Capitolo Cinque

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Clemente si mise davanti al suo armadio alla ricerca di qualcosa da mettere. Sentì il rumore metallico delle stampelle avvicinarsi e si voltò verso l'ingresso della porta, a cui si era appena poggiato il suo amico. Tornò a fissare i suoi vestiti.
"Sei venuto qui per fare il fashion blogger?" chiese scherzando, e facendo sorridere anche il suo migliore amico che non se la stava passando tanto bene nell'ultima settimana.
"Sono venuto qui perché mi scoccio. Dove vai?" gli domandò.
"A lavoro. Mi hanno assunto come pizzaiolo finalmente, per il momento è un part time, quindi lavoro o per cena o per pranzo."
"Per il momento?" sottolineò il ragazzo un po' preoccupato per quelle parole.
"Sì, stavo pensando di passare ad un full-time."
"Full-time in un ristorante? E come farai con la danza?" lo interrogò. "Dovrò sacrificare qualche allenamento." rispose a malincuore. "Sai, non è che vivere qui costi poco, e poi i saggi, i mensili alla palestra, le competizioni, i vestiti... non posso contare solo sui soldi dei miei genitori non sono il loro unico figlio." spiegò allacciandosi le scarpe.
"Se hai problemi di denaro, sai che puoi contare su di me, posso prestarti..."
"Non si tratta solo di problemi di denaro, Edo." disse prendendo una pausa. "È che... sento il bisogno di emanciparmi economicamente del tutto dai miei genitori. Ci sono troppe spese che devono affrontare e non posso toglierglieli." la fece semplice.
Quell'osservazione fece intristire il ragazzo basso.
Lui ancora contava sui soldi dei suoi genitori che gli pagavano l'università e la danza. Per sua fortuna era figlio unico e quindi sua madre, un eccellente avvocato, e suo padre, medico anestesista, potevano permettersi di far allontanare il proprio figlio senza troppi problemi. Edoardo non si era mai posto il problema dell'emancipazione, però ora che il suo amico glielo aveva fatto notare, si sentì come in difetto.
"Ti lascio la cena in microonde?" chiese trascinandosi nella sua camera da letto.
"No tranquillo, finirò tardi e credo che mangerò qualcosa stesso lì, grazie lo stesso." urlò per farsi sentire dal suo amico.
Prese il giubbino e le chiavi, si assicurò che il suo amico stesse bene, lo guardò disteso sul letto mentre leggeva uno dei suoi libri e se ne andò. Andò a controllare anche l'altro inquilino, assicurandogli di non fare troppo tardi con la sua ragazza perché non voleva lasciare da solo Edoardo in quello stato, nonostante il castano aveva discusso con i due coinquilini in più di un'occasione che non aveva bisogno di nessuno.
Aprì la porta, e uscì.

Michelangelo entrò nel palazzo e salì tutte le scale di fretta. Era da tutta la settimana che non faceva altro che pensare a quel ragazzo dal folto ciuffo di capelli castani e agli strani avvenimenti che aveva vissuto con lui.
Vederlo non era più un piacere, ma era diventato un disagio, perché aveva notato che dalla sera del suo compleanno, Edoardo non faceva altro che evitarlo. Forse aveva sbagliato qualcosa e si sentiva un po' in colpa.
In più gli dispiacque quando seppe della sua caviglia rotta. Si incamminò verso le scale e rimase per un paio di minuti sulla rampa di scale ad osservare la porta chiusa.
All'improvviso quella porta si aprì e un ragazzo uscì.
"Ciao." si salutarono i due.
Clemente osservò lui ed il palloncino ad elio che aveva sulla testa. Scese le sale frettolosamente ma Michelangelo lo bloccò a metà.
"Edoardo è in casa?" chiese.
"Sì, sta riposando in camera sua." rispose cercando di capire quali fossero le sue reali intenzioni. Notò che aveva con sé anche un vassoio di pasticceria incartato.
"Ah." rispose a malincuore.
La vide la sua espressione delusa, poi pensò subito al suo migliore amico. Sapeva benissimo che gli piaceva, e forse la sua compagnia gli avrebbe fatto bene per un paio d'ore.
"Se vuoi entrare a controllare ti apro la porta." propose Clemente. Il moro tentennò.
"Sì, vorrei vedere come sta, se posso." confessò.
Il biondo risalì le scale facendogli cenno di seguirlo e riaprì la porta con la chiave.
"Io devo andare a lavorare, la sua stanza è in fondo al corridoio sulla sinistra." indicò salutandolo e andandosene via. Non era molto convinto di quello che aveva fatto, ma ormai era troppo tardi, così se ne andò.
Nel frattempo, a passo quasi felpato, entrò nell'appartamento di Clemente ed Edoardo, studiandone i dettagli.
Arrivò davanti alla camera del ragazzo castano, chiusa. Alzò il pugno per bussare e si accorse che la sua mano era fredda e sudata. Tremava anche, si sentiva nervoso perché non poteva prevedere la reazione di Edoardo.
Bussò due volte e non ricevendo risposta abbassò la maniglia lentamente.
"Da quando bussi per entrare scemo?" disse con tono sarcastico.
Michelangelo osservò il ragazzo che stava sdraiato sul letto, mentre leggeva un libro, con la gamba ingessata e l'altra piegava. Aveva indosso solo un paio di pantaloncini neri stretti, con l'addome completamente scoperto.
In effetti nella stanza faceva abbastanza caldo, tanto che Michelangelo iniziò a sudare.
Il castano non ricevendo risposta alzò lo sguardo e spalancò gli occhi.
"Oh, scusa, non pensavo fossi tu." balbettò togliendosi gli occhiali e poggiando il libro sulla sua nuda pelle chiara, rimettendosi seduto un po' più composto.
"Avrei dovuto avvisarti, hai ragione." parlò lui dopo aver ingoiato la sua saliva. Perché stava diventando tutto così difficile? Pensò subito dopo.
Le scapole e la testa gli pizzicavano, avvertì il desiderio di spogliarsi, per quanto iniziasse a fare caldo.
"Che ci fai qui?" chiese sentendosi agitato dalla presenza del moro nella sua camera.
"Sono passato per vedere come stavi, mi ha fatto entrare Clemente, l'ho incrociato proprio appena era uscito." rispose lui sentendosi la bocca asciutta a furia di ingerire la sua saliva, anche se non ce l'aveva. Era così nervoso che il vassoio di dolci stava tremando appresso alla sua mano.
Edoardo rimase senza parole. Osservò il palloncino argentato che galleggiava nell'aria con la scritta 'buona guarigione' in blu, mantenuta da un filo rosso nella mano tremolante del ragazzo alto.
Poi vide anche il pacchetto rosso e solo allora si rese conto che il pacchetto stava tremando tutto.
"Ti ho portato dei dolci di pasticceria spero ti piacciano." disse poggiandoli sulla scrivania un po' disordinata, su cui intravide vari fogli da disegno sovrapposti con un ritratto a matita molto familiare.
Edoardo vide che il suo sguardo era stato catturato dai suoi disegni sul tavolo di legno e si sentì ancora più agitato, come se fosse appena stato messo sotto giudizio.
"Grazie, è un pensiero molto gentile." disse per distrarlo. Lui sollevò lo sguardo dalla scrivania e si avvicinò a lui per dargli il palloncino, che legò sul collo della lampada sospesa sulla testa castana.
Il ragazzo dagli occhi verdi vide ancora di più il nervosismo dettato dal corpo di Michelangelo a quella distanza.
Una volta legato il filo rosso, fece qualche passo indietro, andando verso la porta in silenzio.
"Va bene... allora... ehm, vado." farfugliò allungando la mano tremante verso la maniglia.
"Aspetta." esordì Edoardo, facendo bloccare il moro. Il riccio si girò verso di lui, e lo vide che si spostava sui gomiti verso il muro, facendogli dello spazio sul letto, e sbatté la mano leggermente per invitarlo a sedersi vicino a lui.
Michelangelo acconsentì e si avvicinò togliendosi la giacca che aveva indosso, poggiandola sulla punta del letto.
"Allora... com'è andato l'allenamento?" introdusse l'argomento per cercare di evitare quel silenzio che era insopportabilmente imbarazzante.
"Bene, bene." ripeté due volte innervosito. "Sì, non è stato come con te, però è andato bene." aggiunse poi, sentendosi stupido per quel commento.
"Nel senso che è andato meglio o peggio?" continuò a fare domande perché non sapeva cosa fare, mentre osservava quei due pozzi neri muoversi agitati.
"Beh, sono abituato ai tuoi allenamenti pesanti e quello che ho fatto ieri con Anna Laura era abbastanza leggero."
Appena vide che quei due cristalli di ossidiana si mossero verso il suo viso, lui abbassò lo sguardo guardando il gesso bianco con qualche firma o disegno che gli avevano lasciato i suoi amici che erano venuti a fargli visita nei giorni precedenti.
Anche lui si sentiva tremendamente in imbarazzo, aveva persino paura di guardarlo negli occhi. La verità era che sapeva benissimo perché stava facendo quelle domande. Non era una mossa per coprire quel silenzio, ma era per evitare quelle domande scomode a cui stava pensando dalla sera del suo compleanno. Ed era sicuro che anche lui ci stava pensando.
Il moro rimase ad osservare quella pelle bianca scoperta. Gli addominali che tiravano la pelle dal lato e mostravano quelle tre costole. Poi il viso dai lineamenti delicati, le guance arrossate dal caldo, le sopracciglia così lunghe e nere, sembravano addirittura truccate, la fronte un po' nascosta dal lungo ciuffo di capelli castani arruffati. E poi c'erano quegli occhi verdi. Quegli occhi che sfuggivano ai suoi, se n'era reso conto.
Si sentiva stupido in quell'istante, mentre lo osservava come un ebete, nel silenzio.
Aveva dei dubbi a cui desiderava ardentemente avere una risposta.
Perché gli aveva chiesto di rimanere? Era la prima delle domande che si ripetevano nella sua testa.
"So che hai delle domande su di me, su di noi riguardo quella sera." disse poi come se gli stesse leggendo la mente. Fu pronto a dover affrontare quella situazione in cui avrebbe rovinato tutto con la sua cotta. Spostò lo sguardo nei suoi occhi scuri e penetranti, stabilendo così una sorta di comunicazione.
"Vedi, è che tu hai bevuto tanto, io ho bev..." le sue labbra furono fermate da quelle del moro.
Michelangelo voleva far tornare quel silenzio e si abbandonò all'impulso di baciarlo.
Il castano rimase come terrorizzato, di nuovo. Ma stavolta si rese conto che la situazione era molto più reale e concreta. Dopo alcuni secondi chiuse gli occhi e si abbandonò completamente a quel bacio. Il moro poi scese a baciargli il collo freddo.
Edoardo gemette e lo abbracciò a sé. Sentì il suo desiderio che aveva nascosto nel profondo del suo animo riemergere come un fiume in piena.
Avvicinò le proprie labbra all'orecchio del moro ed espirò.
Michelangelo rabbrividì quando sentì il suo pesante respiro e quando sentiva il corpo sotto al suo fremere al suo corpo. Iniziò a sudare sempre di più e quindi decise di togliersi la felpa di dosso, gettandola per terra.
Appena si riavvicinò sentì la mano del moro afferrargli la nuca e guidarla verso il punto di prima. Il moro aveva la voglia di toccarlo dovunque e di assaggiare ogni centimetro di quella pelle chiara e calda.
Edoardo si sentì nervoso, e mentre il moro gli lasciava timidi succhiotti lungo tutto il collo pensava bene al suo desiderio. Prese un lungo respiro e prese la sua decisone.
"Voglio... che tu lo faccia con me." sussurrò sensualmente nell'orecchio.
Michelangelo si alzò e lo guardo dritto negli occhi volendo assicurarsi di aver capito bene.
Edoardo rimase con le braccia appese dietro il collo del riccio che lo guardava dritto negli occhi.
"Ovviamente se vuoi anche tu." aggiunse. Il moro avvicinò la sua fronte a quella del castano e poi lo baciò. Si alzò in piedi, decidendo di assecondare la proposta del ragazzo e anche i suoi istinti.
Il ballerino lo osservò mentre si toglieva la maglietta di dosso, scoprendo il suo addome. Già sentiva l'eccitazione aumentare. Seguiva quelle mani segnate da alcune vene verdi che si sbottonavano la cintura e si abbassavano i pantaloni, lasciandoli lì per terra.
Edoardo si sistemò posizionandosi più al centro e mettendosi sdraiato.
Michelangelo salì sul letto, poggiandosi sul più piccolo. Gli afferrò i polsi e glieli mantenne fermi in alto, mentre lasciava che la sua lingua assaggiasse quell'addome asciutto e ben pronunciato.
Poi risalì a baciare le labbra, spingendo il proprio bacino contro il suo e facendo strofinare le stoffe dei loro intimi, innescando i primi brividi di piacere. Sentiva Edoardo respirare sotto di sé e questo aumentò il suo desiderio.
Il castano tornò a baciargli di nuovo quel punto delicato dietro l'orecchio, facendo rabbrividire il moro. Michelangelo poi si staccò dal bacio e si concentro sul suo corpo, arrivando all'altezza dell'elastico del boxer che sollevò. I due si scambiarono un lungo sguardo carico di desiderio e lussuria, nessuno dei due avrebbe mai pensato che si sarebbero spinti fino a quel punto. Di nuovo.

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