Capitolo 9

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Ci ritrovammo tutti ai tavoli che ci erano stati riservati al delizioso ristorante al primo piano, tutti in rigoroso accappatoio bianco.

Cercai il mio nome tra i segnaposto che erano stati posizionati sui tavoli e constatai con orrore che i miei commensali contemplavano quanto di peggio mi potesse capitare. Brigida alla sinistra, Albertina di fronte e alla destra il matto, Orfeo, uno dei colleghi più strani e chiacchierati, considerato da tutti uno squinternato di prima categoria. Meglio non avrebbe potuto andare.

Feci un cenno di saluto e presi posto accanto agli altri. Rimanemmo in silenzio per qualche istante, in attesa che Orazio si decidesse a iniziare il discorso ufficiale di benvenuto.

«Mi chiedo se avremo anche tempo di visitare i dintorni. Mi piacerebbe tanto trovare un posto per fare speleo-canyoning», attaccò Albertina di punto in bianco.

«Per far cosa?» le rispose Brigida, commiserandola con gli occhi.

«Speleo-canyoning. Mi calo sottoterra in cunicoli stretti scavati dall'acqua».

«Non è che forse ci sei rimasta un po' troppo nei cunicoli?» dissi io. 

«Come scusa?».

«Intendevo dire che forse è un po' troppo privare il proprio cervello dell'ossigeno e pretendere che continui a funzionare correttamente».

«Ah, ah, ah! Ga, tu scherzi sempre!» mi rispose con tono divertito Albertina, che aveva colto al volo il senso del mio commento.

Notando il mio entusiasmo in mezzo a quell'allegra brigata, dal tavolo alla mia sinistra Walter se la rideva compiaciuto. Capivo dagli occhietti vispi con cui mi stava dileggiando, che il vino aveva già cominciato a scorrere copioso al suo tavolo. Immaginavo soprattutto cosa Walter avrebbe voluto dirmi. Mi sembrava di sentirle, le sue parole di sfida, con quel suo tono a metà strada tra la paternale e lo sfottò. 'Ma che fortuna, dei colleghi da conoscere meglio. Dei colleghi che hai sempre considerato degli idioti. Ma non sono tutti idioti come pensi tu, sai Ga'.

Ovviamente non era affatto vero. Non ho animo indulgente a tal punto da scorgere del buono in ogni esemplare umano, ma neanche così ottuso da negare l'evidenza dei fatti. Se valeva la pena tessere le lodi di qualcuno, io ero il primo a farlo, special modo se quel qualcuno ero io. Ma se c'era da sperticarsi nel deplorare l'idiozia di qualche collega, allora certo non mi tiravo indietro. Al beota collega nessuna pietà! E si dava il caso che Brigida era una vera idiota su tutta la linea, Albertina aveva un cervello da gallina e Orfeo, be' Orfeo era Orfeo. Tutti lo ritenevamo una strana via di mezzo tra un depresso cronico e un pazzo furioso. Il gazzettino aziendale —  o meglio, i poveretti che negli anni si erano dovuti sorbire i suoi interminabili bottoni — riportava che lo sconclusionato collega era stato lasciato dalla moglie dopo venti anni di matrimonio e lui, invece di festeggiare e darsi alla pazza gioia, ne aveva tratto un esaurimento nervoso. Per riprendersi aveva fatto un viaggio in Croazia, da cui era tornato con una nuova fantomatica fiamma, che nessuno però aveva mai visto né in foto tanto meno in carne e ossa. Chi lo conosceva da tempo sosteneva che anche prima dello sciagurato evento, tanto giusto di testa non fosse mai stato, e che le sue stranezze erano solo aumentate. Orfeo non era insomma il tipo più popolare dell'ufficio, quello con cui ci si bullerebbe di essere pappa e ciccia, o di avere qualcosa in comune, se capite cosa voglio dire.

Dopo qualche altro minuto di attesa Orazio si alzò dalla sedia e iniziò una noiosa tiritera su quanto fieri e orgogliosi avremmo dovuto sentirci di lavorare per un'agenzia tanto generosa da regalarci momenti di svago come quello che stavamo vivendo. Dopo un quarto d'ora —  che all'ora di pranzo dura almeno il doppio — Orazio assecondò le nostre occhiatacce impazienti, e degli eleganti camerieri fecero finalmente il loro ingresso. Appena se ne avvicinò uno al nostro tavolo, Brigida si affrettò ad attirarne l'attenzione.

Un equo indennizzoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora