Capitolo 14

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Passai il resto della giornata a pensare a quella ragazza che ora doveva cercare al più presto il modo per andarsene. 
I controlli sarebbero arrivati presto e ci avrebbero messo pochissimo a rintracciarla. 

Elena, Gio e Elia erano preoccupati per me e nonostante avessi gli occhi stanchi e l'espressione triste cercai in tutti i modi di non farli preoccupare di niente ma feci il patto di non illudermi più come avevo fatto. 

Quando terminarono le lezioni prendemmo il pullman che ci avrebbe portato immediatamente al palco in mezzo alla piazza. 

Eravamo arrivati tardi, vedemmo l'uomo impiccato e fu la prima volta che vidi un morto. 

Eravamo tutti e 4 davanti al palco, l'uomo era stato impiccato, aveva vene violacee nella zona del collo e un espressione spaventosa, piena di disperazione. 
Il monitor accanto al corpo esponeva le ragioni della suo impiccamento:
Traditore della patria. 

Il corpo pareva pesante, era un uomo di mezza età e dovetti allontanarmi con Elena che stava per vomitare. 
Era uno spettacolo raccapricciante. 

Non dicemmo una parola, io ero sconcertata perché chissà cosa aveva commesso di così grave per fare una fine del genere. 

Era una dittatura che ci veniva imposta e che doveva per forza andarci bene altrimenti probabilmente avremmo fatto la medesima fine dell'uomo. 

Una volta raggiunto il nostro quartiere ci salutammo tutti e ognuno andò a casa propria... Io prima, però, mi assicurai che Elena arrivasse in casa senza vomitare o piangere e quando eseguii il mio compito corsi dritta a casa mia. 

Papà sarebbe tornato l'indomani e così, sola in casa perché mamma avrebbe fatto il doppio turno, decisi di rovistare tra le vecchie cose dei miei. 

Trovai tante foto di quando ero piccola, e di quando loro erano più giovani. 
Guardavo quelle foto sorridendo con la torcia in bocca per poter essere facilitata nello sfogliare gli album. 

C'erano i vecchi telefoni dei miei genitori, dietro di essi c'erano raffigurate mele o c'era scritto "Samsung”.

Esisteva un periodo in cui ci si poteva scegliere il telefono cosa che in quel momento sembrava improbabile. 

Osservai sorridendo la varietà di colori delle magliette che indossavano i miei e per un attimo mi venne un bel groppo alla gola. 
Chiusi l'album e lo rimisi al proprio posto mentre continuavo a rovistare. 

Fui spaventata da un suono di allarme che mi fece uscire subito dalla soffitta e correre immediatamente di sotto per vedere cosa stava succedendo. 

Mi affacciai alla finestra spostando leggermente le tende e, nella stanza vuota, vidi un uomo urlare mentre veniva portato via. 

Deglutii quando sentii uno sparo, ma ormai ero immobilizzata. 
Sentivo i suoni ovattati, la scena sfocata mentre l'uomo che urlava venne portato via come un peso morto e buttato dentro al camioncino che avremmo presto imparato a temere. 

Quando finalmente riuscii a riprendere il controllo del mio corpo, corsi in camera mia e mi ci chiusi dentro, circondata dalle cose a cui tenevo inziai a piangere, piangevo perché avevo finalmente aperto gli occhi per davvero e non volevo vivere in un mondo simile. 

Avevo paura di uscire di casa nonostante sentissi il bisogno di parlare con qualcuno. 
Il più vicino di casa era Valentino, ma non sapevo né se si trovasse in casa, né se le sentinelle fossero dietro l'angolo pronte a sbarazzarsi di chiunque avesse provato anche solo avvicinarsi alla zona interessata. 

Non potevamo comunicare tra di noi, ci avevano tolto ogni metodo per farlo. 
Internet era controllato, le chiamate telefoniche tutte vigilate. 

Era un incubo ad occhi aperti e senza una via di uscita. 

