Capitolo Dieci

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"Sbrigati sennò faremo tardi." pronunciò il ragazzo castano, sdraiandosi sul letto del moro, aspettando che quest'ultimo si preparasse. 

"Non ho voglia di uscire, Eddy." disse visibilmente seccato il riccio, rientrando nella sua camera. Edoardo lo squadrò dalla testa ai piedi per osservare il suo look, poi scosse il capo con disapprovazione. Si alzò e andò a frugare nell'armadio del suo ragazzo. Poi gli andò vicino, gli sfilò la maglia di dosso e gli porse la camicia.
Michelangelo la guardò.
"Mi dici perché non possiamo restare a casa?" chiese lui, afferrando la sua camicia per indossarla.
"Perché finalmente hai preso il brevetto per insegnare e bisogna festeggiare." disse allegro.
"Non possiamo rimandare i festeggiamenti ad un altro giorno? Vorrei restare un po' solo." ammise con una punta di esasperazione.
Il castano si bloccò e lo guardò cercando di capire cosa intendesse con quell'ultima affermazione.
"Con te. Solo con te." aggiunse dopo, accorgendosi di essere stato troppo ambiguo. In realtà, Michelangelo desiderava sul serio stare da solo, per la prima volta dopo tanto tempo, approfittando persino dell'assenza dei suoi coinquilini.
"Tutto bene, Micky?" chiese poi in tono chiaramente preoccupato il castano che nel frattempo si era riseduto sul letto, senza mai perderlo d'occhio.
Probabilmente se n'era accorto che c'era qualcosa che non andava in lui, pensò.
"Sì. Non ti preoccupare, sono solo un po' stanco." rispose in tono asciutto.
Ormai era diventata un'espressione che ripeteva così spesso che avrebbe potuto scriverla su un cartellone ed appendersela addosso, per evitare anche di dover rispondere continuamente.
"Micky. Che succede?" insistette il castano, sta volta con voce più cupa, tipico tono che usava quando era preso da pensieri negativi.
"Nulla, davvero." rispose sforzandosi persino di sorridere. Gli rivolse un sorriso così caldo e splendente, come quelli che era solito fare fino a poco tempo fa.
Edoardo iniziò ad innervosirsi ancora di più quando vide quel sorriso degno di una maschera da teatro.
"Per quanto ti possa sforzare, si vede che è un falso." gli fece notare. Fu così che si spense completamente. Poi sbuffò. "Micky, lo sai che puoi dirmi tutto vero?"
"Non potrei mai." pensò immediatamente. "Non capiresti." aggiunse anche.
"Sì, lo so." mentì abbottonandosi la camicia lentamente.
"E allora che c'è?" domandò per l'ennesima volta.
Quelle parole innervosirono il moro.
"Ti ho detto che sto bene, okay? Sto... bene." ammise abbassando i toni rendendosi conto di aver esagerato. Sapeva che Edoardo non c'entrava nulla con la sua faccenda, o almeno, non totalmente.
Edo si trattenne dal non rispondergli o dall'insistere, ma non ci riuscì.
"Sono settimane che ti stai comportando così." ammise stizzito.
Se prima lo ipotizzava, ora ne aveva la certezza. Ovvio che lo avrebbe notato, era il suo ragazzo, parlò il suo io.
"Non riesco a capire i tuoi silenzi, il tuo improvviso cambiamento di umore, sei diventato... tetro e freddo. Mi mantieni sempre a distanza come... come..." aveva paura di dirlo sia perché non sapeva come avrebbe preso quell'affermazione, sia perché aveva paura di scoprire la sua reazione.
"Come cosa?" domandò incuriosito. "Come se non volessi stare con me." affermò aspettando la sua reazione.
Il suo cuore quasi smise di battere durante quel silenzio che divenne una risposta per il ballerino. Una risposta che non voleva accettare.
"Che stronzata." parlò finalmente il moro.
"Stronzata? Hai anche esitato, cazzo." gli fece presente. "Non ho esitato, stavo pensando ad altro." mentì.
"Pensi ad altro mentre stiamo discutendo?"
"Noi non stiamo discutendo."
"A me pare proprio di sì, invece."
Il moro si strinse il setto nasale con le dita e prese un bel respiro.
"Cosa c'è Eddy? Mi hai chiesto di uscire e mi sto preparando, cosa vuoi altro da me?" domandò iniziando a sentirsi sempre più infastidito dalla prepotenza del castano nel voler sapere a cosa stesse pensando.
Il castano scoppiò.
"Volevo festeggiare per la tua promozione perché so che ci tenevi tantissimo e ti ho organizzato persino una fottuta festa a sorpresa con i tuoi cazzo di amici, e tu te ne esci con... voglio stare da solo, lontano da tutto e da tutti."
Di nuovo calò il silenzio tra i due, dove il moro contemplò che il suo ragazzo gli aveva appena organizzato una festa a sorpresa.
"Cristo Mickey, che diavolo ti sta succedendo ultimamente? Ti rendi conto che non sei più tu? Sei sempre così freddo e distante, e hai l'aria di uno che sta nascondendo continuamente qualcosa, e hai addirittura la faccia tosta di negare l'evidenza. Negare di star discutendo per una stronzata quando lo stiamo facendo, negare il fatto che stia andando tutto bene. Cazzo. Non va bene più nulla." ammise l'ultima frase con una certa disperazione.
"Che significa l'ultima cosa che hai detto?" chiese lui sconcertato. "Non lo so... sinceramente non ne ho la minima idea... non parliamo più, non ci siamo più l'uno per l'altro... ed è vero, è stata anche colpa mia quando appena ritornati dalle vacanze ti ho chiesto di lasciarmi spazio perché dovevo studiare per la tesi di laurea. Poi è toccato a te. Ti sei chiuso, sparito nel nulla. All'inizio pensavo che fosse perché stavi con la testa per il tuo master, e poi perché eri preso dagli allenamenti per il brevetto. Ma evidentemente mi sbagliavo. C'è dell'altro, non è vero?" lo interrogò scrutandolo con i suoi occhi verde prato.
Aveva colto il segno. Se avesse saputo della sua piccola rissa con Valerio, avrebbe completato il puzzle e tutto sarebbe quadrato. Lo conosceva talmente bene, che aveva capito che c'era qualcosa che non andava già dal giorno della sua stessa laurea, ma non ci aveva dato tanto peso allora. Ora lo aveva messo all'angolo e doveva fornirgli una verità assoluta, non una risposta. Non era la loro prima discussione in assoluto, ed in quei due anni e mezzo di relazione, aveva capito una cosa di Edoardo: quando discuteva, la sua mente viaggiava alla velocità della luce. Si faceva domande a cui cercava di rispondersi da solo e non era raro che si facesse dei veri e propri film mentali, anche se la maggior parte delle volte aveva ragione.
Lo vide che lo guardava, lo divorava con lo sguardo, le sue pupille cercavano di entrargli nel cervello per sapere a cosa stesse pensando. Non sapeva cosa dire, era certo che se avesse ammesso ciò che aveva affermato negli spogliatoi quella volta, l'avrebbe presa male.
Quella frase, da quando l'aveva pronunciata, era sempre nei suoi pensieri e se lo avesse saputo stesso da lui, lo avrebbe ferito non poco.
"Ti sei forse stancato della nostra relazione?"
Da come gli pose la domanda, sembrava più una richiesta che un interrogatorio. Lo vedeva che gli rodeva l'animo e si tormentava perché non riceveva risposta.
Michelangelo non sapeva cosa rispondere.
Il castano poi annuì e un sorriso amaro si dipinse sul suo volto.
"Il problema sono io, vero?" proseguì.
Il riccio volle intervenire ma fu come se le labbra gli rimasero sigillate. Il pezzo del puzzle era apparso proprio davanti agli occhi di Edoardo.
"È colpa mia, se ti ho trascurato." aggiunse poi, prendendo una piega inaspettata. "Non dovevo metterti così da parte, perché ora so cosa si prova. Mi sono comportato così a giugno, quando avevo le prove per l'ammissione all'Accademia di Lione. E poi di nuovo a settembre, quando dovevo finire le mie ricerche."
Il castano si alzò e gli andò vicino. Gli afferrò un polso.
"Tu hai cercato di starmi vicino ed io ti ho respinto. Tu in questo periodo stavi solo cercando di farmelo capire."
Quelle parole gli fecero venire i brividi.
"Mi dispiace, davvero tanto." confessò dirigendosi verso l'uscita della stanza. "Comunque, i tuoi amici ti stanno aspettando lì. Fa' in fretta." e lo lasciò.
Il moro rimase bloccato, e solo quando sentì il portone dell'appartamento chiudersi sembrò rinvenire in sé.
Cadde in ginocchio e nascose la faccia tra le sue mani. Si sentiva uno stronzo. Un lurido bastardo. Non sapeva neanche come definirsi. Aveva lasciato che il suo ragazzo si prendesse tutte le colpe del suo stupido comportamento e che continuasse a trarre le conclusioni sbagliate senza che lui lo fermasse neanche una volta.
"Che cosa ho fatto?" si chiese. "Ho veramente lasciato che si facesse divorare dal senso di colpa di nuovo?"
Allontanò le sue mani e rimase a fissarle per un momento. Tremavano forte, con tutto il braccio. Poi vide che era anche il suo busto a tremare e si rese conto che era proprio lui che tremava. Decise di asciugarsi le guance sudate con il dorso della sua mano destra, e capì che non era sudore.
Erano lacrime. Lacrime di rabbia e di disprezzo che provava nei suoi confronti. Si sentiva un essere spregevole.
Tirò su col naso e si rialzò. Doveva andare alla festa che il suo ragazzo gli aveva organizzato con le ultime persone con cui sarebbe voluto stare in quel momento.
Si diede una sciacquata al viso prima di uscire e si convinse di potercela fare. La convinzione non gli bastò si guardò allo specchio e si trattenne dal menarvi un pungo. Voleva urlare e sentiva il fiato mancargli.
Sentì una strana sensazione di panico e rabbia crescergli al pensiero di dover trascorrere una serata organizzata apposta per lui senza Edoardo, che dopo quell'accaduto erano chiare le sue intenzioni, non aveva bisogno di specificarglielo, lo si leggeva in faccia.
Alla fine, lo aveva ferito comunque.
Si trascinò nel secondo bagno, dove c'era un armadietto pieno di medicine. Sperava di trovare quel farmaco che vedeva spesso prendere uno dei suoi coinquilini perché soffriva di un disturbo d'ansia, che si accentuò quando aveva appreso la notizia della morte della madre, poco tempo prima.
Prese lo scatolino di cui ricordava la forma e lesse il nome con la speranza di ricordarsi che fosse quello giusto.
"Lexotan, gocce orali." lesse, quando estrasse il flaconcino, si rese conto che erano le stesse gocce che prendeva l'amico.
Inclinò il capo all'indietro e aprì la bocca, si fece pendere la boccetta sulla lingua e diede un paio di colpi con l'indice per far scendere delle gocce di quel liquido trasparente.
Strinse gli occhi e fece una faccia disgustata per il pessimo sapore amaro che si manifestò su tutta la lingua.
Richiuse il flacone nella scatola e la rimise a posto, si guardò allo specchio, sentendosi più rilassato questa volta, come se quel terribile sapore gli avesse già lavato via quella sensazione di rabbia e di disgusto che provava al solo guardare il suo riflesso.
Tirò su con il naso tutta l'aria che poteva, e si risistemò i capelli. Prese un giubbotto ed uscì dirigendosi al locale dove lo aspettava la festa a sorpresa che non era più una sorpresa.
