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Wandervogel - Capitolo 8


"If the truth tell, darling, you
fell like there ain't enough
dying stars in your sky."

"Only the brave", Louis Tomlinson


"Bentornato a casa!"

Le mie mani si aprono, lasciando cadere il telefono che avevo in una, mentre la mia bocca si socchiude e i miei occhi si sgranano.

Non posso crederci.

Amelia è lì, di fronte a me, che mi guarda comprensiva, con un sorriso accogliente in viso.

Bella come non mai.

Come se non se ne fosse mai andata.

Esattamente così: un mese esatto dopo, la Wandervogel che animava la mia casa e la mia vita è tornata. Ed è tornata come se non ne fosse mai andata.

Non smetto di guardarla anche mentre mi tolgo la giacca, mettendola al suo posto, mentre la mia mente si riempie di domande che non troveranno mai alcuna risposta.

Perché è tornata? No, forse sarebbe più giusto chiedere: perché se n'è andata? O forse il motivo del suo ritorno è ancora più importante, pur se quello del suo apparente addio è più enigmatico.

Forse sarebbe meglio chiederl-

"Marié..."

La guardo.

Forse è meglio non chiederle nulla e ricadere nel suo corpo e nella sua anima per l'ennesima volta, aggrappandomi a questo fantasma, a questo angelo, a questa mia - forse - creazione mentale:

"... Vogliamo giocare a carte?"

Mi domanda, rilassando i lineamenti e precedendomi nella sala dove eravamo abituati a giocare a carte e a fingere di conoscerci, perché le domande non erano mai private e a nessuno importava realmente andare più a fondo nell'altro.

Io la guardo di sottecchi, seguendo i suoi passi sul pavimento.

Sa perfettamente che avrei accettato nuovamente di giocare, senza il bisogno di chiedermelo una seconda volta né di insistere.

E sa perfettamente che avrei perso nuovamente a questo gioco nel quale sembra tanto fortunata.

Tanto fortunata nel gioco, tanto sfortunata nel casino generale che è la vita a quella strana età, dove sei fuori dall'adolescenza, ma non hai ancora accesso nel mondo adulto e dove ogni singola decisione sembra sbagliata e tu finisci per sentirti solo in mezzo alla gente e fuoriluogo tra amici e parenti, che si stanno realizzando, mentre tu guardi la vita scorrerti di fronte e puoi fare solo quello.

Perché di intervenire attivamente non ne hai voglia.

L'unica volta che Amelia è intervenuta è stata per mettere la parola "fine" a quell'accozzaglia di avvenimenti e di emozioni che l'hanno estraniata dalla vita, chiudendola in un luogo buio con quattro pareti, una gabbia nata e cresciuta nella sua mente, impossibile da abbattere, sempre più stretta e soffocante.

Sospiro, scacciando quei pensieri dalla mia testa, quando scopro le sue carte, trovandomi di fronte l'ennesima sconfitta, accompagnata da un suo sorriso divertito:

"Quindi..."

Mi lascio cadere meglio sulla sedia, passando le mani tra i miei capelli scuri, per poi appoggiare il viso sul palmo:

"Dimmi, qual è la tua domanda questa volta?"

Le chiedo, preparandomi già ad un'ennesima, stupida e futile domanda, come tutte le altre volte in cui è successo.

Invece lei ritorna seria, alza lo sguardo e mi analizza per un po', prima di portarsi le mani incrociate sotto il mento:

"Sembra che tu stia per scoppiare."

Si lascia andare ad una risata priva di ironia, quasi fredda e amara, mentre scuote piano la testa come mi stesse rimproverando di quel mio, apparentemente strano, comportamento.

Io stringo i pugni, incupendo e rendendo più duro il mio sguardo:

"Mi sembra il minimo, diamine non ti capisco. Te ne sei andata senza nemmeno avvisare, senza anticiparmi questo tuo addio, lasciandomi da solo da un giorno all'altro, come se in questa casa non ci fossi mai venuta.
Poi tutto ad un tratto rientro a casa, dopo un mese che non ci sei, e tu sei di nuovo qua e mi parli in questo modo, pretendendo di voler giocare a carte come se nulla fosse successo."

Faccio una breve pausa e baro a questo gioco, avanzandole io una domanda anche se toccherebbe a lei:

"Mi hai lasciato senza possibilità di risposta: perché te ne sei andata? Perché sei tornata?
Io... Io semplicemente non riesco a capirti."

Mi porto le mani tra i capelli, mentre fisso le carte scoperte sotto di noi, come se quei numeri potessero parlarmi più dello sguardo che mi sta riservando, cercando di trovare le parole adatta per rispondere a quel flusso di parole che non so se si aspettava o meno.

Spesso mi dimentico come lei molte cose le abbia scordate e dimenticate, come anche un suo sorriso possa significare tante cose per me, ma zero per lei, fatto solo per il gusto di muovere quei muscoli facciali e apparire ancora più bella di quanto lo sia.

Era qua solo per casualità, mi ripeto, mentre lei non smette di guardarmi e quasi mi dimentico la domanda. Amelia è qua per un errore o forse per rivedere quello che è suo e io non ne faccio parte. Sono solo di troppo in una sua foto mentale nella quale non dovrei apparire, messo in un secondo momento per puro errore.

E quanto vorrei allungare una mano verso il suo viso, sperando di percepire il calore e la morbidezza della sua pelle, per poi dirle quanto la sua bellezza non necessiti di nulla per apparire e che brilla di una luce tutta sua. Che il suo suicidio è stato un gesto tanto egoista quanto sbagliato e che sognava due ali per volare le sarebbe bastato guardare il cielo e sognare di essere una stella per qualche minuto.

Vorrei dirle che ci sono tante cose belle nella vita, che aveva ancora tante cose da imparare, tanti libri da leggere, tanti posti da scoprire e tanti cieli da vedere; che meritava ancora di piangere se qualcuno la deludeva, perché dopo la pioggia esce sempre il sole, ma forse nelle sue giornate non era così. Che di musica da scoprire ne ha lasciata indietro tanto e che il suo cantante preferito aveva ancora tanti album da far uscire e lei ne aveva molti da scoprire.

Ed è proprio con questi ragionamenti che penso di quante cose lei si sia voluta, inconsciamente privare, perché al suo dolore non esisteva cura e non importava quante stelle poteva ammirare e quante potessero illuminare la sua mente cupa, perché le stelle morenti sarebbero sempre state maggiori e lei si sarebbe persa a guardare quelle, che precipitavano, spegnendosi definitivamente, senza possibilità di risalita.

Ecco forse cosa non ho mai avuto la forza di vedere in lei.

Che non è un sorriso a rendere felice una persona né la gentilezza a renderla pura e lontana dal mondo malato e sporco che si trova oltre quell'illusione creatasi nella mente di alcuni.

Semplicemente i sorrisi che lei mi riserva, la gentilezza che mi mostra, vogliono proteggere me da ciò che ho attorno, dal cielo spento che lei ha dentro, per consentire a me di tenere tutte le stelle illuminate e di lasciarmi un cielo chiaro che mi illumini la via, senza farmi cadere nel fossato nel quale è crollata lei con tutte le speranze:

"Non ha importanza."

"Cosa?"

Chiedo io, guardando le sue labbra che si sono mosse per quella frase:

"Non ha importanza perché io me ne sia andata o perché sia tornata. È troppo tardi per me, ormai. Ma tu..."

E deglutisce, facendosi di colpa seria e lasciando che i suoi occhi si svuotino di qualunque emozione, come gli occhi di un fantasma che non prova nulla e io deglutisco, sentendomi quasi a disagio:

"Cosa pensi di fare con quella pistola nel tuo cassetto?"

Wandervogel | TeduaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora