Capitolo Due

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Il silenzio regnava sovrano nella sua camera da letto. L'unico rumore udibile era lo strisciare del pennello umido su una tela che fino a poche ore prima era sterile. 

L'unico soggetto lì presente era Edoardo, che si faceva guidare dal suo esile polso destro. Stava seduto a gambe incrociate su un piccolo sgabello, con gli auricolari nelle orecchie, ricurvo sulla tela sporca di linee nere e grigie, con lo sguardo fisso e al contempo vuoto, come se stesse cercando anche lui di capire cosa stesse dipingendo, nonostante l'immagine nella sua mente fosse abbastanza nitida.
La stanza di Edoardo era molto semplice.
Non era molto spaziosa, ma neanche troppo stretta. Il letto stava fermo nell'angolo opposto alla porta, posizionato tra due finestre, la prima stava vicino ai piedi, sopra il termosifone, la seconda, che era un finestrone che permetteva di accedere al balcone anziché una vera e propria finestra, si trovava a circa mezzo metro dalla testa.
Di fronte al letto c'era un enorme guardaroba che prendeva almeno tre quarti della parete.
La scrivania invece stava dirimpetto alla porta.
Per quanta luce potesse entrare dalla finestra e dal balcone, la stanza restava comunque un po' scura a causa delle pareti color porpora che assorbivano maggior parte dell'illuminazione, e questo era dovuto anche al parquet marrone scuro.
Edoardo aveva sempre pensato di voler ripitturare le pareti, ma non ne valeva la pena anche perché viveva lì in affitto e non sapeva per quanto ancora vi fosse rimasto lì. Optò invece per una soluzione più semplice per certi versi, comprò un filodendro che mise nello spazio vuoto tra l'armadio e la porta, ed un paio di piantine grasse sulla mensola della finestra. Rese l'illuminazione più efficiente, posizionando una lampada da terra nera nell'angolo tra il suo letto e la parete, e sulla testiera vi appese una piccola icona a neon che raffigurava una scarpetta da danza classica, regalo di compleanno della sua vecchia classe di ballerini. Infine, aggiunse una striscia di luci all'interno dell'armadio.
Per porre rimedio all'orribile colore delle pareti, decise di appendere le sue migliori opere d'arte in giro per la stanza, almeno così conferivano alla camera un tocco di classe in più.
Fu sera prima che se ne potesse rendere conto. Aveva continuato a dipingere anche nella penombra. Quando ormai non riuscì a distinguere le ombre dipinte da quelle reali, accese una lampadina a luce fredda sulla sua tela.
Si grattò il naso con la mano sporca di nero, si risistemò sul suo sgabello e proseguì il suo disegno.
Non ne fu certo, ma sentì bussare alla sua porta e si sporse oltre il suo dipinto per vedere se qualcuno fosse entrato. La porta si aprì piano e vide l'ombra di un ragazzo entrare.
La luce del soffitto si accese e fece istintivamente socchiudere gli occhi di Edoardo, abituati alla penombra.
"Finirai per diventare cieco." lo ammonì il ragazzo dai capelli biondo cenere che aveva appena acceso la luce avvicinandosi a lui.
"La cena è pronta vieni a mangiare." aggiunse poi in tono più amichevole.
"Finisco qui e arrivo." rispose il castano che riprese a dipingere.
Clemente rimase dietro al quadro.
"Posso vedere?" chiese incuriosito. L'amico fece spallucce, così si sporse per osservare il disegno. Rimase fermo a studiarne ogni minimo dettaglio. Gli sembrava così realistico.
Clemente, oltre ad essere il suo migliore amico e coinquilino, era anche il suo fan numero uno e suo più grande critico.
"Fantastico." commentò.
"Non è niente di che." disse invece l'amico, alzandosi e posando la tavolozza sullo sgabello.
"È più bello nel dipinto che nella realtà." aggiunse con un sorriso. "Perché tutto è più bello quando si trova qui." rispose toccandosi una tempia ricambiando il sorriso. Edoardo uscì dalla stanza per lavarsi le mani, e nel frattempo l'amico diede uno sguardo a degli schizzi fatti a matita che giacevano sulla scrivania del coinquilino.
Li prese e li osservò uno ad uno. Era lo stesso soggetto ripreso in posizioni differenti. Lo riconobbe subito.
"Andiamo?" chiamò il più basso dall'altra parte della casa. Clemente lo raggiunse in cucina, e lo vide seduto dietro al tavolo, mentre aspettava pazientemente la cena. Aveva una guancia poggiata su una mano, e lo sguardo stanco. Sembrava un bambino un po' cresciutello, pensò il biondo mentre si infilava un guanto di stoffa per sfornare il pollo con patate.
"Massimiliano?" domandò poi il castano rendendosi conto che il loro coinquilino mancava.
"È uscito un'oretta fa. Non torna per cena." rispose. "Più per noi, ho una fame..." mormorò avvertendo un certo languore allo stomaco.
I due cenarono senza scambiarsi una parola, restando in silenzio ad ascoltare il telegiornale.
"Ho visto i tuoi disegni sulla scrivania." parlò Clemente mantenendo gli occhi puntati sullo schermo della televisione nel piccolo salotto collegato con la cucina.
Edoardo masticò più lentamente. "Quindi?" chiese osservando distratto del compagno, attendendo una sorta di giudizio.
"Quindi nulla." rispose infilzando un altro boccone di pollo. "Che significa nulla?" pensò innervosito da quella osservazione.
Clemente si sentì la faccia bruciare dallo sguardo penetrante del suo migliore amico.
"Ti piace?" chiese poi guardando.
Quella domanda lo spiazzò. Non sapeva come rispondere a quella stupida osservazione.
"No." esitò.
"Okay." rispose riprendendo ad osservare la televisione.
"Lo detesto." aggiunse poi. "Anche a me non sta simpatico né lui né i suoi amici." concordò il biondo.
"È arrogante e presuntuoso. E fa lo spaccone." continuò brontolando. "È uno stronzo."
"Uno stronzo di prima categoria." lo corresse il castano.
"Non dimenticare che è anche razzista." gli ricordò Clemente, alzandosi per sparecchiare.
Edoardo lo seguì aiutandolo a lavare le stoviglie.
"Ha sempre quel sorriso beffardo stampato in faccia. È irritante." proseguì elencando tutti i suoi difetti.
"È perché se la tira, si crede chissà chi." spiegò il biondo asciugando i piatti.
Il ragazzo dagli occhi verdi cadde in silenzio.
Senza neanche degnarlo di uno sguardo, Clemente ripeté la stessa domanda che gli aveva posto pochi attimi prima.
"Ti piace, vero?"
Edoardo era rimasto terrorizzato non dalla domanda, ma dalla risposta che si diede.
"È tutto così sbagliato. Io sono sbagliato." ammise con frustrazione, posando la spugna nel lavandino, asciugandosi le mani e prendendo un lungo respiro.
L'amico gli venne vicino e gli mise un braccio sulle spalle stringendolo a sé.
"Non sei sbagliato." gli disse. "Non è di certo colpa tua se ti sei innamorato." lo confortò.
Il castano si lasciò stringere in quel caldo abbraccio, che lo tirò su di morale. Poi si staccò, e uscì fuori al balcone.
Poggiò i gomiti scoperti sulla gelida ringhiera di metallo e si accese una sigaretta, mentre osservava il quartiere illuminato dai pali della luce arancioni.
Sentì dei passi avvicinarsi. Clemente si era messo una felpa per ripararsi dal freddo invernale.
"Tra tutte le persone sulla faccia della terra, perché proprio lui?" chiese mentre osservava le auto sotto di lui camminare.
Il biondo si poggiò sul telaio della porta mentre aspirava anche lui dalla sua sigaretta.
"Potevo nascere normale."
Clemente si fece una risata. "Ah, nessuno lo è, amico. Nessuno." sottolineò volendo sdrammatizzare la situazione.
"Sai che intendo." mormorò lui, in tono melodrammatico. "Quello mi odia."
"Smettila, nessuno ti odia."
"Ma dai, l'hai sentito stesso tu quando parla. Lui ed i suoi compari nutrono già un disprezzo per la danza, figurati se viene a scoprire che sono gay. E a peggiorare la situazione immagina cosa succederebbe se scoprisse addirittura che sono innamorato di lui." pensò allo scenario peggiore.
"Nulla." rispose il ragazzo con la felpa grigia, che tremava per il freddo, riportandolo alla realtà.
Il castano si girò su sé stesso, poggiando la schiena sulla ringhiera osservando così il volto dell'amico scarsamente illuminato.
"Sì, insomma, cosa potrebbe succedere? Per loro già sei gay, no? Quelli che fanno danza di solito lo sono, ricordi? Quindi renderlo ufficiale, non cambierebbe nulla." esplicò, buttando la cenere nella pianta più vicina.
"E ho dei seri dubbi che possa venire a sapere della tua cotta per lui, almeno che non glielo dica stesso tu. Dopotutto, non ci stai neanche provando quindi, escludendo la telepatia non potrà mai saperlo. In più, se lo venisse a sapere, che differenza farebbe? Pensi che ti picchierebbe? Non sa neanche dove abiti." lo tranquillizzò.
A questo non ci ebbe minimamente pensato. E se fosse stato uno di quelli svitati che si divertivano a picchiare gli omosessuali? Insomma, il telegiornale ne parlava spesso, dopotutto.
"Si deve solo azzardarsi a toccarti, con tutto che sanno alzare la gamba fino in cielo, gli faremo il culo quadrato. Credimi, le nostre ragazze non ci andranno leggero."
"Hai intenzione di coinvolgere la squadra?"
"Ovviamente."
Fu stupito da quella risposta. Prima d'ora non aveva mai affrontato quel tipo di argomento con il suo migliore amico. Capitava che conversassero spesso sull'omosessualità, ma mai troppo nello specifico, come quella sera.
"Lo sai che non mi piace stare al centro dell'attenzione." osservò sentendosi un po' meglio.
"Eppure sei il ballerino di punta. Che strano." ironizzò spegnendo la sua sigaretta nel terriccio umido della pianta.
"Te l'ho detto, secondo me ci stai pensando un po' troppo. Sei un po' ossessionato da quello." riprese il discorso. "È un idiota. Tutto qui." aggiunse poi, invitandolo a rientrare perché faceva troppo freddo.



Michelangelo entrò nella sala con tutti i suoi compagni. Come al solito, i ballerini erano già presenti che li aspettavano, mentre facevano i soliti strani esercizi.
E puntualmente, ogni volta che entravano in quella sala, i suoi due migliori amici iniziavano a fare battute sul gruppo di ballerini, prendendoli in giro.
La cosa ormai andava avanti da settimane, ed ebbe la chiara sensazione che il gruppo di ballerini lo avesse capito, perché almeno per quanto lo riguardava, il suo partner gli faceva fare esercizi sempre più complicati, come una sorta di vendetta, pensò.
Mario, il loro insegnante fece partire della musica classica dallo stereo. I ballerini presero posto ed iniziarono a ballare, così gli artisti marziali rimasero in fondo ad osservare la performance.
Si muovevano con leggiadria, sulle punte.
Iniziarono le ragazze che si mantenevano con una mano sulla sbarra, stando sulla punta di un piede, mentre piegavano ed estendevano l'altra gamba verso l'alto. Poi si girarono e continuarono con l'altra gamba, tutte perfettamente sincronizzate e a tempo. Rimasero poi ferme in una delle sei posizioni, facendo avvicinare i ragazzi, che entrarono saltellando in spaccata e sulle mezze punte.
Si disposero in cerchio ballando e lasciando al centro il ragazzo basso e castano che ballava per fatti suoi, eseguendo una performance che richiamava alcuni movimenti dei ballerini che lo avevano accerchiato.
In fila e perfettamente al passo si aggiunsero anche le ragazze, formando così le coppie.
All'improvviso attorno a lui, che rimase fermo con i talloni uniti e le punte all'esterno disposte perfettamente a centoottanta grandi l'una dall'altra, gli si avvicinarono due ragazze, che si poggiarono alle sue braccia aperte, usandole come una sbarra. Piroettavano attorno a lui scambiandosi il braccio e proseguendo le loro performance.
Edoardo poi si alzò e afferrò la mano di una facendola girare su sé stessa e poi la lanciò via al di fuori del cerchio. Afferrò sui fianchi la ragazza riccia e la sollevò con estrema facilità, come se avesse sollevato una piuma. I due iniziarono a ballare assieme, nel mentre le coppie si sciolsero e poi anche i due si allontanarono, lasciando spazio ad un'altra coppia: un ragazzo dai capelli biondo cenere ed una ragazza poco più chiara di lui.
La musica poi si fermò e così anche loro, approfittando per riprendere fiato. La cosa che stupì Michelangelo fu il perfetto tempismo, tutti affannarono contemporaneamente.
Mario, si avvicinò ai suoi ragazzi iniziando a spiegare ciò che aveva visto fare e cosa c'era che non andava. Con suo stupore, notò che era stato abbastanza critico, dicendo loro che potevano fare di loro e che non era del tutto soddisfatto.
Poi guardò con sguardo crucciato il loro maestro e gli fece cenno di poter iniziare la lezione.
Come al solito, iniziarono riscaldamento con una corsa lungo il perimetro della sala, mentre i ballerini si riprendevano. Furono riformate le stesse coppie ed iniziarono gli esercizi.
Michelangelo vide lo sguardo preoccupato del più basso. Aveva ancora il viso lucido per il sudore.
"A me sembrava perfetto." commentò il moro per conversare. Il castano lo guardò torvo, e poi gli rispose.
"No, per niente, io e Anna siamo andati fuori tempo. Ed i ragazzi non erano sincronizzati."
"Ma dai." commentò come se fosse una banalità. "Eravate abbastanza sincronizzati."
"Amico, non credo che tu ne possa capire qualcosa di questo, quindi credimi, se io ed il maestro diciamo che non eravamo sincronizzati, non eravamo sincronizzati del tutto. Sono piccolezze che fanno una grande differenza, ed è questo che vanno a guardare i giudici di gara." lo zittì stizzito dall'eccessivo tono di saccenteria del moro.
"Beh, in realtà... qualcosa ne capisco..." bisbigliò in tono più umile, prima di cambiare posizione.
"Non credo che il karate e la danza possano essere affini." gli rispose sistemandolo.
"Più di quanto credi in realtà. Anche noi abbiamo gare di sincronismo."
Quella risposta lasciò Edoardo stupito.
"Ah sì?" chiese mostrando scarso entusiasmo. Mentiva a sé stesso, perché in realtà era incuriosito, ma per non destare alcun sospetto, decise di ignorare persino il suo sguardo.
Lui annuì. "Beh, non è paragonabile alla vostra danza, ma noi abbiamo i katà, sono dei combattimenti con uno o più avversari immaginari. Ho gareggiato un paio di volte con i katà sincronizzati, la prima stavo io con i miei due migliori amici, e la seconda eravamo in cinque. In più ogni volta che facciamo una manifestazione, qualcosina del genere la facciamo sempre." spiegò lui con tono tranquillo.
Il castano rimase stupito. "Non sarò un granchè in questo ambito perché preferisco i combattimenti, ma so che è difficile sincronizzarsi. Puoi chiedere a Roberto e ad Alessia, loro due sono i migliori nella nostra palestra a fare katà. Campioni nazionali." continuò a spiegare sempre con un tono amichevole.
Quell'improvviso tono pacato iniziò a dargli sui nervi più del suo tono da arrogante.
Edoardo lo fece rialzare in piedi e gli consigliò di andare a bere, e così fece lui.
Clemente gli si avvicinò con la scusa di dover bere anche lui.
"Allora, come va col pivello?" gli chiese. "Se la cava." rispose semplicemente lui mentre beveva un po' di energizzante.
Il biondo lo squadrò dubbioso e poi se ne andò.
Ritornarono alle solite postazioni, e notò che il moro era diventato più allegro di prima.
Edoardo fu costretto ad ascoltare le stupide battute che si facevano a vicenda, mentre facevano esercizi di stretching che richiedevano posizioni abbastanza ambigue, come per esempio, il dover poggiare la gamba sulla spalla del partner.
Michelangelo ed i suoi due amici non facevano altro che sfottersi con continui gesti tutto il resto dell'allenamento.
"Dillo che ti piace, frocio." fu la battuta di uno dei due amici di Michelangelo, che rise e ricambiò la battuta. Il moro fece il tipico gesto della mano e della bocca e scoppiarono a ridere entrambi.
Edoardo che li osservava da lontano, scosse il capo e prese il borsone. Clemente lo afferrò per un polso.
"Che fai?"
"Me ne vado. La mia tolleranza ha un limite. Fanno battute tra di loro da tutta l'ora. Si vede che non sono capaci di prendere l'allenamento seriamente." rispose lui.
"Dai, Edoardo, anche noi facciamo battute stupide."
"Sì, ma qui si va ben oltre le battute stupide. All'inizio della lezione non era così, anzi sembrava molto più tranquillo." commentò.
"Non puoi andartene nel bel mezzo dell'allenamento."
"Manca un quarto d'ora alla fine, il nostro allenamento lo abbiamo fatto. Ho bisogno di sbollire la rabbia. Vado a farmi una doccia. Ci vediamo a casa dopo." aggiunse avvisando il suo maestro che se ne doveva andare uscendo dalla sala.
Michelangelo dopo che ritornò alla sua postazione non vide Edoardo. Non se n'era neanche accorto che se n'era uscito.
La lezione si concluse prima e come al solito si diressero tutti negli spogliatoi per cambiarsi o farsi la doccia.
L'argomentazione era sempre quella. Puntualmente Valerio metteva il solito discorso in mezzo.
"È uno sport da froci e basta." commentò lui stringendosi nelle spalle. Clemente lo udì ma non ci fece caso, andò a sedersi più avanti, vicino una borsa che riconobbe. Poco dopo vide il proprietario avvicinarsi.
"Abbiamo finito prima." commentò il biondo sorridendogli. "Fammi indovinare. Gli idioti sono qui." gli disse sedendosi sulla panca mentre si asciugava.
"Perspicace." ironizzò. "Stanno ancora parlando della danza?" chiese poi nervoso.
"E di cosa altro possono parlare quelle teste di cazzo?" fece Marco alle sue spalle con un certo sarcasmo, mentre si spogliava.
"Non li sopporto più te lo giuro. Sono solo loro tre il problema." aggiunse un altro amico.
"A me non interessa per niente, onestamente. Sti cazzi i loro pregiudizi." parlò un loro collega con la pronuncia deviata da una leggera zeppola.
"Eh ma cosa possiamo fare raga? Vogliamo prendere discussioni con loro? Si tratta solo di un altro paio di lezioni e finirà lì." disse Clemente cercando di calmare i bollori.
"Sì ma non li sopporto, ci sono volte che li prenderei a cazzotti in faccia. Vero Edoardo? Edoardo?" lo chiamò Marco cercandolo.
"Che cazzo di problemi avete con la danza?" sentirono la voce di Edoardo nel corridoio a fianco al loro. I ballerini si guardarono attoniti. "Si metterà male." dissero immobili.
"Nessuno, ci stiamo solo scherzando su." rispose uno del fastidioso trio.
"Dai non te la prendere." insistette un altro.
"E invece sì che me la prendo. Come vi sentireste se qualcuno insultasse il vostro sport?"
"Insultare il nostro sport? E come? È un'arte marziale. Non è uno sport da ragazzine per chiunque."
Marco mimò un "oh cazzo." e Clemente raggiunse l'amico che iniziò a sbraitare.
"La danza non è per chiunque, idiota del cazzo. Di sicuro non è per gente come voi che non ci capite un cazzo di nulla. Siete solo una massa di imbecilli ignoranti." insultò.
Valerio che si sentì sfidato fece un passo in avanti, con il petto gonfio.
"Prova a ripeterlo." gli disse con sorriso beffardo.
Edoardo fece un passo in avanti ma fu bloccato dal braccio di Clemente. "Non ne vale la pena." gli comunicò con lo sguardo.
"Bravo tiratevi indietro, fighette." schernì.
"Vale, basta, stai esagerando." intervenne Michelangelo con tono più serio.
"Ha iniziato lui." protestò.
"Sei tu che ti senti inferiore a noi. Coglione." rispose prontamente il castano, che era rimasto fermo lì nonostante Clemente provasse a trascinarlo via.
"Brutto pezzo di merda, vieni qui che adesso ti faccio male." parlò avvicinandosi al più piccolo.
"Ehi, sta' indietro." intervenne mettendosi in mezzo Clemente che era più alto del suo amico e che poteva incutere più timore di lui.
Michelangelo afferrò il braccio di Valerio e lo trascinò a sé. "Scusateci." disse all'intero gruppo che si era presentato dietro i due amici.
Clemente e Edoardo stavano per ritirarsi quando una parola bloccò il più piccolo.
Fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Neanche ebbe il tempo di contare fino a tre che il suo istinto lo assalì ed Edoardo saltò addosso a Valerio, dandogli un pugno in pieno viso.
Il ragazzo barcollò portandosi subito la mano sul naso. Vide un liquido rosso e il suo sguardo cambiò da spaventato a furioso. Michelangelo lo afferrò troppo tardi. Valerio aveva già risposto al colpo ricevuto.
Lo tirò a sé con violenza e lo gettò sulla panchina, facendosi aiutare dal suo compagno.
"Ma che cazzo ti è saltato in mente?" lo rimproverò arrabbiato il moro. Poi si voltò verso il gruppo di ragazzi infuriati che si era raggruppato attorno al più piccolo che si era appena alzato con l'occhio coperto da una mano, mentre stringeva i denti per il dolore.
"Ha iniziato lui." rispose.
"Ho capito ma non puoi rispondere alla violenza con altra violenza, stupido. Se il maestro lo viene a sapere adesso, che lo hai colpito con un calcio al viso, saremo in seri guai." parlò l'altro ragazzo seriamente preoccupato, mentre gli tamponava il naso.
"E poi ti ha dato solo un pugno." aggiunse Michelangelo preoccupato per quella tensione, sperando che adesso non scoppiasse una rissa contro il gruppetto di ballerini. Per sua fortuna si ritirarono nel corridoio a fianco.
"Ma vaffanculo, non è neanche la prima volta che ti capita." disse tirando un sospiro di sollievo.
"La prossima volta impari ad insultare." parlò lasciandolo solo per andare a farsi una doccia.

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