Capitolo 19

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Quella mattina mi alzai di buona lena. Il sonno rigeneratore mi aveva restituito la serenità che il bisticcio con Walter del giorno precedente aveva incrinato — per quanto sgradevole fosse il grattacapo che mi era capitato, non ero solito farmi rovinare le dormite — ed ero intenzionato a ristabilire la vecchia armonia col mio amico senza ulteriori scontri. Non mi sembrava una buona idea proseguire nella discussione, e rischiare magari di ritrovarmi per le mani un vaso di Pandora di cui ignoravo l'esistenza. Preferivo rimanere nelle mie certezze, scordarmi di quel battibecco e seppellire l'ascia di guerra.

Dopo una rapida colazione a base di cappuccino e brioche, mi infilai in un paio di jeans ― sì lo so, forse non il massimo dell'eleganza per andare in ufficio, ma tanto non sarei rimasto ancora a lungo in quel posto ― e senza indugi presi la porta di casa in direzione dell'ufficio. La caccia all'amante segreto di Rosina si stava rivelando un ottimo rimedio alla mancanza di stimoli con la quale ero solito affrontare la giornata lavorativa.

Sulla strada verso l'ufficio mi chiesi dove fosse Rosina in quel momento, e se avesse già vuotato il sacco con quel cuore d'oro che si ritrovava per consorte, rivelandogli lo scambio di persona nel quale ero incappato.

Arrivai in ufficio, salutai benevolmente i colleghi che incontrai sulla strada verso la mia scrivania, risvegliai quel fossile che mi pregiavo di avere su di essa e lo abbandonai subito dopo per andare alla ricerca di Walter.

Lo scorsi alla macchinetta di caffè. Accanto a lui Vera, coperta fino al midollo e con i due vecchi fondi di bottiglia calati sul naso, si stava versando dell'acqua in silenzio. Attesi qualche istante fino a che Vera se ne fosse andata, e mi avvicinai.

«Ehilà», feci io con finta indifferenza, lanciandogli un occhiata di traverso.

«Ehilà», fece lui con finta indifferenza, lanciandomi un occhiata di traverso.

«Vedo che la femmina fatale è tornata ad essere la sciattona di un tempo».

«Sì, sembra che il marito abbia sentito puzza di bruciato e lei sia tornata nei ranghi con la coda tra le gambe».

Primo argomento rompighiaccio esaurito.

«Com'è andata la cena ieri sera?». Mi morsi impercettibilmente le labbra. Era stata la prima cosa che mi era venuta in mente per dare una martellata al muro di indifferenza tra di noi, ma certo sarebbe stato più conveniente non prendere il là proprio con l'unico argomento che l'aveva innalzato.

Walter non raccolse la provocazione e mi rispose con pacato distacco. «Benone. Il cuoco, Luis, si è superato quest'anno. Un menù da gourmet».

Rimanemmo in silenzio per pochi ma lunghi secondi, che passammo a guardarci senza alcuna espressione.

Fui io il primo a riattivare i muscoli del viso. «Pensi sia possibile risolvere questa storia velocemente e senza scendere nel patetico?».

«Suppongo di sì», mi rispose Walter, inarcando un po' le sopracciglia come fosse meravigliato di sentire il mio solito tono burlesco. «Anche se preferirei una sfida all'arma bianca o una sceneggiata melodrammatica. Sai che mi sono sempre piaciute le telenovele».

Dalla sua risposta capii che riportare le nostre conversazioni sul terreno che più ci era fertile era anche nelle sue intenzioni.

«Allora facciamo finta di non aver mai litigato e torniamo quelli di sempre», dissi con atteggiamento propositivo.

«Non preferisci prima chiarire il perché del nostro litigio?».

«Non c'è nulla da chiarire».

«Ci sarebbe molto da chiarire invece».

«Ma non mi interessa. Preferisco che si torni a essere i leggeri compagnoni di burle di sempre, senza vanificare altro tempo in polemiche poco produttive per il trionfo dell'umorismo nell'universo».

Un equo indennizzoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora