Wandervogel - Capitolo 2
"Hey, è il tuo turno."
Alzo lo sguardo guardando Amelia che mi fissa con un sorriso amichevole, chiusa in un maglioncino bianco molto più grande di lei, mentre attende che io continui il gioco.
A volte io e Amelia per passare il tempo insieme e dimenticarci dei nostri pensieri, giochiamo a poker. Dal momento che Amelia non può toccare le carte, essendo un fantasma, pesco quella che mi indica con il dito e gliela mostro, tenendola io per lei.
È uno strano modo di giocare, ma so che a lei fa piacere e che, in qualche modo, rende meno noiosa la sua convivenza con me.
Per me è soddisfacente averla intorno, mi fa sentire meno solo e voluto almeno da qualcuno che non mi ha mai giudicato da quando è qua, forse perché nemmeno mi conosce o perché riesce a vedere del buono in una persona inutile come me.
Il gioco prosegue per vari minuti e io sono tremendamente concentrato a trovare una strategia per vincere almeno una volta ogni tanto.
Amelia è, al mio contrario, completamente rilassata e sorride a vedermi con la fronte aggrottata e ben attento, cercando di batterla, al fine di scoprire qualcosa in più su di lei.
Infatti l'unica regola che ci siamo realmente imposti è quella che il perdente dovrà rispondere ad una qualunque domanda che gli verrà posta da chi ha vinto.
E, come premesso, Amelia vince quasi sempre.
"Pronta?"
"Yes!"
Risponde la ragazza di fronte a me, lasciando che le scopra le carte dopo averlo fatto con le mie. Passano pochi secondi e la risata cristallina di Amelia raggiunge le mie orecchie, mentre lei si appoggia un gomito sul tavolo, con una mano tra i capelli:
"Oops."
Sorride, osservando fiera la sua scala colore (straight flush) contro il mio banale tris (three of kind), mentre io lascio cadere la testa sul tavolo, esausto da quell'ennesima sconfitta:
"Tutto questo è assurdo, sei imbattibile. Hai per caso barato?"
Chiedo, esausto di farmi battere continuamente da questa ragazza, che scuote la testa, chiudendo gli occhi e sorridendo goliardicamente:
"No, mi dispiace, diciamo che sono solo molto fortunata."
Muovo poco la testa, completamente in disaccordo con lei e dalle mie labbra esce una frase che avrei dovuto sicuramente evitare, ma me ne rendo conto solo una volta detta:
"Ti ricordo, Amelia, che sei tu quella che ha vissuto una vita così brutta da avere avuto il bisogno di ucciderti per finirla. Quindi evita di dire che sei fortunata."
Il respiro di Amelia si blocca e il suo sorriso svanisce, mentre la percepisco abbassare gli occhi, desolata e dispiaciuta, come fosse colpa sua e come se quelle parole, vista la sua drastica scelta, non avessero il permesso di lasciare le sue labbra.
Si è spenta in pochi secondi.
Io alzo lo sguardo, ma senza scusarmi o altro, evitando di incrociare il suo sguardo e fingendo di non vedere la sua mano chiusa a pugno e serrata sul tavolo, esattamente come le sue labbra strette, che non capisco se trattengano insulti o lacrime.
Non penso di aver mai visto Amelia piangere da quando è qua.
Non penso di averla mai vista triste in realtà.
Mi alzo dal mio posto quando sento l'acqua bollire nel pentolino che ho lasciato sul fuoco qualche minuto fa, ignorando Amelia:
"Quindi..." Sospiro: "Qual è la tua domanda?"
La sento muoversi sul suo posto, probabilmente per poggiare il viso sulla sua mano come suo solito:
"Che ramen ti sei preparato oggi?"
Sussulto, sbarrando poco gli occhi, per poi socchiuderli nuovamente e sospirare:
"Shoyu."
Rispondo freddamente, versando l'acqua bollente nel piccolo recipiente e ritornando sui miei passi, pronto a mangiarlo continuando a parlare con Amelia:
"Tutto quello che mangi sono semplicemente noodle istantanei."
Annuisco, mangiandone un abbondante forchettata, mentre lei mi fissa quasi rimproverandomi, così allungo il cibo nella sua direzione, ottenendo un suo sguardo confuso:
"Ne vuoi un po'?"
Amelia non mi ha mai fatto reali domande, nonostante la continue occasioni. È sempre rimasta estremamente vaga e generica, chiedendomi cose futili e banali. Così ho fatto lo stesso, rispettiamo questa involontaria comune decisione e andiamo avanti così, con domande che potrebbero venire fatte senza un gioco di mezzo.
Lei scuote la testa, rifiutando ovviamente il cibo:
"Sai che perdi tutti i tuoi gusti e passioni una volta morto? Anche l'appetito e tutto ciò che lo riguarda."
Io sbuffo, riprendendo a mangiare, sentendo il suo sguardo curioso e dolce su di me:
"Idiota. Il ramen è un ottimo cibo, che tu abbia fame o meno, indipendentemente dai tuoi gusti, solo una persona che non appezza il buon cibo lo rifiuterebbe."
"Davvero?"
Mi domanda confusa, spalancando gli occhi e la bocca, sfarfallando un paio di volte le ciglia, in attesa di risposte. Sembra così infantile quando si comporta così, chiedendomi cose ovvie, ma che, da viva, pare non aver mai vissuto e mi chiedo come possa non averlo fatto.
Io annuisco, ma in realtà sono più spaesato di lui dopo aver metabolizzato ciò che mi ha detto.
Una volta che sarò morto perderò l'appetito, tutti i miei gusti e le mie passioni, rimarrò neutrale e spento come una macchina che non funziona.
Mi trovo costretto ad alzare lo sguardo su Amelia, in un suo momento di distrazione, con l'attenzione portata fuori dalla finestra. E se questa gentilezza fosse solo apparenza, se in realtà lei non provasse nulla per me e rimanesse qua perché obbligata e non perché quel minimo interessata a me?
Se fosse tutto falso e in questi mesi mi fossi solo illuso di convivere con una persona che per me non nutre il minimo interesse?
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Wandervogel | Tedua
Romance"Caro Wandervogel, per favore, ascolta la mia storia. Potrebbe non riguardarti, ma dev'essere stato il destino a farti atterrare sulla mia spalla. Se ti annoierai e sceglierai di volare via, non mi dispiacerà. Ma se puoi, per favore, ascolta fino al...