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L'aggiornamento avverrà ogni domenica.
I capitoli sono brevi, ma spero ugualmente possano piacervi.


Dedicato a B.
Non te ne sei mai andato,
stiamo solo vagabondando
in due mondi diversi.


Wandervogel - Capitolo 1


Caro Wandervogel, per favore, ascolta la mia storia.
Potrebbe non riguardarti, ma dev'essere stato il destino a farti atterrare sulla mia spalla.
Se ti annoierai e sceglierai di volare via, non mi dispiacerà. Ma se puoi, per favore ascolta fino alla fine.
E poi riderai di quanto mi sia aggrappato a questa stupida storia?


Mi stringo forte nella giacca pesante che indosso, affondando il viso in questa e serrando gli occhi, respirando con la bocca e osservando una nuvola di fumo abbandonare le mie labbra, per poi disperdersi nel cielo sopra di me.

Vivo in una città triste che rappresenta perfettamente il mio stato d'animo costante e che, con l'autunno, peggiora ulteriormente.

Mi passo una mano sul viso, sentendo un rigonfiamento vicino all'occhio e uno sulla fronte, dove probabilmente mi usciranno presto dei lividi che spero, in cuor mio, non si notino troppo.

O sarebbero un'ennesima goduria.

Non mia.

Mi prendo il viso tra le mani, sospirando a fondo, per poi darmi dei pizzicotti veloci sulle braccia, alzando lo sguardo e stabilizzando il respiro.

Non devo piangere.

Piangere è da deboli.

E io non lo sono, nonostante chiunque, vedendomi ridotto così, penserebbe il contrario e, forse, un po' di ragione l'avrebbe.

Apro il cancello, lasciato socchiuso, di casa mia e tasto le mie tasche per cercare le chiavi di casa:

"Hey! Bentornato a casa."

Ignoro la voce, estraendo finalmente le chiavi e inserendole nella serratura, mentre sento la stessa presenza che mi ha saluto, guardarmi con un sorriso gioioso e seguire attentamente le mie azioni, come non le avesse mai viste fare da nessun altro, come se fossi così particolare da venire osservato.

Apro le porta, per poi chiuderla immediatamente alle mie spalle, lasciando fuori quella fastidiosa voce, nonostante sia un'azione completamente inutile.

Infatti, senza lasciarmi il tempo di togliermi le scarpe, la figura della ragazza è di nuovo a fianco a me:

"Lo so che mi hai sentito. Non è gentile ignorarmi." E fa un leggero broncio, incrociando le braccia al petto e guardandomi offesa: "Com'è andata la giornata?"

Io sbuffo, alzando gli occhi al cielo e abbandonando le scarpe all'entrata, levandomi poi la sciarpa e la giacca, appendendole all'appendiabiti e facendomi strada nel silenzio della casa:

"Stai zitta e muori!"

Rispondo infastidito all'altra che scoppia a ridere di gusto, raggiungendomi in quei pochi passi che ci distanziano:

"Io sono già morta!"

Ridacchia, come se ci fosse qualcosa di effettivamente divertente in questa realtà.

Amelia Ferrario è un wandervogel, così si è presentata la prima volta, si è definita un "uccello di passaggio", per puro caso in casa mia.

Amelia è un angelo, un fantasma, un fastidioso fantasma, preciserei.
È morta a 28 anni, per suicidio. Una giovane, simpatica, allegra ed esuberante dottoressa, morta suicida. Sembra quasi ironico, un paradosso.

In realtà non è una casualità che lei sia qui. Qui in casa mia, nelle mie mura. Amelia Ferrario è morta cinque anni fa. Ed è morta in casa mia. Casa che, ai tempi, apparteneva a lei, trasferitasi qua per studio prima e lavoro poi.

E non riesco a non pensarci ogni giorno, poiché sono costretto a passare sempre di fronte al muro del corridoio principale dove, in maiuscolo, capeggia una scritta ben chiara:

"Eccoci al mio posto preferito di questa splendida casa!"

Esulta Amelia, indicandomi il muro:

"È esattamente questo il punto in cui sono morta anni fa!"

Accarezza, seppur impossibilitata, quella scritta, tracciandone i bordi con le dita corte quasi bambinesche e osservando felice quelle due righe. Così lo faccio anche io, per l'ennesima volta, e, per l'ennesima volta, un senso di vuoto prende piede in me.

Ferrario è stata qui

Recita la breve frase che vedo da quando Amelia è entrata nella mia vita. Nessuno la vede a parte me e lei. Io la vedo perché lei me lo permette, perché lei vive con me, è come se fosse parte del mio corpo e della mia anima e, come tale, vedo cose che, normalmente, non dovrei poter vedere.

Sbuffo e mi allontano da quella scritta. L'ho fissata già per troppo oggi:

"È proprio per questo motivo che amo quel film, come si chiama? Shawshank (*) qualcosa, hai presente?"

Cerca una risposta Amelia, guardandomi con i suoi occhi azzurri puntati sui miei scuri:

"Stupida poser."

Mi ritrovo a pensare, amando il regista di quello straordinario film, infastidito dal fatto che Amelia non conosca nemmeno il titolo e se ne appropri come fosse suo.

Non riesco ad avercela con lei, quindi preferisco non pensarci e tornare agli affari miei.

Mi giro un attimo verso Amelia, trovandola stranamente silenziosa, ferma di fronte alla scritta. La guarda in modo malinconico e triste, seppur con quel suo sorriso leggermente accennato ad inarcargli le labbra.

Amelia non mi ha mai detto il motivo della sua morte, è sempre stata molto vaga, sviando il discorso o cambiandolo completamente, deconcentrandomi dall'argomento.

Quelle poche volte che mi ha risposto, si è limitata a dirmi che era stanca, stanca della sua vita, era cresciuta annoiandosi e quella stanchezza nei confronti della vita non era mai realmente sparita, portandola a tale decisione.

Non ho mai insistito, né mai preso sul serio queste frasi. Vedendo la persona che mi si è sempre presentata davanti, da qualche mese a questa parte, nulla mi fa pensare che lei fosse stanca della sua vita:

"Quindi, Marie', cosa facciamo?"

Sbatto le palpebre, non rendendomi conto di essere rimasto a fissare la ragazza, che ora mi guarda sorridendo radiosa, aspettando una mia risposta.

Mi passo le dita sul ponte del naso, stropicciandomi gli occhi:

"Sei stanco? Vuoi dormire? Ti lascio riposare e preferisci che torno tra qualche ora?"

Mi domanda preoccupandosi per me e un calore mi investe il corpo.
Amelia è così gentile con me, così premurosa, paziente, riesce sempre a farmi ridere, anche quando non ne ho alcuna voglia, è un'anima buona a differenza di me, che non faccio che allontanarla dalla persona che sono.

Invidio la sua spensieratezza e, in momenti come questi, non comprendo come un'anima così pura, casta e delicata come quella della ragazza, abbia potuto decidere di prosciugarsi la vita, compiendo un gesto estremo e irreversibile come il suicidio:

"No, Amelia, non preoccuparti. È solo il tempo che mi rende così, non andrò a dormire, puoi restare, se vuoi."

Il volto della ragazza si illumina:

"Se ti fa felice che io rimanga, io rimarrò senza alcun problema!"

Annuisco per confermarle di volerla al mio fianco:

"Facciamo una partita?"

Le domando, entrando in salotto, seguito da un'emozionata Amelia che prende posto, se così si può definire, su una delle sedie che circondano il tavolo, aspettando che io prenda le carte.


(*) Il film di cui parla Amelia (Law nella versione originale) è "The Shawshank Redemption", che in italiano prende il nome di "Le ali della libertà", film del 1994.

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