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«Finalmente ti sei svegliata Alexandria, stavo iniziando a scocciarmi. Pensavo di averti ucciso a questo punto con tutto quel veleno, ma, sai, sei troppo potente per rischiare di lasciarti cosciente.»
Una voce a lei sconosciuta parlò sommessamente da un lato di quella stanza. Non si era accorta di essersi addormentata: per lo meno era rimasta nella stessa posizione di quando si era seduta su quel lettino, con le gambe tirate verso il petto e il mento sulle ginocchia. Non voleva far notare la paura che trasudava dai suoi pori, ma quell'essere che sostava dal lato opposto rispetto alla sua posizione - che chiaramente non aveva niente di umano - emetteva ondate di un potere talmente glaciale da farla irrigidire.
Dimostrava all'incirca una ventina d'anni, i suoi capelli avevano le tonalità delle spighe mature del grano e le sue iridi avevano il colore del mare. Senza dubbio era un bellissimo maschio: la mandibola ben definita e scolpita gli conferiva un'aspetto austero, ma la dolce curva degli zigomi alti smorzava quella freddezza innaturale, le labbra carnose tese in una linea dritta.
Le sopracciglia leggermente incurvate si alzarono quando notò che Alex lo stava fissando, fece un sorrisino e  avanzò di qualche passo con grazia ferina. Nonostante il suo istinto le urlasse di allontanarsi il più possibile da lui, la femmina si eresse in tutta la sua bassa statura con la schiena ben dritta e il mento sollevato e una smorfia di indifferenza stampata sul viso.
«Chi sei?» gli domandò cauta, soppesando bene la cadenza delle parole.
Fissandola intensamente, lo sconosciuto si mosse ancora verso la sua figura, sovrastandola con la sua presenza nonostante la loro lontananza; lo sguardo di lui era chiaro: era il gatto che aveva appena messo all'angolo il topolino impaurito.
«Non sono affari che ti riguardano. Ora mettiti questi e sta zitta se non vuoi farmi perdere la pazienza, e, fidati, so essere molto antipatico quando voglio» la apostrofò, quando notò che Alex era sul punto di parlare «e non pensare neanche di insultarmi nella tua bella testolina, ti posso sentire per mia sfortuna e al momento non sono in vena di giocare con te... ti aspetta già di peggio» i suoi occhi per un momento brillarono di macabro divertimento e le indicò il bagno.
"Muoviti" questa volta, l'ordine le era arrivato direttamente nella mente, una sorta di eco. Lo osservò a metà tra la sorpresa e la paura, ma non ebbe il tempo di muoversi che un vento fortissimo la spinse improvvisamente dentro al minuscolo bagno e chiuse la porta con un tonfo sordo. Maledicendolo in tutti i modi che conosceva - e provocandogli una risatina che sentì benissimo - Alex fece quello che le aveva detto e tornò nella stanza.
Lo sguardo del maschio scivolò sul suo corpo coperto da una tenuta da combattimento nera, che aderiva perfettamente su ogni sua curva in un modo quasi peccaminoso.
«Bene, adesso sbrighiamoci che siamo in ritardo e a lui non piace aspettare» ogni traccia del precedente scherno era sparito dalla sua faccia e Alex si incupì leggermente per il tono.
Senza emettere un fiato lo seguì attraverso la parete e si ritrovarono in un lungo corridoio che non sembrava avere né inizio né fine.
Ad un certo punto lo sentì sussurrare: «Ma chi me l'ha fatto fare il babysitter... »
Cercò di trattenere una risata isterica. Quella situazione non le piaceva, ma proprio per niente; camminarono per un paio di minuti fino ad arrivare ad una porta rivestita d'oro massiccio, che si spalancò non appena l'odioso di fronte a lei non la sfiorò con la punta delle dita e mormorò qualche parola in una strana lingua. Le rivolse un sorriso - che definire finto era un eufemismo - e, capendo di non avere altra scelta, la ragazza sorpassò quell'apertura; percepiva il suo sguardo congelarmi la schiena, ma cercò di non far notare il mio crescente disagio.
Delle mani invisibili la spinsero verso l'interno, facendola inciampare, e cadde nel vuoto.
Nel vuoto tentò di girarsi con la schiena che dava al buio dietro di lei, e - in tutta quella luce sempre più distante - vide il maschio sulla soglia di quella maledetta porta, nel suo sguardo azzurro un guizzo di rimorso e compassione.
Pensò di essere finita in una trappola, ma il suo corpo si tese all'improvviso ed sbatté contro quelle che avevano l'aria di essere sbarre talmente nere da essere confuse con l'oscurità. Un momento prima stava precipitando, e quello dopo era seduta su una poltroncina in quello che sembrava un ufficio: tutto il buio era scomparso e l'ambiente si rivelava essere molto luminoso e spazioso, con un'imponente scrivania di vetro posta al centro della stanza, una libreria alta fino al soffitto ad occupare un'intera parete e antichi tappeti caucasici a coprire il pavimento in marmo. Il resto delle pareti erano vetrate da cui si poteva scorgere, anche se solo per un soffio, delle terre desolate.
La cosa che colpì la ragazza di più in quell'ufficio, però, non era la sua ricchezza e antichità, bensì l'uomo seduto dietro la scrivania. La sua bellezza si poteva descrivere solo come ultraterrena: nonostante dimostrasse solo sui trentacinque anni e ci fossero delle delicate rughe attorno ai suoi occhi marroni, si percepiva che era antico come il mondo - se non di più - e che adesso Alex era alla sua completa mercé.
Si domandò se il maschio di prima non si sentisse incolpa per averla lasciato nelle sue mani. Le si accapponò la pelle.
«Sei arrivata, alla fine, mi stavo stufando di aspettare. So essere molto paziente, io, ma tu ci hai impiegato decisamente troppo tempo per arrivare qua» parlò con calma, scrutandola con le sue iridi ingannatrici.
«Perché sono qui? E lei chi sarebbe per trattenermi?» gli chiese in modo sgarbato, guardandosi attorno con fredda indifferenza, nonostante dentro stesse tremando di fronte a quella voce così vecchia.
Lui gracchiò una sottospecie di risata e non la degnò di una risposta: «Ora è lei a fare le domande, ma che piacevole sorpresa... non mi avevano riferito di questa tua sfrontatezza. Mi piace.» un sorriso appena accennato si fece largo sul suo volto etereo, ma non arrivava agli occhi, era finto, di pura circostanza «ma rammenta ragazzina, non provare a mancarmi di rispetto.»
La femmina sollevò un sopracciglio e incatenò i loro sguardi «Mi hanno rapita e portata qui - da lei - avrò pur il diritto di chiedere i motivi di tali azioni.» non tentò nemmeno a essere gentile, la sua stizza era come una presenza a sé.
«Non provare a trattarmi con sufficienza, miserabile. Se solo volessi, potrei farti scomparire per sempre, quindi modera il linguaggio, che non accetto di essere trattato così da una bambina» la sua espressione era pietra, e comprese di essersi spinta decisamente troppo oltre.
«Bene, ora che hai capito di stare zitta, ti proporrò un patto. Ci saranno delle conseguenze se accetterai e sarai legata a me.» la osservò come se stesse parlando come una stupida «Vedi, sono stato imprigionato in questa piccola cella molto tempo fa, prima della storia degli uomini, e ormai mi annoio» le lanciò un altro sguardo da sotto le sue folte ciglia «voglio che diventi il mio braccio destro - se così si può dire - fino a che non riuscirai a liberarmi da questa forma umanoide in cui sono stato bloccato. In cambio io ti toglierò dalle tue costrizioni materiali e ti rivelerò la verità su tutto questo mondo. Oh, non guardarmi così confusa, non pensavi di essere veramente umana? Sciocca ragazza. Tu sei un essere inestimabile per quelli come me, non credere che io sia l'unico a darti la caccia.»
«Cosa dovrei fare esattamente per lei?» lo guardò torva.
«Non togliermi il divertimento, tutto ti verrà detto non appena sarà il momento. Allora, accetti? I tuoi servigi in cambio della verità, mi sembra uno scambio equo.»
«Quanto starò sotto il tuo comando?» chiese ben consapevole dei rischi di quella proposta.
«Durerà fino a che tu non deciderai da che parte schierarti nel grande gioco dell'Universo, fino a che tu non capirai ciò che sei e cosa sei in grado di fare» le iridi dell'essere si "accesero" e del marrone caldo che gli infondeva una parvenza di umanità non rimase altro che un bianco accecante «fino a che, chi non ha commesso crimini disonorevoli, non verrà punito.»
Aveva bisogno di riflettere a fondo su cosa fare. Era più che cosciente del fatto che, se non avesse accettato, l'avrebbe trattenuta lì con lui per sempre, e che, se avesse acconsentito, si sarebbe dovuta macchiare le mani di sangue - senza poter proferire parola.
Di getto - obbligandosi di non rifletterci ulteriormente - Alex soffiò un debole: «Accetto.»
«Scelta saggia ragazza.» Uno strano formicolio le percorse la schiena e sentì un leggero bruciore lungo la colonna vertebrale. Il loro accordo le si sigillò sulla pelle.
Con un cenno della sua mano la congedò dalla discussione, e - mentre svaniva nelle tenebre, salendo quelle scale che le erano comparse davanti - le disse: «Mi raccomando, non farne parola con nessuno dei tuoi amici, ti stanno aspettando qua fuori. Ci vedremo presto Alexandria.»

Mentre saliva, udì delle voci provenire dall'alto: riconobbe immediatamente quella calda di Seth e quella del suo rapitore. Cercò di arrivare il più velocemente possibile alla fine delle scale e verso quei sussurri: una volta nel corridoio immacolato distinse subito le due figure massicce, un po' lontano da lei, e si precipitò verso di loro, gettandosi tra le braccia dell'amico, sollevata di essere di nuovo con lui. Lo strinse più forte che poteva.
Quando gli concesse di respirare un secondo, notò lo sguardo assente e fisso del maschio che l'aveva gettata nelle fauci del lupo, era come se la visione di lei tra le braccia di Seth gli riportasse a galla dei ricordi.
Mentre Alex si staccava da quell'abbraccio che sapeva di casa, lo guardò malamente e poi, semplicemente, scattò: nel giro di una frazione di secondo fu sopra il biondo a spiaccicargli la faccia a terra.
«Perché» il suo respiro affannoso si stava mescolando alla rabbia che emanava, ma sussurrò.
«Sono stato costretto dal mio accordo, imparerai anche tu cosa vuol dire» la guardò con quegli occhi carichi di significato, così mollò la presa sulle sue ciocche dorate e lo sorpassò senza rivolgergli più attenzione.
Seth non si trattenne dal ridere e commentò soffocando: «Ti ha fatto proprio il culo a strisce, eh, Samael.»
«Oh, ma chiudi quella bocca che ti ritrovi, Sethy. Sei sempre stato uno stolto, ma credevo che dopo tutto questo tempo lontano da casa ti fossi messo a posto, e invece guardati: sei il cagnolino di questa stupida.»
Seth gli fu addosso in un momento, solo che quel Samael non fu colto di sorpresa come era successo prima con la femmina, parò il colpo con l'avambraccio e spinse l'altro maschio indietro di qualche metro.
Per placare quel battibecco decisamente inutile, Alex si frappose ai due idioti e sollevò le mani nelle loro direzioni, parlando con voce ferma: «Fermatevi, adesso. Seth, muoviti e andiamo a casa, sono stufa di questo posto» lo fissò negli occhi e gli prese il braccio destro, tirandolo un po' verso di lei, rivolgendosi in seguito a Samael: «E tu, vedi di non crearmi altri problemi oltre a quelli che mi hai già dato, grazie.»
Senza aspettare risposte o altro, si addentrò in quel labirinto di luce con Seth al suo fianco e gli chiese a bassa voce se sapeva uscire da quel posto. Il maschio le prese la mano e la guidò attraverso il corridoio, sbucando così, senza preavviso, in mezzo alla foresta.
Due paia di spalle stavano dando loro la schiena qualche metro più avanti e, non appena sentirono lo scricchiolio dei loro passi sulle foglie, si voltarono rivelando i volti di Kaiden e Rhys.
A malapena li guardò quando arrivò alla loro altezza, con sguardo arrogante e fiero. Forse uno dei due cercò di parlarle, ma era troppo stanca per sopportare qualcuno che non fosse Seth, perciò li abbandonò lì come i due imbecilli che erano, e si diresse verso casa, più precisamente verso il letto, sperando che non ci fosse ancora un campo di battaglia ad attenderla.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jun 20, 2021 ⏰

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