XV ATTO - Iktsuarpok

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Stavo vivendo tutto questo, ma lei lo valeva e subito mi ritrovai su un pullman diretto verso casa sua. Passai il tempo a pensare, rendendomi conto che avevo così fretta di incontrala che non mi preparai nulla, se non un piccolo bagaglio. Non avevo un posto dove dormire, figuriamoci cosa dirle. Mi dirigevo verso l'ignoto, ma la mia urgenza di vedere il suo volto, di sentire il suo respiro, non mi lasciava in pace.

Arrivata sul posto scesi dal pullman e tramite il GPS mi aiutai a trovare la strada. Mi fermai di fronte alla sua porta, con la valigia lasciata a pochi centimetri da me. L'ansia che fino a poco fa era un miraggio adesso si faceva palpabile e il corpo rifletté tutta questa mia tensione vibrando all'unisono. Suonai e aspettai interminabili minuti. Vedendo la porta aprirsi dovetti inghiottire tutta la saliva che avevo per la fame. Dovevo anche tenermi pronta a parlare e quindi feci un leggero colpo di tosse. Però non ci fu lei dall'altra parte, ma sua madre che capendo la situazione si affrettò a chiamarla. Forse avevo sbagliato e dovevo andarmene. Non sapevo più cosa stavo facendo e tutte le mie certezze che avevo ragionato poco prima, svanirono. Alla sua vista esplosi, e il caldo di quell'estate mi fece sudare più del dovuto.

Minju di risposta corse verso di me a passi pesanti, pensavo volesse uccidermi, ma mi sarei fatta uccidere da lei. Mi prese il polso con decisione e mi ricordò la prima volta che misi la testa sulle sue gambe, rimpiangendo quei momenti.

Trascinandomi molto lontan da casa sua non si mosse più e rimase lì a osservarmi, ansimante. Avrei dovuto dirle qualcosa, spiegarle tutto, scusarmi, ma questo mio ragionare mi stava bloccando. Dovevo smettere di pensare, dovevo dire la prima cosa che mi passasse per la mente oppure se ne sarebbe andata senza averle detto nulla.

-Ti odio.

Questa fu la risposta di Minju la prima volta che mi vide dopo tempo. Erano parole orribili, ma il fatto che le avesse dette lei, che di solito non si esprimeva, rendeva tutto più dolce e non potevo non sorridere dentro di me.

-Mi dispiace.

Lei energicamente dissentì tanto da chiudere gli occhi.

-No, ho capito fa niente. Mi è già passato tutto.

Queste, queste erano le parole di cui mi sarei spaventata e subito morii dentro. Ormai si era arresa, ero diventata una postilla da dimenticare nella sua vita. Era già troppo tardi? Quello che stavo facendo sarebbe stato superfluo?

-Sono stata meschina, non ho scuse. Non c'è un motivo valido perché lo abbia fatto, è stato egoistico da parte mia, ma avevo paura.

Con un'espressione di malinconico stupore disse parole, una dopo l'altra rispondendomi a tempo.

-Paura di cosa?

-Di te, di noi, degli altri. Come ne ho adesso, dopotutto. E se sono qui fuori, davanti a tutti, è per dimostrarti che non ho più paura di noi.

-Tranquilla, non devi avere più paura, adesso non devi preoccuparti più di me, o di noi.

-No, è proprio di questo che sto parlando. Ho paura che tu possa smettere di vedermi con gli occhi di prima, di scomparire alla tua vista, di non farti più palpitare il cuore pensandomi. Perché se c'è qualcosa adesso di cui non ho più paura è questo, è lo stare insieme, è l'amore che mi davi.

-Io...

Ci pensò un attimo, stava rispondendo troppo rapidamente e mi convinsi che aveva paura di non riuscire a dire le parole giuste.

-Hai idea di come mi sia sentita? Una stupida, ti avevo dato tutto quello che avevo eppure non ti è bastato. Come potrei pensare che adesso le cose possano andare diversamente? Perché dovrei volermi tanto male da rivivere una situazione simile?

-Perché l'amore è un atto di fede.

Le risposi, non trovando altre motivazioni valide.

-Un atto di fede che già ho dato e mi ha deluso.

-Al tempo non ero pronta.

Sospirando espresse le sue penultime parole:

-Aurora, Ormai è troppo tardi.

-Lo so.

Lo so. Lo so. Lo so. Lo so. Lo so. Lo so. Lo so. Lo so. Lo so. Lo so. Lo so. Lo so. Lo so. Lo so. Lo so. Lo so. Lo so. Lo so. Lo so. Lo so. Eppure...

-Eppure sono qui, davanti a te.

Minju mi guardò, mi scrutò, si prese il diritto di mettermi alla prova, cercò un cenno di dubbio, di menzogna, di indecisione. Provò a guardare il mio cuore dall'interno ma, non sapendo cosa stesse pensando, fece un semplice cenno:

-Eppure, sei qui.

Un vento stranamente gelido passò di lì e il sole che fino a poco fa era nascosto tra le frasche spuntò fuori, riscaldando il paesaggio.

Il tempo risultava imprevedibile, ma in quell'istante stavo bene.

"Che bella giornata" pensai, sbirciando il viso di Minju.

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