11. Felicità?

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Solito risveglio. Solita ora. Solito tempo. Solito odore. Solito sapore. Solido caldo. Il solito. Insomma. Poteva mai cambiare? Qualcosa o qualcuno? Una persona non cambia. Matura. Cresce. Comprende. Ma cambia, mai. Cambia il modo di vedere, ma mai di essere. Avete conosciuto qualcuno a cui avete voluto bene, su cui avete creduto particolarmente, di cui vi fidavate ma che alla fine vi ha resi succubi delle paranoie? Alla fine se ne escono con un Cambierò, ma in realtà nessuno è disposto a farlo. Neanche se ci guadagnerebbe del sesso a rilento o violento. Inutile illudersi per nulla. Nessuno cambia. Nessuno ha così tanta volontà per rendere felice qualcuno. La realtà è che spesso la felicità non appartiene alle persone, ma al proprio Io. La felicità non va cercata, ma provata. Sentita. Ustionando la visuale, il corpo, l'anima. La felicità esiste. É il posto in cui ti trovi che modifica sempre le cose.

Clayton era un ragazzo per bene. I suoi adorati capelli mori e lisci come la seta erano abbastanza rilassanti che spesso ci passavo le dita fra di essi. Lui si rilassava sotto al mio tocco e spesso finivo per coccolarlo, accarezzarlo. Finendo per lasciargli piccoli baci di compassione sulle sue gancie tirate o sulla sua fronte che spesso emanava del calore, un calore non caldo, ma così candido che mi metteva sulla difensiva. Passarono vari giorni, e spesso finivamo per accamparci nella solita villa comunale, della quale ricordo ogni minimo particolare. É composta da una scia di alberi, panchine bianche, il Cialuna che di sera brillava come una stella, altre panchine gialle, la rotonda, il mini parchetto e l'Arena tinta di un rosso corallo, o quasi. Quella sera finimmo per arrestarci su sagome di marmo, con una stampa di scacchi. Nessuno ci giocava, effettivamente. Clayton era un ragazzo davvero carino, molto bravo con l'udire i problemini altrui, il che aumentava i suoi. Ed io lo avevo sempre preso appieno, lo avevo capito. Però spesso si convinceva di farcela anche senza altri su cui appoggiarsi. Prendemmo il solito fiato, un sospiro, e la sigaretta prese la sua particolarità.

«Star, mi fai un drum?» mi chiede Esme, dopo tanti tentativi nell'imparare a rollare. Per lei imparare qualsiasi cosa era un'impresa.
«Si, mo te lo faccio.» dissi, diretta. Cosa che lei comprese subito. Infatti mi guardò stranita e i suoi occhi mi domandavano tante cose.
«Tranquilla non ho niente.» le sorrisi.
«Dovrei crederti?»
«Esme, il caldo mi irrita. Mi cambio ogni secondo e sudo di continuo.» leccai la cartina e subito le porsi la tabaccata.
«Mado veramente. Sto crepando.» aggiunse, mentre Walter ci raggiunse con Mary e Clayton, tornati dalla pizzeria difronte. Birre e pizze.
«Che stronzi.» risi, golosa al sapore di quel profumo.
«Modestamente.» ironizzò Jamie, presa ormai dal suo adorato spasimante di Bari.
«Lasciateci qualcosa.» afferma, realizzando occhi a cuoricino.
«Infatti.» ma i tre mimarono un no. Feci un finto broncio, ma presi ad amoreggiare con la mia adorata sigaretta, dalla quale sentivo la sua calma drogare la mia irritazione.
«Comunque sia, hai visto quella?» dissi a Clayton, indicando una ragazza quasi della nostra età, coi pantaloncini che le mettevano in bella mostra la sua bella pesca rotonda. Lui guardò con malizia, e mi sorrise, annuendo.
«Minchia.» constatò, mentre Esme e Jamie presero a discutere fra di loro. Io risi verso Clayton, con cui ormai avevo stretto un rapporto unito.
«Dai, pure Esme ha un culo da sbattere.» constatai io, sarcasticamente. Poi ripresi a realizzare ciò che avessi detto. Non me ne pentivo e di certo Esme non se la sarebbe presa.
«Questo è vero.» aggiunse Clayton, guardando Esme. Rimase per pochi secondi a studiarla. Ad elogiare i suoi lineamenti. L'allargarsi del suo sorriso mettendo in risalto le sue adorate fossette.
«Clayton...» lo ripresi. In quel momento, Esme mi si parò di fianco e mi si accese la lampadina della stronzaggine.
«Si?»
«Ti scoperesti mai Esme?» gli chiesi, e lui di colpo arrossì. Esme mi guardò stranita, un po' disgustata. Io cercai in qualsiasi maniera di non ridergli in faccia, ma la verità era che volevo sapere la sua vera opinione. Se fosse stato per me, anche io me la sarei fatta.
«Devo essere onesto?» chiese lui, lasciando uno sguardo impaurito verso di me e poi verso Esme, ormai rimasta basita e in silenzio. In attesa che la sua risposta sarebbe spuntata con negatività.
«No, guarda. Dici una cazzata. Secondo te?» ironizzai. Stranamente pensai a qualcosa di finto. Sperai che la risposta sarebbe stata no. Ma non potevo essere onesta. Esme era una bella donna, una ragazza molto gentile e a modi pazzoidi. Cercavo di stare sulle mie, ma non potevo negare che un po' di fastidio ci fosse.
«Si, me la farei.» finí per dire. Io sorrisi, per non lasciar tradire il mio vero umorismo.

La verità era che ero gelosa. Ma non sarebbe stato un Si ad aver avuto potere su di me. Clayton non sarebbe mai stato mio e mai l'avrei preteso come un oggetto. Ed è vero. Certe volte la felicità non fa parte delle persone, ma di se stessi.

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