Provai a fare i compiti e fortunatamente riuscii a farli. 
Dopo di che appena sentii la porta aprirsi di sotto, presi un vaso e scesi di sotto. 

Appena verificai fosse mia madre, lasciai il vaso per terra e ricomimciai nuovamente a piangere. 

Era stata messa a corrente di tutto e così aveva deciso di lasciare il lavoro prima per assicurarsi stessi bene. 

Non stavo bene, tutte le cose stavano andando a rotoli intorno alla mia vita. 

Papà, la sera, chiamò mamma per chiedere se stessimo bene e lei... In un linguaggio quasi cifrato, gli communicò cosa era accaduto. 

Lui invece ci disse che non avrebbero potuto partire per tornare a casa a seguito di alcune proteste insorse al parlamento. 

Nonostante avessimo il televisore acceso sul telegiornale non fu comunicato nulla di simile e la cosa iniziò a spaventarmi pericolosamente. 

La nottata non fu facile da affrontare, mamma si propose di dormire con me, ma verso le 4 fummo svegliate nuovamente da quel maledetto suono assordante che era simile a quello di un ambulanza ma non lo era affatto. 
Era assordante e fastidioso, un suono che ti entrava nelle orecchie e a fatica usciva dalle tue orecchie. 

Ci fu un intero via e vai di vedette per il resto della notte che si fermarono solo verso le 6, quando mamma dovette andare a lavoro. 
Non voleva lasciarmi a casa da sola e così mi portò da Valentino che non si fece alcun problema a tenermi con sé. 

Viveva in un appartamento al terzo piano in una palazzina non molto distante da casa nostra. 

Non era grandissima ma era comunque molto accogliente. 
Appena si entrava nell'appartamento era impossibile non notare la grandissima quantità di libri. 
Libri sparsi ovunque, libri negli scaffali e non solo. 

«Vuoi bere qualcosa? »Mi mise una mano sulla spalla e io per un attimo mi spaventai. 

Lui si preoccupò e io gli chiesi scusa per quel balzo inappropriato. 

«È una situazione del cazzo»Ammise mentre controllava la temperatura del latte. 

Mi limitai a concordare con lui in silenzio e mi sedetti su una sedia, ammirando il panorama che quell'omonima finestra al terzo piano offriva nella sala da pranzo di Valentino. 

Lui mi passò una tazza e una fetta biscottata con chissà quanti chili di nutella. 

Mi accarezzò il viso e io gli sorrisi, riuscivo a tranquillizarmi un po' con qualcuno di cui mi fidavo al mio fianco. 

«Hai sentito delle proteste che sono insorte a Roma? »Mi chiese poi mentre si pulii la bocca dalla nutella con cui si era appena sporcato. 

«I nostri padri non torneranno molto presto»Aggiunsi mentre gli indicai con la mano i punti in cui era ancora molto sporco di nutella. 

«Speriamo di sì invece. È una situazione terribile, non ho chiuso occhio stanotte...quelle maledette vedette non smettevano di andare e venire. Oggi mi informo ma è meglio se per un po' nessuno vada alla fabbrica. Capito? » 

Alzai le spalle e annuii. 

Appena mi presi un po' di coraggio gli raccontai del giorno prima, di quella ragazza incinta che sarebbe voluta scappare con il padre del bambino. 

Lui mi ascoltò molto attentamente e quando nominai la Svizzera lui mi fece cenno di abbassare la voce. 

«Le probabilità sono bassissime... Riuscire a scappare per andare in svizzera è un suicidio.»

«E se ci riuscissero? » chiesi fiduciosa e lui sorrise. 

«Sarebbero fortunati e potrebbero vivere una vita felice insieme...»

Tenni la tazza di latte tra le mani e cercai con la massima della buona volontà di non piangere. 

«Non voglio vivere così per il resto della mia vita Vale...»

Lui mi alzò lo sguardo e sorrise mentre riuscì ad intercettare e ascugare immediatamente una mia lacrima con il pollice. 

«Allora non ti preoccupare... Cerca di vivere tranquillamente la tua vita okay? Tutto questo finirà.»












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