8. Pain

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Quel pomeriggio, mentre mi dirigevo verso il pianerottolo di casa di San, ero stranamente emozionato. Non vedevo l'ora di aprirgli il mio cuore e di alleviare il peso che mi portavo dentro da ormai troppo tempo, di liberarci da quel limbo in cui eravamo caduti.

Ero inspiegabilmente positivo e sicuro di me, di noi.
Di quel 'noi' che, a detta di Yeosang, era palese agli occhi di tutti.

Così, sorridendo, strinsi a me il piccolo orsacchiotto di peluche che volevo regalargli. Esso stringeva tra le zampine un cuore rosso con la scritta 'ti amo', e, per quanto potesse sembrare un regalo scontato e sdolcinato, io ne ero soddisfatto, perché sapevo che San l'avrebbe apprezzato.

San, il mio San, sapeva cogliere la bellezza delle piccole cose, dei gesti all'apparenza insignificanti.
E lo amavo per questo.
Per questo e per altri infiniti motivi.

Con il cuore che batteva sempre più forte girai la chiave nella serratura ed entrai. Ridacchiai leggermente pensando alla sua possibile reazione una volta che mi avrebbe visto.

Ma la risata mi morì in gola quanto una voce estranea, proveniente dal salotto, giunse alle mie orecchie. La tua voce. Che sovrastava quella dolce di San.

Mi avvicinai lentamente al salotto, una brutta sensazione che mi assaliva. Poi, qualcosa mi fece congelare sul posto.

Un suono.
Il suono di labbra che si incontrano.
Il suono di lingue che si sfiorano.
Il suono di respiri che si fondono.

Mi costrinsi di compiere quegli ultimi due passi che mi avrebbero permesso di avere una vista completa del salotto, gli occhi che lentamente si riempivano di lacrime.

E per la prima volta ti vidi.

Ma non fosti tu ad attirare la mia attenzione, a farmi sanguinare il cuore. Bensì San.

Era seduto a cavalcioni su di te, la bocca a pochi millimetri della tua e aperta in un ampio sorriso. Il suo sorriso sincero, puro, luminoso. Sorriso che credevo essere riservato a me e a me soltanto.

Ma la cosa che più mi fece male, un dolore così acuto e lancinante che non riuscivo nemmeno a respirare, furono i suoi occhi. I suoi occhi felini brillavano, come non facevano dal giorno del suo compleanno, ed erano carichi di adorazione, di felicità, di amore.

Ti guardava con un tale amore che la stanza splendeva luminosa.

Ma era tutto sbagliato. Quello sguardo, quell'amore, che avrebbe dovuto essere per me, era diretto a te.
Tu, persona senza nome, ti eri preso ciò che credevo fosse mio.

E con esso la mia felicità.
Il mio cuore urlava in preda al dolore, lacrime amare mi rigavano le guance.

San non era mio.
E probabilmente mai lo era stato.
Il suo cuore apparteneva a qualcun'altro.

Faceva così male che non riuscivo nemmeno a muovermi, ritrovandomi così costretto a osservare ogni dettaglio di quella scena straziante, imprimendo ogni singolo particolare nella mia mente.
Forse era ciò che mi meritavo per essere stato così sicuro di me.

E Dio, non avevo mai provato un dolore così intenso. Potevo sentire il mio cuore che si dilaniava, il tremare violento del mio corpo, la sofferenza contenuta nelle mie lacrime.

La stanza girava vorticosamente su se stessa, stringendosi intorno a me.
Ed era buio. Così buio che volevo gridare e correre via.

Ed ecco una luce, prima flebile poi abbagliante.
Gli occhi di San si erano posati su di me.
Occhi carichi di parole non dette.
Occhi stupiti.
Occhi inorriditi.
Occhi spaventati.
Occhi tristi.

Non potevo più sopportarlo. Il dolore era straziante, il terreno sotto di me mi stava inghiottendo lentamente.

Il mio cuore si frantumò in mille pezzi.

Barcollai all'indietro e corsi via, mentre l'orsachiotto che fino a quel momento avevo stretto a me nella speranza che assorbisse un po' della mia sofferenza cadeva a terra, in un assordante silenzio.

Il cuore che stringeva tra le zampine era solcato da una crepa amara.

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So che in fondo, molto in fondo, non mi odiate.
O almeno credo.
Alla prossima ~

Please Love Him || WooSan Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora