Missing Moment 2 - Ciò che meritavo

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♦♦♦ ♦♦♦ Intermezzo tra i capitoli 19 e 20 | Piccolo monologo  ♦♦♦ ♦♦♦


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Ciò che meritavo

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Emily, ti è mai capitato di rimanere svegli di notte, fissando il soffitto mentre gli attacchi di panico ti perseguitano fino a farti impazzire? Se sì, allora potresti capirmi. La verità è che, in quegli anni, ero una povera vittima della vita. Una vita che odiavo.

Avevo sempre pensato di essere l'unica a subire violenze da parte di Trevor e Adrian, invece non ero sola, ma tra noi vittime c'era solo omertà. La vita mi aveva riservato un cartellino rosso e quando provai la sensazione di avere lividi addosso, capii che quel demone era diventato ancora più grande di prima. Bastava una frazione di secondo e quel male diventava parte di te.

Quando te ne accorgerai, Emily, sarà troppo tardi.

Fino a quel momento la mia vita era andata bene, anzi alla grande. Apparentemente non mi mancava nulla, non avevo bisogno di cambiamenti in nessun senso. Poi un giorno è iniziato tutto, mi ricordo perfettamente anche la data in cui è accaduto per la prima volta, il giorno più brutto della mia vita che non scorderò mai.

All'inizio pensi che sia solo un brutto sogno, pensi sia solo una brutta influenza. Poi col tempo capisci. Capisci che invece ti eri sbagliata fin dall'inizio; capisci che sei finita in strade che era meglio non raggiungere mai. Da quel momento è stata tutta una strada piena di curve strette e pericolose. Quei pochi momenti in cui credevo di avercela fatta a uscirne sono stati i più drammatici che io ricordi, la ricaduta era sempre più dolorosa.

Era come se tutto il mondo fosse contro di me, come essere una strega pronta per il rogo. La mia vita era diventata vuota, fredda, senza uno scopo. Non avevo motivi per andare avanti. Non ero più padrona del mio corpo, in quel momento mi ero trasformata in una palla da basket: palleggio, palleggio, lancio, canestro e caduta.

Ero stata costretta a cambiare troppe volte le carte in tavola, troppo in fretta. Era il Destino, o almeno così lo chiamavano. Infame, crudele. Non era colpa dei bulli, era colpa mia. Ero io che avevo bisogno di una strigliata, quella che mia madre mi dava di continuo ogni volta che cercavo di ribellarmi ma senza successo.

Era ciò che meritavo per essere stata cattiva con la mia famiglia, dal giorno in cui mio padre mi aveva lasciata in quella catapecchia. Era un dolore insopportabile, ma il peggio era che non potevo fare nulla... se non restare a guardare il mio corpo e la mia anima degenerarsi.

Ogni notte sudavo freddo, stringevo gli angoli delle lenzuola e sentivo le mie gambe tremare. Non volevo più ricordare quel dolore immenso che provavo ogni giorno, non volevo più essere costretta a voler desiderare di morire. Ero stanca di combattere, non avevo più la speranza di riuscire a farcela.

Non riuscivo a parlarne con nessuno, in un certo senso mi vergognavo di ciò che mi stava succedendo... era questo forse, l'ostacolo che mi impediva di essere aiutata. Esternamente i segni di ciò che mi stava succedendo cominciavano ad essere visibili. Si poteva benissimo pensare che fosse una crisi come tutte le altre, una brutta litigata con le amiche o un brutto voto a scuola - e la mia carriera scolastica era vacillata per colpa della paura di essere nuovamente picchiata, ma solo io e le persone che mi conoscevano veramente sapevano che non era niente di tutto questo.

Erano i marchi di Trevor e Adrian, come per dire "sei la mia valvola di sfogo".

Ci sono stati momenti in cui desideravo scomparire. Mentre camminavo per strada, guardavo le persone sorridere felici e mi chiedevo perché non potessi essere così anche io. Io so cosa si prova, fino ad allora non potevo capire quali emozioni venissero suscitate in te in momenti del genere. E una volta, Emily, tentai il suicidio.

Fu proprio tuo zio a salvarmi e non riuscii a ringraziarlo in tempo, perché il demone ormai mi aveva posseduta. Aleksandr voleva davvero salvarmi, ma per colpa di quell'incidente non poteva fare altro se non guardarmi e consolarmi.

Alla fine, non serviva consolarmi. L'unica cosa che davvero mi poteva far stare bene era sentire il suono delle mie ossa quasi rotte, quei ematomi violastri doloranti e le lacrime agli occhi. Potevo non rialzarmi più, potevo rimanere in quel vicolo e morire, ma ho avuto la forza di rialzarmi. Da quel momento ho cominciato a reagire, più dolore di quello che già provavo non poteva più starci nel mio corpo.

Adesso ricordo col sorriso quei giorni in cui mi sono ripresa in mano la mia vita, quei giorni in cui ho detto che solo io potevo decidere cosa fare della mia mente e del mio corpo. Ma alla fine, anche Trevor ed Adrian furono castigati. Ero finalmente libera.

«Come si chiama quel demone, zia?»

«Si chiama bullismo, mia piccola Emily, e segnerà parte della tua vita.»








Chain [✔] || [#wattys2017 Winner]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora