1.

43 5 0
                                        


Dopo tanto tempo riusciva a raccontare la loro storia.
C'era così tanto dolore in quelle parole che le aleggiavano in mente, riducendo in brandelli il suo cuore già sanguinante.
Tutto era cominciato con il ritorno a Mooresville, la cittadina che era stata la loro casa. Casa. Una parola particolare, per ciò che rappresenta. Cos'era in realtà, un edificio con quattro mura a tenerlo in piedi? Una famiglia a cui far ritorno?
Per lei la risposta era sempre stata semplice: "Qualcuno che riesca a tenerti al sicuro."
Lei non aveva più quella casa, l'aveva perduta. Le era scivolata via dalle dita come sabbia.
Era stata lontano troppo a lungo, era scappata per trovare qualcosa che già aveva.
Aveva lui, aveva loro.
E se li era lasciata scivolare via come sabbia.

La ragazza era seduta su una poltroncina dell'aereo e osservava, con un bicchiere in mano, come le città si allontanassero sempre di più. Le case, le strade, le colline, tutto diveniva sempre più piccolo man mano che l'aereo prendeva quota.
"Essere sul rischio del precipizio, guardare dall'alto tutto il resto, stare in silenzio assoluto, sola"  quelli erano i pensieri che l'affliggevano. Aveva tentato di riempire quella cavità nel petto dove ci sarebbe dovuto essere il suo cuore di pietra. Se una volta quello era pieno di emozioni, adesso, per lei, era solo un organo.
La sua mente si stava perdendo nel caos dei suoi ragionamenti intricati.
L'oceano: un'immensa distesa d'acqua che non perdonava errori. Guardarlo da lassù le procurava una calma che raramente l'avvolgeva.  Questo poteva essere dolce e confortevole come l'acqua di un lago, oppure travolgere come un uragano in piena tempesta, lasciando tutto in balia di sé stesso, togliendo il respiro e portandoselo negli abissi.
Sorseggiò il bourbon nel bicchiere di cristallo, mentre vedeva il vuoto che le si presentava davanti.
"Una stanza isolata, un coltello e la consapevolezza di cosa andava fatto per sopravvivere." Il flashback arrivò indesiderato e il ricordo le attanagliò le viscere. Si intimò di terminarla di riflettere sulle sue cicatrici invisibili e di concentrarsi sul presente. Ma i suoi tentativi erano vani, il senno non cambiava direzione. La sua stessa coscienza le affibbiava nomignoli crudeli: "assassina" era uno dei prediletti dall'inconscio. Il senso di colpa le fece chiudere gli occhi e cercò di digerire il groppo che aveva in gola da quella fatidica sera.
"Assassina, assassina, assassina....". Quelle parole risuonavano come una tetra cantilena per quella femmina che aveva il dolore come persistente compagnia.
Involontariamente le si ruppe il bicchiere contenente il bourbon, il sangue si mescolò al liquido ambrato e lo fissò intensamente, mentre questo le scivolava tra le mie dita, fino al palmo e giù per l'avambraccio. Seppur la ferita fosse fresca, non riusciva a provare alcun tipo di dolore fisico, quello inflitto alla sua anima era infinitamente peggiore. Si sentiva estranea al proprio corpo, come se questo non le appartenesse veramente.
"Io sono solo questo, dolore?"
Si recò nel minuscolo bagno dell'aereo per pulire i profondi tagli, si lavò con cura con l'acqua fredda e le disinfettò. Tale era il desiderio di provare qualsiasi cosa che,  per pura pazzia, si premette le dita intatte sulla ferita aperta, ma persino quello sforzo era inutile di fronte alla sua mancanza.
"Hai ancora le tue mani sporche di sangue, lo saranno sempre, sempre, sempre, sempre..." Un'accoltellata le avrebbe ferito di meno il suo spirito morente.
Rise amaramente, sola in quella stanzetta. Era cosciente di cosa provocassero quel tipo di ferite, e i suoi ricordi erano pronti ad affondarla.
Alzò lo sguardo verso lo specchio di fronte a lei, solo per poter vedere cosa vedevano gli altri di sé stessa: occhi di un marrone comune, dei capelli castano-chiaro lunghi e setosi, labbra rosse e carnose, pelle bianca - a malapena baciata dal Sole.
"La mia bambolina" era così che la chiamava. Con amore. Si dovette reggere al lavandino per non scivolare a terra. Provava qualcosa, adesso, ma era così terribile che la uccideva. Era tornata la sofferenza, era tornato il dolore.
"Alex non lasciare che questo ti distrugga, sei più forte di così" erano delle così belle parole, per una persona che non esisteva più.
Atterrò nel territorio del North Carolina dopo un viaggio di quasi nove ore, scese le scale di metallo che la portarono sulla terra ferma, espirò l'aria che non si era resa conto di trattenere e respirò quella pulita che la circondava.
Riuscì ad arrivare indenne all'enorme suv parcheggiato di fronte all'aeroporto e sorrise a quel ragazzo che ormai era diventato un uomo. La stava aspettando come sempre, gli occhi luccicanti di pura gioia.
Si gettò tra le sue braccia non appena gli arrivò davanti; il contatto con il suo corpo riaccese una scintilla di calore - e di amore - in lei. Lui era un grande pezzo di quella che considerava casa.
«Mi sei mancato Seth» sussurrò vicino al suo orecchio, mentre incastrava la testa nell'incavo del suo collo.
«Alex» la scostò delicatamente dalla sua persona per guardarla in viso e le prese il volto con le mani. Il suo tocco era rassicurante su di lei, come se una parte di lui la avvolgesse. Appoggiò la fronte a quella di lui, e notò la diversità dei loro occhi.
Non avendo bisogno di altre parole, lo strinse un'ultima volta e si staccò, la ragazza salì nel lato passeggero della macchina e lo attese con le mani in mano. Lo sguardo del ragazzo si posò sulla figura della femmina, inquisitore e preoccupato. Lei gli doveva molte spiegazioni anche se non le pareva il momento adatto.
«Sali Seth» un sorrisino, le labbra leggermente incurvate verso l'alto.
Sfrecciarono per le strade sconnesse della cittadina, senza soffermarsi per dettagli futili come i semafori, non presero sotto nessuno fortunatamente.
«Sorellina non fare il muso che sei brutta così» il ragazzo, Seth, cerco di darle uno spintone, ma il risultato fu solo che sbandarono per strada.
«Mi vuoi uccidere subito Seth? No, dimmelo sai, che così esco quando siamo ancora in corsa.» domandò la ragazza con ironia. Ricevette solo una linguaccia da parte di un ragazzo di oltre un metro e novanta. Iniziarono a ghignare come due psicopatici, la loro complicità riaccesa come un tempo. Come sempre lui l'appoggiava, sensazione che si era scordata.
Sentendosi mancare il fiato, lo costrinse a inchiodare istantaneamente e il contraccolpo che ricevettero le fece sbattere la testa contro il vetro. La ragazza uscì di tutta furia dal veicolo e iniziò a correre senza avere nemmeno un filo di fiato in corpo. Aumentò il passo senza sosta per quanto le gambe le permettessero, senza mai fermarsi o guardare indietro.
I ricordi erano troppo soffocanti, amari e dolorosi.
Il cielo piangeva mentre volava tra gli alberi, ma lei non cadde nel suo tormento, non pianse mentre i pensieri le controllavano la mente, mentre la pioggia si abbatteva sul suo viso straziato da un dolore invisibile.

Over the stars who listenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora