Capitolo Tre

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Era passata poco più di una settimana dal confronto tra Valerio ed Edoardo, e tutto sembrava aver ripreso un ritmo normale. Gli artisti marziali non erano venuti al solito appuntamento del lunedì nella sala di danza, tantomeno non si vedevano negli spogliatoi a fine turno. Ma al ragazzo castano non interessava, era meglio per la sua salute mentale, pensò.
L'unico ricordo che era rimasto da quella brutta situazione era il grande livido, ormai di uno strano colore verdognolo, che si estendeva dallo zigomo all'occhio sinistro, causa principale della sua insonnia nell'ultimo periodo.
Edoardo camminava lentamente verso casa, mentre si tastava le tasche con l'unica mano libera alla ricerca delle chiavi del palazzo.
Cercò nelle profonde tasche del pantalone nero largo, che era almeno una taglia più grande rispetto alla sua. Trovò la chiave e la inserì nella prima serratura. Percorse il lungo corridoio grigio e decise di prendere l'ascensore perché si sentiva troppo stanco per poter prendere le scale e soprattutto non reputò comodo doversi trascinare la sua enorme tela che a stento riusciva a mantenere sotto braccio.
Attese che le porte si aprissero e vi entrò, cliccando il pulsante con il numero quattro. Poggiò il quadro per terra e si mise con le spalle al muro. Le porte automatiche stavano per chiudersi quando sentì una voce che gli urlava di aspettare.
Istintivamente il castano mise un braccio nella fessura di metallo e si riaprì.
"Oh grazie." parlò con affanno la voce del tizio, che entrò con un po' di difficoltà nell'ascensore a causa dell'enorme quantità di buste piene che portava.
Edoardo neanche fece caso al viso di quell'uomo, nascosto tra un ciuffo di ananas e di carote che portava nel sacchetto in braccio.
"Che piano?" chiese il più basso. "Quinto." rispose quella voce familiare.
Premette il pulsante e i due attesero che si chiudessero le porte.
Lo sconosciuto poggiò delle buste per terra e fu sorpreso di vedere quel viso di fronte a lui.
"Ehi ballerino, che ci fai qui?" chiese Michelangelo stupito di vederlo nello stesso ascensore del suo palazzo.
Edoardo ebbe la sensazione che il cuore avesse smesso di battergli, mentre il cervello iniziava a porsi un sacco di domande.
"Ci abito?" parlò con voce tremolante. "Maddai? Sul serio? Che coincidenza." notò il moro mostrando un sorriso perfetto.
"Buffo che non ci siamo mai incontrati." aggiunse poi, riprendendo le buste. "Eh, beh. Il palazzo è grande, e ci abitano un sacco di persone." balbettò.
"Come va?" gli domandò guardandolo con quelle iridi scure quasi quanto i suoi capelli.
"Bene, credo... perché me lo chiedi?" rispose il castano.
Il ragazzo più alto allungo la mano verso il chiaro volto del più basso, delicatamente poggiò le dita sotto la mandibola sinistra e gli girò il viso per osservare bene quell'ematoma ancora visibile. Lo sfiorò con il pollice, Edoardo rimase fermo quasi in soggezione.
"Ah, è rimasto ancora un livido." borbottò rammaricato. "Mi dispiace per quello che è successo la settimana scorsa." ammise.
Il castano abbassò lo sguardo cercando di non ricordare quella stupida discussione. "Che ne dici se per rimediare tu e i tuoi amici non venite a casa mia stasera?" propose.
"No grazie, non sono tipo da feste." mentì.
"Dai, non ci hai neanche pensato. Io ed i miei amici stiamo organizzando un festino come puoi vedere." disse agitando le buste verso di lui.
"Più siamo più ci divertiamo. E poi vivo in affitto, quindi non ho genitori, ergo, niente sorveglianza e facciamo baldoria tutta la notte." aggiunse con entusiasmo, spalancando quel suo solito sorriso. Sembrava diverso, notò Edoardo, come tutte le volte che era lontano dai suoi amici idioti, pensò subito.
L'ascensore si fermò, il castano prese la tela e uscì.
"Allora? Ci vediamo stasera da me alle nove?" insistette. "Non lo so, ci penso su." rispose.
"Guarda che se non vieni, ti vengo a prendere, tanto so dove abiti."
"Mi stai minacciando?"
"Diciamo che è un ultimatum." scherzò facendogli l'occhiolino prima che si chiudessero le porte di metallo.
Edoardo rientrò in casa, salutò i suoi coinquilini che stavano discutendo davanti la televisione, e si chiuse nella stanza, sdraiandosi sul letto con le braccia dietro la testa, ripensando alla scena a cui aveva appena assistito.
Era la sua impressione o il ragazzo per cui si era preso una cotta, che tanto detestava ci stava
provando con lui?
Scosse il capo come per scacciare via quel pensiero.
"Impossibile." si disse. "Da come parlava con i suoi compagni, sarebbe impossibile." pensò.
Anche se per un momento gli passò un'assurda idea per la testa.
E se faceva così soltanto perché gli amici gli dicevano tutte quelle cose? Come se indossasse una maschera?
No, non era possibile. Edoardo ormai sapeva riconoscere delle maschere quando le vedeva, lui stesso era il primo ad indossarle. Per quanto l'idea anche solo di poterlo toccare lo allettasse, non ci sarebbe stato nulla al di fuori di un'amicizia tra loro due, ne era sicuro. Anzi, mise persino in dubbio l'idea dell'amicizia dato che i suoi amici, oltre ad esprimere una sorta di razzismo, seppure ben camuffato, nei confronti dei gay, comunque disprezzavano la danza. Quindi di netta conseguenza non potevano che prenderlo in antipatia perché odiavano le due cose che lui era. 

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