Lungo il tragitto si sforzò di dipingere un sorriso credibile ed una reazione plausibile, anche se con la mente continuava a pensare a come avesse pugnalato il suo ragazzo, la persona che amava seriamente e a cui non avrebbe mai pensato di fargli del male.


La musica aveva un volume decisamente alto, pensò Michelangelo, mentre faceva finta di ridere alle battute dei suoi colleghi. La testa gli girava leggermente e sentiva di avere la vista leggermente offuscata, in più avvertiva una certa sonnolenza che provava a scacciare via scuotendo leggermente la testa quando nessuno lo osservava.
Andò persino al bagno più di una volta per sciacquarsi il volto.
All'improvviso un bicchierino verde con quella che sembrava una zolletta di zucchero sopra gli fu messo davanti. Si girò verso quelle braccia che gli avevano offerto il cicchetto e realizzò chi aveva davanti.
Lo aveva evitato per tutta la serata, eppure, eccolo lì.
"Alla tua promozione, maestro." disse perfido Valerio, che reggeva un bicchierino di contenuto verde con una zolletta di zucchero bianca sopra anche lui.
Michelangelo prese il bicchierino e brindò più perché spinto dalla rabbia che provava nei suoi confronti che per il fatto di aver ottenuto uno stupido pezzo di carta.
I due bevvero assieme e poggiarono il bicchierino sul tavolino facendo subito delle facce stravolte per il forte sapore alcolico. Poi Valerio si avvicinò a lui e gli avvolse un braccio sul collo stringendoglielo.
"Devo assolutamente farti conoscere una persona." disse poi trascinandolo con forza. Michelangelo riuscì a liberarsi con molta difficoltà dalla stretta dell'amico, sentiva come se i suoi muscoli non volessero obbedirgli.
"No, Vale. Ti avevo detto esplicitamente di sparire dalla mia vista, quel giorno." parlò cercando di sembrare il più minaccioso possibile, ma era troppo brillo per poter sembrare intimidatorio.
"Lo so, lo so, ma diciamo che grazie al tuo amico ho ottenuto l'invito e ho colto l'occasione anche per potermi scusare con te."
"Non hai un cazzo di cui farti scusare okay? Tu... tu sei uno stronzo. Hai cercato di isolarmi dalla mia squadra e ci sei riuscito. Lo vedo che vi allontanate da me quando dobbiamo farci la doccia salvo qualche eccezione."
"Sì lo ammetto di essere stato un gran bastardo, ed è per questo che volevo porre rimedio." disse poi facendo cenno a qualcuno del suo team che, con sua sorpresa si era presentato al completo. Una ragazza dai capelli rossi si materializzò davanti ai suoi occhi, come per magia.
"Lisa ti presento Michelangelo, Michelangelo, questa è Lisa, una mia... carissima amica." li presentò lui.
Lisa porse la mano che Michelangelo strinse. "È un vero piacere conoscerti Michelangelo, Valerio mi ha parlato molto di te, ed è proprio vero... sei degno del nome che porti." si congratulò lei con voce sensuale, scrutandolo dalla testa ai piedi. Lei gli sbottonò il primo bottone della camicia, tirandogliela per darci una sbirciata.
Il moro si sentì confuso.
"Era una battuta, ti ha paragonato al David di Michelangelo; mi sono scordato di menzionarti che ha conseguito un master in cura e restauro delle opere d'arte?" spiegò Valerio, sorridendo ai due.
"Scusaci un attimo." disse il moro prendendo coscienza di sé, aspettando che la ragazza rossa che sembrava appena uscita da una sfilata di moda si allontanasse, verso il gruppo composto dai suoi compagni di squadra.
"Che diavolo stai facendo?" gli chiese poi. Valerio sorrise. "Voglio riscattarti, e farmi perdonare."
"Riscattarmi?" ripeté.
