Capitolo ventuno: Sapore di te

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NATALIE

Sono seduta nella sala d'aspetto del pronto soccorso da un tempo che mi sembra infinito, aspettando che mi lascino andare. Non appena afferro dalla tasca del mio jeans il cellulare e apro la fotocamera interna, noto che la garza bianca occupa tutta la mia guancia e mi sento terribilmente tirare non appena provo a sorridere. La ferita mi brucia, eppure è più invadente il dolore che provo al pensiero di ciò che è successo poco fa. Jackson e Ander che si prendono a pugni... è così surreale.

Dovrei avvisare mia madre?

Sicuramente lei vorrebbe che lo facessi, ma non sono sicura che questo sia il momento giusto per farlo. Ho bisogno di prendermi un po' di tempo per immagazzinare l'accaduto... forse è meglio se le telefono domattina.

Le pareti bianche mi mettono ansia per questo motivo cerco di non guardarle. Di fronte a me c'è un signore con una profonda ferita sul braccio, mi fa impressione solo guardarla; forse lui se l'è procurata davvero cadendo dal letto, non come me. L'infermiera mi ha guardata storta non appena mi ha medicata, come se ci fosse qualcosa che le nascondessi, e in effetti c'è. Tuttavia il piano che ha pensato Ander ha funzionato alla perfezione perché dopo averle spiegato, passo dopo passo le dinamiche dell'accaduto, se l'è bevuta.

«Mi raccomando signorina, la ferita non è profonda ma le consiglio comunque di lasciare la garza sulla guancia per tutta la notte. Domattina la tolga e disinfetti la ferita per cinque giorni con questo medicinale, così si cicatrizzerà prima. Ah, e per favore non la tocchi, altrimenti allungherà il processo di guarigione» mi ha detto dandomi una boccetta di disinfettante.

«Signorina Johnson?»

Mi sento chiamare improvvisamente. Mi volto e un uomo con la divisa blu e l'aria annoiata mi viene incontro, aspettando che mi alzi prima di cominciare a parlare.

«È tutto a posto, nessun danno cerebrale. Se le gira la testa è normale, evidentemente ha sbattuto contro il pavimento, ma le passerà al massimo tra qualche giorno. Se così non dovesse essere, ritorni in pronto soccorso e le faremo una seconda visita.»

Faccio fatica a non perdermi nel suo discorso, ma alla fine annuisco. Lo seguo verso un ampio bancone dietro il quale c'è un'infermiera impegnata a leggere delle cartelle. Firmo alcuni documenti e tiro un sospiro di sollievo non appena mi comunica che posso andare.

Ander ha l'aria preoccupata non appena entro nella sua auto.

«Allora? Ti hanno creduto?» chiede immediatamente muovendo la gamba in modo nervoso e sembra che non vedesse l'ora di domandarmelo.

«Sì, è andato tutto alla perfezione.»

Annuisce e sembra rilassarsi un po'. «Meno male. Che cosa ti hanno detto?»

Mette in moto l'auto e in meno di un secondo siamo già sulla strada.

«L'infermiera ha detto che la ferita non è profonda quindi non ci vorrà tanto affinché si cicatrizzi...»

«È una buona notizia... ma questo non cambia ciò che quel bastardo ti ha fatto...» Sembra pensieroso. «Se solo Jackson fosse qui...» Non finisce la frase ma riesco a immaginare a cosa stia pensando perché sta stringendo così forte il volante, che le nocche gli diventano bianche.

«Ma lui non è qui» sibilo.

«Lo so.»

«Quindi possiamo dimenticare ciò che è successo stasera?»

«Non posso.» Scuote la testa guardando impassibile la strada di fronte a lui.

«Ti prego, Ander.»

Quando dai all'amore una seconda chanceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora