Capitolo 13

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In classe mi sedetti nei posti davanti,non volevo in alcun modo fare nuovamente il professor Esposito.

La classe ce la era già aperta e lui entrò con un espressione indecifrabile. 
Era sempre vestito di bianco, aveva sicuramente cambiato modello della giacca perché il collo aveva qualcosa di diverso e lì, ce lo trovammo con le nostre ricerche svolte. 

Capii subito che c'era qualcosa che non andava. 

Si sedette alla cattedra e tirando fuori il suo pc iniziò a fare l'appello, quel giorno eravamo tutti presenti. 

«Gonzalez, la tua giustifica dell'altro giorno?»Chiese il professore a Elia che si alzo prontamente portando la giustifica. 

Iniziò a dirgli che non era in alcun modo tollerabile una giustifica in ritardo e, anche se Elia provò a spiegarsi giustificandosi del fatto che non era proprio riuscito a farsela firmare ne dal padre né da sua madre, il professore non si risparmiò con lui. 

Elena, che era seduta accanto a me, osservava la scena perplessa. 

Elia tornò al posto maledicendo il professore in spagnolo, fortunatamente lo sentimmo in pochi. 

Dopo l'appello toccò alla consegna delle delle ricerche, passò da ognuno a dare la propria ricerca e mi stupii molto che partì dal fondo per tornare davanti. 

Decisi di smetterla di studiarmelo e interrogarmi sul come funzionasse il suo cervello ed iniziai a farmi gli affari miei, cancellando degli scarabocchi dal mio blocco note. 

«Kone.»Il modo in cui mi chiamò per cognome mi fece rabbrividire. Tutti si voltarono verso me e il professore che mi stava raggiungendo. 

Ero nella merda, il tono e ora pure la sua espressione facciale erano cambiate. 

«Questo ti sembra un lavoro da ragazza di quinta superiore? Ti sembra una ricerca fatta bene? Hai commesso molti errori ortografici che da te non mi aspettavo onestamente. Hai fatto questa ricerca, una semplicissima ricerca con negligenza e senza un minimo di impegno da parte tua.»Mi sbatté la ricerca sul posto e tornò a consegnare le altre. 
Nessuno osò fiatare e non lo fece più nemmeno lui. 

Guardai la ricerca con un nodo alla gola e a stento riuscivo a trattenere le lacrime. 

Era una sottospecie di modo per umiliarmi davanti a tutti? 

Ancora con la ricerca in mano, una goccia delle mie lacrime cadde sulla ricerca e, quando Elena se ne accorse, cercò di tranquillizzarmi ma io la respinsi, non volevo mi vedesse così. 
Né lei, né tanto meno quell'uomo tanto diverso di cui credevo di sapere tutto ma di cui, in realtà, sapevo poco e niente.

Mi ascugai le lacrime con i polsi della felpa e poi mi misi a fissare un punto indefinito davanti a me, composta. 

Ripetevo a me stessa che non ero una bambina come voleva farla passare lui e che sbagliare, poteva capitare a tutti. 

Non seguii per nulla la lezione e a lui, comunque, non importò niente. 

A ricreazione uscii, una cosa rarissima per me, e andai dritto in bagno, mi chiusi in una zona WC e, seduta su di esso scoppiai a piangere. 

Smisi dopo un po' quando sentii una ragazza farlo nella porta accanto. 
Mi ascugai le lacrime con la carta igienica e probabilmente si accorse che che mi ero fermata per dare spazio anche al suo di dolore. 

«Giornataccia, vero?»Mi chiese per poi cercare di schiarirsi la voce. 

Non risposi e lei proseguì. 

«Mi impiccheranno»

Tirai su col naso e quando stavo per chiederle il perché, fece scivolare giù un bastoncino di plastica con un piccolo display nel mezzo. 

«Sono incinta». Disse con un tono disperato. 

Per un attimo mi dimenticai completamente dei miei di problemi e presi in mano quel test. 

Non ne avevo mai visto uno. 

«Che farai? »La mia voce era ancora bassa e tra una parola e l'altra singhiozzavo ancora. 

«Non lo so... Tenterò di scappare con il padre del bambino. Dicono... Dicono che in svizzera la vita sia migliore che non ti obbligano a dare via un bambino se non lo vuoi e... Non ti obbligano a farne uno se non lo vuoi.»Sentì che si soffiò il naso, e che tirò giù lo sciacquone del suo water. 

Le passai indietro il test e se lo riprese. 

«E una volta in svizzera che farai? »Chiesi ancora e lei esitò prima di rispondermi. 

«Cercherò di essere felice, qui nessuno lo è... » Lasciò lo stanzino ma quando mi apprestai a vedere chi fosse, lei era già andata via. 

Compresi che i problemi erano ben altri al piangere perché un professore aveva dato un voto pessimo. 

Da lì decisi che non sarei più stata la stessa. 



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