sta fermo! » una voce femminile che non riconobbe gli urlò quella frase, ma la sua mente non la registrò affatto; Harry non riusciva ad aprire gli occhi e tantomeno a respirare.
Sentiva il suo corpo un unico spasmo e stava perdendo lucidità.
Hermione, dov'era Hermione?
« Porco Merlino, respira! » urlò di nuovo quella voce, ma a malapena la sentiva, era così lontana, come miglia da lui.
Un colpo sul petto lo fece tremare e due braccia lo girarono su un fianco: sentiva la testa così leggera, quasi come un pallone, ma tutto questo passò in secondo piano quando l'acqua gli graffiò la gola; Harry spalancò gli occhi quando vomitò tutta l'acqua che aveva ingerito, sputando e annaspando.
Ancora e ancora, ancora e ancora, fino a vomitare persino l'anima.
Due mani lo tenevano, cercavano di tenerlo caldo mentre batteva i denti e spalancava la bocca per vomitare ancora e ancora.
« E' viva quasi quanto lui » una volta aperti gli occhi, Harry, si ritrovò a fissare quelli preoccupati di Blaise Zabini, bagnato dalla testa ai piedi, ma non ebbe la forza né di parlare né di muoversi; si sentiva come se avesse ingerito un macigno che gli impediva di fare qualsiasi movimento, facendogli male persino quando respirava.
« Stai bene? » il ragazzo dalla pelle color moka gli tese la mano, ma era ancora troppo stordito per capirci qualcosa.
« Ehi, Granger... Granger, apri quei maledettissimi occhi! » Harry spostò lo sguardo verso il volto di Pansy Parkinson, intenta a fare la respirazione a bocca a bocca alla sua Hermione.
Hermione, la sua Hermione!
« Avanti... » gli occhi neri di Pansy erano ricolmi di un sentimento che nel suo sguardo non riusciva a riconoscere: era preoccupata, ma era anche arrabbiata e lo mostrava con i ripetuti colpi sul petto di Hermione, completamente immobile.
« Ce la fai, si, ce la fai! » Pansy ruggì, esultando quando Hermione tossì, girandosi su un fianco per cacciare l'acqua che le impediva di respirare.
« Va tutto bene, Potter, è viva... puoi mettere da parte la tua faccia da cucciolo bastonato » disse, ma qualcosa nei suoi occhi la zittì.
Gli occhi verdi del ragazzo sopravvissuto erano spenti, le labbra violacee e le vene sulle tempie gonfie, come se stesse compiendo un enorme sforzo; la faccia rossa, le gambe strette e il corpo steso sul terreno fangoso, era quella la posizione strana di Harry, intento a ciondolare – inerme – il capo.
« Vedi, Potter, è facile colpire i tuoi punti deboli! » Harry parlò con una voce doppia, inumana, e i suoi occhi divennero bianchi, privi di pupilla e iride, solo la sclera dominava a contrasto con i suoi capelli neri.
Una risatina sarcastica uscì dalle sue labbra sottili e Pansy tremò, indietreggiando fino a toccare la schiena con il petto di Blaise, raggelato.
La Mcgranitt, affannata, si fermò ad un metro da loro.
« Credevo saresti stato nostro alleato! Tu li hai combattuti, i tuoi genitori – i tuoi amici e i tuoi amati – sono morti per loro; credevo che avresti sterminato questi bastardi, che li avresti uccisi in lente torture, godendo nel vedere il loro sangue scorrere... ma mi sbagliavo!
Sei sporco dentro, Potter, e questa volta ti sei messo dalla parte sbagliata » il suo sibilio era terrificante e il suo sguardo ancor di più. L'ennesimo risolino ed Harry alzò il capo verso i due Serpeverde.
« Potter non potrà proteggervi a lungo, miei cari serpentelli; cadrete l'uno dopo l'altro, vi schiacceremo come scarafaggi! Giuro che questo è solo l'inizio, il bello ancora deve venire » sussurrò, prima di urlare.
Si contorceva sul terreno e la cicatrice a forma di saetta si aprì completamente, macchiando il suo volto di sangue rosso scuro, confinante quasi con il nero.
« Harry... » mormorò la Mcgranitt, mentre Hermione apriva gli occhi e arrancava verso di lui.
Aveva il braccio completamente squarciato e le mancavano le unghia; un graffio partiva dal sopracciglio e finiva lungo la guancia, ma sembrava avere ancora la forza per raggiungere Harry.
Le urla di Harry svegliarono quasi tutto il castello tanto erano alte: la camicia era andata letteralmente a fuoco e una "S" si stava disegnando sulla carne, marchiandola.
Rossa.
Indelebile.
« Merda » gemette Hermione, abbandonandosi sull'erba e alzando gli occhi al cielo.
Erano nella merda.

***


La faccia di Ginny diceva tutto: era pallida, troppo pallida, e i suoi occhi bruni fulminavano chiunque si avvicinasse, le labbra erano arricciate in un'espressione irosa, arrabbiata, confusa.
Non sapeva nemmeno lei cosa provava, si sentiva solamente spossata, con il cuore a pezzi e impotente.
Ginny era impotente.
I suoi migliori amici erano stati attaccati e lei dov'era? A dormire, senza nemmeno sentire qualcosa, senza nemmeno provare un minimo di dolore: quando suo padre era stato attaccato al quinto anno, aveva sentito il cuore battere forte, anche senza sapere nulla, anche a migliaia di distanza... ma con loro niente.
Era nei migliori dei sogni, non aveva sentito niente di niente, il vuoto, solo la beatitudine di un sonno pieno.
« Ginny, smettila di incolparti di qualcosa che tu non puoi controllare! Cosa potevi saperne tu? » Ron si sedette al suo fianco, scompigliandole appena i capelli rosso fuoco e sospirando, poggiando il mento sulle mani congiunte.
Ginny si massaggiò le tempie, trattenendosi dal prendere suo fratello a sprangate: era indecisa tra il ringraziarlo o il picchiarlo.
« Hai ragione tu » sussurrò, abbandonandosi sulla poltrona e sperando – almeno un po – che il senso di colpa sparisse e la lasciasse in pace.
Solo perché i suoi migliori amici erano stati salvati da due Serpeverde e non da lei.

Io sono di legnoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora