11. affari

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Il cinguettare degli uccellini era un piacevole sottofondo in quella soleggiata giornata. Il concerto di suoni naturali accompagnava il suo cammino verso la villa di Lahor, lo Spirito collezionista d'arte che Aris le aveva indicato, mettendo Kiriyo di buon umore.

D'altronde, non aveva nessuna ragione per non essere felice.

Il suo piano era andato liscio come l'olio. Aveva la Mona Lisa con sé, legata come al solito al trolley che le trotterellava al seguito, impacchettata al sicuro nella sua carta regalo per bambini. Nessuno l'aveva vista, non era ricercata e Aris le aveva dato un contatto.

Andava tutto magnificamente.

"Intanto, lui non c'è stato. Di nuovo."

L'Incantatrice alzò gli occhi al cielo, trattenendo uno sbuffo scocciato. Svoltò l'angolo, inserendosi in una grande via alberata sulla quale si affacciavano diverse ville dall'aria costosa, i loro ampi giardini ben curati a distanziare gli edifici dall'asfalto della strada.

"Oh, piantala, Shukra. Sei deluso tanto quanto me."

"Di più", ridacchiò Budha, "fidati. Molto di più."

"Beh, certo che sì! Aris è un bocconcino mica male, per Surya!"

Controllando rapidamente i numeri civici e l'insegna che dava il nome alla via, la sciamana si assicurò di aver imboccato la strada giusta. La sua meta era situata al sedici di una delle più lussuose vie abitate all'interno dello splendido Jardin du Ranelagh, un parco appena fuori il centro città.

"Lo so, non ricordarmelo. Sono, cosa, milleduecento anni che lo conosciamo? Mai una volta che sia riuscita a sedurlo…"

Gli Dei risero, ricordando il passato. Lei e Aris si erano conosciuti per caso alla corte di Carlo Magno, entrambi lì per affari. Si erano girati attorno così tante volte nel corso dei secoli che ormai erano l'uno parte integrante della vita dell'altra, due esseri incapaci di stare fermi in un solo posto o di accontentarsi di cose banali come l'affetto di un numero ristretto di persone, il possedere una bella casa o l'integrarsi nella società umana.

Tutto il contrario di questo Lahor, a quanto pareva, vista la reggia in cui abitava: Kiriyo si soffermò a osservarne gli esterni in stile rinascimentale, gli intarsi colorati a mosaico, le statue che adornavano il giardino. C'era un piccolo tavolino all'esterno, proprio sulla sinistra dell'ingresso, in roccia bianca. Sopra di esso, un vigneto si attorcigliava sinuoso formando una piccola cupola di foglie e uva, facendo sembrare quella veranda un luogo segreto dove rifugiarsi per sfuggire alla realtà della vita di tutti i giorni.

"Wow. Questo tizio è ricco sfondato o sbaglio?"

La donna concordò in silenzio con Chandra, suonando il campanello della reggia vagamente in soggezione. Chissà che tipo era, quel Lahor. Era uno Spirito che si era fatto strada nel mondo degli umani, arrivando con abilità a possedere tutta quella ricchezza partendo dal nulla. Certo, loro potevano vivere per millenni invecchiando così lentamente da sembrare congelati nel tempo, ma l'abilità di quel tizio era rimarchevole in ogni caso. Non doveva essere semplice esistere per tutti quegli anni senza destare sospetti, soprattutto nella società moderna.

Suonò il campanello, leggendo il nome inciso su di esso: Jean-Jacques Desmarais. Gli Spiriti non avevano cognome, ma se lui voleva inserirsi nella società parigina era ovvio che ne avrebbe scelto uno adatto. A quel punto, perché non assumere direttamente un'altra identità?

Spiriti - Come derubare una città e farla francaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora