Edoardo rimase pietrificato quando lo vide davanti alla sua porta.
"Ti devo parlare." gli disse con un'aria abbastanza seria, guardandolo con quegli occhi carichi di preoccupazione.
Nonostante fosse l'ultima persona che volesse avere davanti in quel momento, il suo sguardo afflitto lo colpì e si limitò a spalancare la porta facendogli cenno di entrare.
Il ragazzo entrò come una furia, come se avesse paura che il castano potesse ripensarci e sbattergliela in faccia.
Si diresse in salotto e salutò i due inquilini che stavano guardando la televisione. Clemente gli lanciò uno sguardo assente misto a delusione.
"Ehi, Max, perché non mi fai vedere quel videogioco sul tuo computer?" disse poi vicino all'amico, che lo osservò per un paio di secondi negli occhi per capire quali fossero le sue reali intenzioni.
"D'accordo, andiamo." concordò alzandosi in piedi, facendosi seguire dal biondo.
La stanza rimase vuota, ad eccezione dei due ragazzi.
Il castano spense la tv con il pulsante, e si sedette sul divano, tamburellando con le dita sulle sue ginocchia per il nervosismo.
"Credo di doverti delle spiegazioni riguardo quanto accaduto ieri sera." iniziò lui strofinandosi un braccio.
Prese un profondo respiro e si fece coraggio, così raccontò tutta la verità dal principio.
Gli spiegò della situazione che si era creata con Valerio, che gli aveva detto della sua reputazione e delle voci che giravano sul suo conto. Gli spiegò dunque il vero motivo del loro allontanamento.
Poi aggiunse l'evento della sera prima, di cosa fosse successo, dell'assunzione del Lexotan, di aver alzato il gomito, e del folle piano di Valerio per restaurare la sua reputazione, e di come non ricordasse come fossero andati i fatti perché non ricordava assolutamente nulla.
Quando finì il suo racconto, dove parlò per più di quaranta minuti di fila, si sedette sul divano in silenzio, aspettando che il suo ragazzo dicesse qualcosa.
Edoardo non aveva proferito parola neanche una volta, aveva un'espressione fredda e immobile, e dava la sensazione di non essere presente lì in quell'istante, come se avesse la mente altrove.
Puntava i suoi occhi verdi verso la televisione spenta. Michelangelo notò le occhiaie di una notte insonne, erano anche gonfie, forse dovute ad un pianto.
Quel silenzio divenne troppo stressante.
"Allora, non dici niente?" chiese con labbro tremolante il moro, osservando il più basso che aprì bocca come per dire qualcosa ma la richiuse subito dopo.
"Ti... ti prego di' qualcosa." scongiurò lui. Edoardo lo guardò, sempre con sguardo freddo.
I suoi occhi che di solito erano di un bel colore caldo, in quell'istante sembravano quasi ingrigiti, e la sua occhiata divenne più logorante del silenzio.
"Cosa vuoi che dica, Michelangelo?" chiese poi con tono di voce asciutto. Era talmente freddo che neanche suonava come una domanda. Gli venne un brivido quando sentì il suo nome pronunciato per intero.
Era passato parecchio tempo dall'ultima volta che lo aveva chiamato.
Iniziò a sentirsi meglio quando finalmente pronunziò qualche parola.
"Cosa vuoi sentirti dire? Che ti perdoni? Che ti scuso per questa... questa... situazione?" la voce distante iniziò ad assumere sempre più un tono arrabbiato.
"Non voglio che mi perdoni..."
"E allora cosa vuoi?" urlò alzandosi in piedi, passeggiando su e giù per la stanza con le mani nei capelli.
"Cosa vuoi da me, che ormai io non lo so più." mormorò più pacato.
"Io... sono solo venuto a darti spiegazioni." si giustificò colpevole.
Edoardo si sentì così irritato dalla sua presenza che ogni volta che parlava lo faceva incazzare ancora di più.
"E chi te lo ha chiesto che io volessi delle spiegazioni?" esplose. "Io... io pensavo..."
"Pensavi cosa? Che fosse la cosa più giusta da fare?" completò lui la frase, continuando a camminare in tondo, senza degnarlo neanche di uno sguardo.
"Ma rispondimi sinceramente, è stata la cosa più giusta da fare per me? O per te?" inveì.
Quelle parole gli fecero male, se prima aveva alleviato il peso che si portava dentro, ora si sentiva al punto da capo.
"Ora sei tu quello senza parole eh? Forse inizi a capire come mi sento." gli fece notare.
"Senti, io lo so che ti senti tradito e mi dispiace... vorrei rimediare." ammise il moro, seriamente pentito.
Il ragazzo castano scoppiò in una risata isterica.
"Perché ridi?"
Edoardo poi lo guardò e cercando di calmare la sua risata, gli disse: "Tradire fa ridere, no?"
"No, non fa ridere."
"E allora dimmi, a te non farebbe ridere se io adesso andassi in un locale e mi portassi qualcuno a letto, così, come se fosse una cosa normale, come hai fatto tu ieri sera."
Quella proposta fece irritare il moro.
"Io non sono andato a letto con nessuno ieri sera." precisò, con tono serio.
"Ne sei sicuro? Insomma, dopotutto hai detto che non ricordi nulla di quello che è successo ieri sera, o forse non è proprio così?"
Quella domanda gli fece dubitare dell'affermazione che fece. Un'altra volta gli vennero in mente quelle fervide mani che lo spogliavano dalla sua camicia. Scacciò quella sensazione per riconcentrarsi sulla discussione.
"È davvero questo quello che vuoi? Andare a farti scopare da qualcun altro?" domandò infuriato.
"Non lo so, magari potrebbe risolvere le cose."
"Non osare neanche scherzarci." sembrò quasi una minaccia.
"Hm. Sai... non so cosa mi faccia più male, il fatto che ti sia fatto una ragazza o il fatto che neghi a tutti di essere ciò che sei." palesò.
"Io non sono gay." gridò esasperato. "A me non è mai fottuto un cazzo di cosa fossi, Michelangelo. Ma mi fotte di come mi consideri. Cosa sei realmente. Sei il mio ragazzo, ecco cosa sei..." aggiunse prendendosi una pausa. "O almeno eri. E tu, non mi hai mai considerato tale, perché avevi paura dei tuoi compagni del cazzo." mormorò con occhi pieni di rabbia e di lacrime che spingevano per uscire.
"Senti, evidentemente non a tutti piace sputtanare in giro di avere una relazione come piace fare a te." si giustificò sentendosi messo di nuovo all'angolo.
"Sei davvero un coglione. E sai perché sei un coglione? Perché se stai veramente dicendo questo, allora non hai capito un cazzo di me. Non ho mai voluto che facessi outing per me, o che dicessi a tutti che ero il tuo ragazzo. Volevo solo che mi rispettassi per quello che sono, e per far felice te e farti stare sereno, durante questi due anni ho nascosto la mia sofferenza ad ogni cazzo di insulto che i tuoi amici facevano sui gay. Li hai zittiti due tre volte, ma non hai mai fatto nulla sul serio. Non hai mai preso le mie difese fino in fondo, ed io ho lasciato che calpestassero il mio orgoglio così. Per te. E poi, vieni a dirmi che poiché la gente inizia a vociferare su noi due, tu decidi di allontanarti perché pensi che non farsi vedere più in giro sia la soluzione? In più me lo hai tenuto anche nascosto cazzo. Ieri, durante la nostra discussione mi hai lasciato prendere la colpa di tutto, e non mi hai fermato neanche una volta. Non mi hai detto nulla, hai approfittato del fatto che tu passassi per la vittima." prese un attimo di fiato.
"Sai cosa mi ha fatto più male? Il fatto che tu non avessi fiducia in me per affrontare la tua questione, il fatto che mi hai abbandonato in questi giorni, lasciandomi ad affrontare i nostri problemi da solo, i miei problemi da solo." si corresse poi.
"I nostri problemi? Che diavolo significa?" chiese lui.
"Non ti interessa più, oramai." rispose frettoloso, cercando di ignorare il problema.
"E questo che significa?" domandò sentendo un nodo alla gola, temendo la risposta.
"Credo che ognuno di noi due debba procedere per la propria strada." rivelò, stringendosi la maglietta nervosamente.
Sentiva il bisogno di dirgli quella cosa, ma non sapeva come.
Michelangelo sudò. Sentì gli occhi lacrimargli e nonostante fosse seduto, vacillò.
"L'Accademia di Lione mi concederà la borsa di studi, ho superato la selezione." ammise finalmente.
Il moro ebbe un colpo al cuore e rimase scioccato.
"Quando... quando lo hai saputo?"
"Un paio di settimane fa ufficialmente, ma Mario me l'aveva detto già il giorno della mia laurea."
"E tu me lo hai tenuto nascosto per tutto questo tempo?" sussurrò con un filo di rabbia nelle sue parole.
"Sai benissimo che non avrei potuto dirtelo, perché stavo cercando di capire cosa stesse succedendo tra di noi. Cosa stesse succedendo a te. Cercavo di darti attenzioni e tu puntualmente le respingevi. Quindi come avrei potuto dirtelo, anche se avessi voluto?" lo interrogò.
Esitò nel rispondere, perché non c'erano giustificazioni o parole per spiegare il suo stupido comportamento.
Edoardo si lasciò andare sul divano, cadendo con tutto il suo peso, nascondendo il viso umido tra le mani.
Una lacrima rigò la guancia sinistra di Michelangelo. Sentiva il labbro rabbrividire e trattenne una serie di singhiozzi, cercando di mostrarsi forte in quella situazione.
Guardò il ragazzo che si era raggomitolato su sé stesso ad un paio di centimetri di distanza da lui, lo sentì sussultare. Anche lui stava nascondendo il suo dispiacere. La tentazione di toccarlo anche solo per avere un attimo di conforto fu enorme.
"Quindi... che hai intenzione di fare?" gli chiese con voce tremolante, temendo che il suo cuore non avrebbe potuto reggere ad un'altra risposta negativa, poteva scoppiare in un pianto isterico a momenti.
Quel silenzio fu una risposta.
"Non... non lo so ancora." parlò all'improvviso, nascondendo sempre il suo volto.
"Però sono consapevole di una cosa." pronunziò, rimettendosi composto.
Prese un respiro singhiozzando e cercò di calmare le lacrime.
"Io non posso stare con uno che non accetta chi sono io. Non posso più sopportare che i tuoi compagni mi trattino così, io sono gay e sono fiero di esserlo. Non voglio più dovermi nascondere solo per te. E dovresti farlo anche tu, se non accetti prima te stesso per chi sei veramente, che tu sia gay, etero, o bisessuale non importa, ma se tu non accetti che io posso essere il tuo ragazzo davanti a tutti, allora non posso esserlo più neanche di nascosto. Perché non riesco a non poterti guardare negli occhi sempre, o a baciarti anche su una guancia innocentemente senza che tu provi imbarazzo, o a mantenerti per mano davanti ai tuoi amici come fanno tutte le coppie. I miei compagni non si sono creati questo tipo di problema, quando hanno saputo che fossi gay, e nonostante io non abbia detto nulla, lo hanno capito che c'era qualcosa tra di noi, e non ci hanno rifiutato, anzi, erano più contenti di noi quando ci costringevano a baciarci a obbligo o verità, o quando ci scattavano le foto in estate." spiegò con un certo tono di malinconia.
Prima di poter rispondere, Michelangelo cercò di elaborare le sue parole.
"Il problema è che i miei compagni non sono esattamente come i tuoi. Noi, abbiamo scherzato per anni su queste cose, abbiamo fatto queste battute sempre da quando ci conosciamo, come fanno i ragazzi in generale, ci sfottiamo. Ora immagina quanto sarebbe strano sfottere un frocio perché lo è, non suona più come uno scherzo, ma come un insulto. In più i miei amici non sono così aperti di mente come lo sono i tuoi, ed io... sono il loro caposquadra, la cintura più alta, perderei il loro rispetto per questa cosa..." dichiarò.
I due contemplarono l'uno le parole dell'altro. Erano giunti ad un'impasse.
"Direi quindi che abbiamo chiarito." confermò tirando su col naso il ragazzo castano.
"No, per niente." confutò il ragazzo dal cortissimo pizzetto nero che esaltava le linee già pronunciate del suo viso.
"Non c'è nient'altro da dire, Mickey."
Quel nome così pronunciato lo fece sentire ancora più male di quanto potesse stare in quel momento.
"È... è finita." bisbigliò non essendo neanche lui di quello che ebbe appena detto.
Persino Clemente dall'altra parte della casa, che non poté far a meno di ascoltare le urla e i mormorii dei due ragazzi, stentava a credere che quelle parole furono pronunciate proprio dal suo migliore amico, poiché era perfettamente a conoscenza di quanto fosse preso da quella relazione.
Il moro dunque si alzò, e così fece anche il castano giungendo davanti la porta d'ingresso.
Michelangelo gli diede un lungo bacio stampato sulla fronte, facendo scorrere una lacrima che andò a mescolarsi con quella sulla guancia di Edoardo, il quale aspettò di vederlo sparire nella tromba delle scale prima di poter chiudere definitivamente quella porta.
Cadde per terra, strofinando con la schiena sull'infisso e si mantenne la testa con le mani, scoppiando in un pianto che non riusciva più a frenare neanche quando fu convinto di sentirsi meglio.
Clemente accorse vicino a lui, sostenendo la sua testa con la propria spalla. Poco dopo, lo sollevò in braccio e lo portò nella sua camera, dove lo poggiò sul letto, ancora singhiozzante.
Rimase con lui un altro po', in totale silenzio, accarezzandogli i capelli lunghi, sciolti dal solito codino stretto che portava sempre, asciugandogli le guance, ed abbracciandolo stretto a sé, poi lo lasciò solo in quella fredda e buia stanza.
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Lucid Dreams
RomantizmEdoardo è un ballerino di danza classica, Michelangelo è un karateka; i due si incontrano un giorno perché per aumentare le prestazioni dei suoi allievi, il maestro di karate decide di far prendere ai suoi ragazzi lezioni di danza classica. Tutto s...