"Sì beh, con la storia del frocio di danza, che ho scoperto essere proprio una checca, questo me l'ha detto Daniele che lo ha visto dirigersi verso quel locale gay un paio di mesi fa prima delle vacanze estive, con un tizio alto e moro, non siamo riusciti a capire chi fosse... comunque, non è importante. Dato che si è, che ho," si corresse. "Diffuso la voce che insuinuavo fossi gay, e che abbiamo scoperto che quello è un finocchio, ho pensato di doverti riscattare. Così ho parlato un po' in giro di te, e ho colto l'occasione di questa sera per farti conoscere Lisa." spiegò fiero.
Michelangelo si trattenne dal prenderlo a pugni ogni volta che sentiva quelle parole sprezzanti nei confronti di Edoardo.
"Che diavolo significa?" ringhiò.
Valerio esplose in una risata. "Ti sto dando l'opportunità di farti quella rossa, che è un tipo tosto eh. Se tu, la ammocchi e te la lavori un po' davanti a tutti, vedrai che cambieranno idea." rese meglio l'idea.
Il moro andò su tutte le furie, ma sentiva la sua rabbia scemare come se non riuscisse a rimanere incazzato.
"Vai a fanculo Valerio." gli rispose semplicemente.
"Ehi, io ti ho dato la possibilità, poi sta a te decidere se coglierla o meno. E comunque i ragazzi si sono accorti che li hai tenuti a distanza tutta la serata, insomma, hai parlato più con i tuoi colleghi dell'università che con noi..." puntualizzò.
All'improvviso il suo nome fu chiamato dal gruppo dove lo invitarono a bere con loro un solo bicchierino per brindare alla sua.
Michelangelo sapeva che non avrebbe dovuto più bere. Sapeva che la testa gli girava sempre più velocemente, e che non sarebbe mai riuscito a tornare a casa se avesse continuato.
Ripensò poi a Edoardo, a cui non aveva smesso di pensare per un altro. Lui non era lì, non era a quella festa. Aveva preferito rimanere a casa per autopunirsi e sentirsi in colpa per una cosa che non aveva fatto.
"Dai Michè, uno shot alla tua."
"Sì, brindiamo."
Michelangelo si sentì confuso a riguardo. Era certo soltanto di una cosa: doveva assolutamente tornare a casa e spiegare tutto al suo ragazzo. Doveva ammettergli che si vergognava di farsi vedere con lui in pubblico e soprattutto davanti ai suoi amici. Doveva farlo per lui.
"Michelangelo! Michelangelo! Michelangelo!" fecero tutti in coro per spronarlo a bere.


Era decisamente troppo tardi. Probabilmente non era rimasto nessuno nel locale, o forse, c'era ancora.
Edoardo camminava a passo svelto, cercando di raggiungere il prima possibile il suo ragazzo per scusarsi con lui. Aveva fatto un errore terribile a trascurarlo in quegli ultimi due mesi, e a nascondergli di essere stato accettato per la borsa di studio di Lione, che non avrebbe mai accettato perché lui voleva rimanere a Milano con Michelangelo. Stava troppo bene insieme a lui e non voleva rischiare di rovinare tutto, come aveva già fatto in precedenza.
Perciò era necessario che si dimostrasse maturo e doveva scusarsi con il riccio. Aveva creato una discussione inutile, e questo lo fece sentire molto in colpa.
Giunse davanti al locale, dove riconobbe Clemente ed un paio di ragazze che erano diventate anche amici di Michelangelo oramai.
"Cazzo era ora che ti facessi vedere. Ma dove sei stato?" domandò il ballerino mentre fumava.
"Dopo ti spiego, dov'è Mickey?" chiese. Il biondo corrugò la fronte sforzandosi di ricordarsi.
"Cazzo non ne ho la minima idea... credo sia con il suo gruppo di amici... ahia." gemette poi subito dopo a causa di un pizzicotto datogli dalla ragazza che aveva vicino, seguito da uno sguardo truce.
"Okay, grazie." li congedò entrando nel locale.
Faceva caldo ed era abbastanza affollato. La musica era sparata ad un volume alto rendendo l'ambiente un po' caotico, e in più c'erano delle luci soffuse che rendevano ancora più difficile la sua ricerca.
Domandò ad un paio di ragazzi che gli fecero spallucce. Eddy sospirò. "Beh, il locale non è grande, se lo setaccio da cima a fondo, lo troverò sicuramente." si disse rassegnandosi all'idea di dover perdere tempo a cercare quel ragazzo alto, dai capelli neri come il carbone e mossi, dagli occhi che dovevano sembrare due pozzi in quella penombra. Pensò il castano, abbozzando un sorriso.

"Ahia, ma sei impazzita?" chiese Clemente strofinandosi il braccio pizzicato, fortemente irritato dal gesto della ragazza.
"Sei un coglione, dovevi dirgli che Michelangelo non c'era." sbottò lei.
"E perché avrei dovuto dirgli che non c'era se mi pare di averlo visto col suo gruppo di idioti?" domandò lui. La ragazza si diede un palmo sulla fronte.
"Sai che Michelangelo e Edoardo stanno insieme?"
"Mi prendi per il culo? Lo sapevo da prima che lo sapesse Edoardo, sono il suo migliore amico e coinquilino." sottolineò lui con un'aria da finto saccente. "E so benissimo cosa fanno nella camera da letto, non sono per niente silenziosi." aggiunse poi ridacchiando.
"Appunto." ammise così allarmata che fece preoccupare il ragazzo. "Anna, che succede?"
"Ho visto Michelangelo." balbettò facendo un lungo tiro alla sigaretta. "Edoardo non avrà una bella sorpresa, quando lo vedrà." aggiunse sbuffando una nuvola di fumo.
"Che significa?" chiese Clemente sentendo il suo cuore palpitare.
Ed eccolo lì.
Edoardo lo trovò. Stava sul divanetto, circondato tra i suoi amici che ridevano e scherzavano tra loro. Si sentì male, voleva sotterrarsi quando lo vide.
Era seduto con una ragazza tra le gambe, sopra di lui che stava china a baciarla e a fare delle cose con la sua lingua, cose che facevano solo loro due in privato.
Lo vide mentre quella ragazza rossa si strusciava su di lui e senza alcuna vergogna gli metteva le mani sul cavallo del pantalone, premendolo e palpandolo, mentre faceva scorrere la sua lingua in quella del moro.
"Basta, siete disgustosi voi due." intervenne uno del gruppo facendo partire un coro di "boo" ai due ragazzi.
I due sembravano quasi che respirassero l'uno l'aria dell'altro per quanto erano uniti.
Edoardo singhiozzò e riprese fiato. Aveva l'affanno. I pugni così stretti che non avvertiva più neanche dolore.
Le lacrime gli rigarono le guance. Ora gli era tutto più chiaro. Si voltò su sé stesso e iniziò a correre via, spingendo via chiunque si trovasse sulla sua strada.
Aprì la porta con una tale violenza da attirare gli sguardi di tutti.
"Edoardo." lo chiamò Clemente volendolo inseguire ma fu trattenuto da Anna Laura.
"No. Lascialo stare da solo, quando tornerai a casa gli parlerai." intervenne la ragazza, sentendosi in pena per l'amico.
Edoardo corse via, sentendo il vento graffiargli la faccia umida per le lacrime che non accennavano a smettere di uscire dai suoi occhi.
Singhiozzava e ansimava. Quando inciampò senza cadere, si piegò in due avvertendo un bruciore al petto. Erano i polmoni che riprendevano aria dopo essere rimasti quasi del tutto vuoti durante quell'improvvisa corsa.
Edoardo si lasciò cadere sull'asfalto, continuando a piangere. Senza neanche farlo apposta si trovava ad un paio di palazzi di distanza dal suo.
Ora sapeva benissimo a cosa era dovuto il comportamento strano del suo ragazzo in quegli ultimi tempi. Tutto quadrava.
L'ultimo pezzo del puzzle era rientrato perfettamente nell'intero schema. 

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