4. Reapers

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You kill by remote control
The world is on your side
You’ve got reapers and hawks
Now I am radicalized

***

Grindelwald era seduto nella stessa posizione da almeno tre giorni. A Voldemort quasi faceva pena, pensando che due settimane prima aveva addirittura avuto il coraggio di provare a fuggire.

Era però perfetto ora. Il giorno prima aveva spedito solo un dissennatore, con l’obiettivo di renderlo ancora meno umano di quanto già non fosse. Non lo aveva baciato e Grindelwald era ora cosciente, ma con ben pochi ricordi del passato e tanta paura addosso, anche se non sapeva più di cosa.

«Gellert», lo chiamò mentre apriva la porta della sua cella. L’uomo alzò la testa e lo guardò, un’espressione indecifrabile sul volto.

«Vieni con me». Un ordine che Grindelwald eseguì subito, ma non sapeva per cosa lo aveva fatto, se per la voglia di uscire da quel posto che gli dava i brividi, o se per paura.

Il mago venne condotto in una nuova stanza, occupata in gran parte da un lungo tavolo. Non c’era nessuno tranne loro, e infatti solo davanti ad un posto era stato apparecchiato il tavolo. Grindelwald osò sperare fosse per lui, non ricordava neanche l’ultimo pasto che aveva consumato.

Guardò Voldemort, che lo invitò con un gesto a sedersi proprio lì. Il mago lo fece e osservò in silenzio gli elfi domestici servirgli un sacco di pietanze che avevano dei profumi deliziosi. Iniziò subito a mangiare, mantenendo un comportamento dignitoso nonostante la fame; ricordava una voce dirgli di farlo, che non era educato abbuffarsi. Uno sprazzo di ricordo in mezzo al vuoto.

Ma non era nemmeno vuoto, quello che sentiva. Si sentiva pieno fino all’orlo. Pieno però di non sapeva neanche lui cosa, come fosse nebbia.

Si ridestò quando bevve quella che alla vista gli parve acqua, ma che aveva tutt’altro sapore. Guardò il bicchiere e disse: «C’era del Veritaserum qua dentro».

«Devo accertarmi che quando mi dirai quel che voglio, tu non mi menta», disse Voldemort con un sorriso che al mago fece venire la pelle d’oca.

Il suo carceriere lo lasciò finire di mangiare prima di chiedergli: «Cosa ti dice il nome “Silente”?».

Grindelwald soppesò il nome per un momento. Quello che pensò lo disse ad alta voce: «Lo sento familiare, ma non riesco ad associarlo ad un volto».

Gli venne passata l’immagine di un uomo più o meno della sua età, decisamente bello. Guardò Voldemort e chiese: «Lui è Silente?».

Voldemort fece un cenno del capo, poi disse altri nomi, gli mostrò altre immagini, e di tutti Grindelwald ricollegò senza problemi solo il nome “Tom Orvoloson Riddle”, sapendo che era l’uomo che aveva davanti. Degli altri percepiva la familiarità e talvolta qualche sprazzo di ricordo, ma nulla di più.

«Devo dire che speravo nessun nome ti fosse familiare… Potrei anche accontentarmi, ma meglio fare un lavoro fatto bene».

Grindelwald lo osservò prendere la bacchetta e puntarla contro di lui. Chiuse d’istinto gli occhi, aspettandosi di sentire tanto dolore, accompagnato da un “Crucio”, ma non fu quello che sentì.

«Oblivion».

E dopo qualche istante Grindelwald aprì gli occhi e guardò l’uomo che aveva davanti, senza riconoscerlo. Non riconosceva neanche il posto in cui era, per la verità, anche se non gli piaceva.

«Se ti dicessi il nome “Silente”, cosa ti verrebbe in mente?».

Il mago lo guardò confuso, poi scosse il capo.

Voldemort sorrise. Il suo lavoro aveva avuto successo.

Ora poteva procedere con il suo vero piano.

***

Canzone originale:

Drones || GrindeldoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora