La brezza non provocava neanche delle scosse leggere. Era completamente piena di calore che quasi mi sentivo di cadere. Ho sempre sofferto il caldo, anche quando tornavo dal mare mi sentivo infastidita. Ecco perché mi godevo il mattino, il giorno a venire. Quel giorno avevo lo zainetto ancora. Il solo ricordo di quello zainetto, mi riporta a galla tanti ricordi. Ce l'ho ancora tutt'ora, un po' sgualcito, ma ancora utilizzabile. É un regalo di mia sorella che attualmente vive a Milano, da quasi tre mesi e passa. Io invece sono rimasta coi miei genitori in Puglia. Non mi è mai piaciuto il pensiero di lei lontano da casa, ma é sempre stata vicina a tutti noi. Scesi di casa con passi rapidi e subito mi ritrovai al portone che bastava un tasto per aprirlo. La richiusi alle mie spalle e mi portai le cuffie alle orecchie, lasciando che la musica prendesse il ritmo dei miei passi.
Passai già varie stradine, perfino la caserma. Mi aspettava la mia migliore amica Esme. I suoi capelli ondulati e ancora pronti a crescere, dopo un taglio, le ricadevano verso le spalle. Il suo seno rotondo sulla media si traspariva nella sua maglietta bianca con lo stampo di una frase. I suoi pantaloni, invece, di tinta nera e con delle tasche all'altezza delle ginocchia, le aderivano perfettamente le sue gambe in carne. Era alta quanto me, poco di più. I suoi occhi rotondi mi guardarono, aspettando che mi avvicinassi ulteriormente a braccia conserte. Mi aspettava ogni giorno, come se senza di me non si sarebbe mai spostata. Mi aspettava anche quando era periodo di scuola, e prendevamo sempre il pullman insieme nonostante fossimo di classi opposte. Riuscii quasi ad avvicinarmi. Col suo cellulare mi riprese, una delle cose che faceva quasi sempre, e rideva. Io mi mettevo in finta posa, come se stessi effettuando una sfilata di moda. Poco dopo mi arrivò la notifica in cui diceva che Esme mi aveva taggata in una storia Instagram. Lasciai via il telefono e pensai ad Esme, e a quanto fosse diventata una bella ragazza col passar degli anni.
«Ciao amo.» mi disse, poggiandomi due baci alle guance, che io ricambiai istintivamente. Era una cosa spontanea la nostra e qualche volta ci abbracciamo così forte da declinare il respiro.
«Ciao amo.» risposi poco dopo.
Ci dirigemmo verso la piazzetta, dalla quale si vedeva anche da distanza tutte le persone anziane ma pochi ragazzi adolescenti che si prendevano a parole o giocavano fra di loro. Il mio paese ha quasi dieci mila abitanti, se non erro, e di ragazzi della mia età ne conosco parecchi. Sono quasi tutti figli di papà, a cui piace solo giocare con le persone e a cui piace parecchio criticare a manetta. E se dico a manetta, non scherzo mica. Quante volte mi sono ritrovata in risse nate a casaccio, per cose infantili, e tante altre volte mi beccavo critiche inesistenti. Fatto sta che ho sempre fatto di testa mia e non mi è mai mancato il coraggio di rispondere appresso.
«Che si dice?» chiesi io, notando il viso di Esme un po' severo, e dal quale provai un senso di colpa. Era successo qualcosa, ed io sui miei migliori amici ci azzeccavo sempre.
«Niente in particolare.» rispose schietta. «Tu?» aggiunse.
«Sempre il solito. Ormai la mia routine è sempre la stessa.» presi sul ridere, ma lei non mi volgeva neanche un sorriso.
«Tutto bene?» le chiesi, fermandola a metà traguardo.
«Sempre la stessa storia.» boffonchiò.
«In che senso?» dissi. Ma poi ci pensai su per pochissimo tempo, abbastanza per collegare il suo umore a qualcosa che la rendeva succube della rabbia «Papà?» e in sua risposta ottenni l'annuire. E, ancora una volta, presi ragione.
«Che ha fatto questa volta?» chiesi, pronta per darle un abbraccio, ma mi dissi di aspettare e vedere la sua reazione quale sarebbe stata. Il che mi portava ad una scelta, quella di vederla piangere. L'unico che le provocava pianti deboli, era suo padre.
«Sempre la stessa storia, Starlight.» disse, pronunciando il mio nome per intero. Faceva intendere abbastanza quanto si sentisse a pezzi.
«Mi sento in gabbia, ogni volta.» confessò, e potevo sentire la sua rabbia spalmarsi lungo le iridi, che cresceva sempre di più, con l'aumento dei passi. «Ogni volta che li chiedo di farmi ritirare per le undici, sotto la tua compagnia, dice sempre di no. Abitiamo anche vicine.» spezzò le parole. La sua rabbia mi pungeva con orrore, e mi dispiaque particolarmente non poterle porgere il mio aiuto. Io non potevo fare niente. Non potevo immischiarmi nelle faccende familiari. In quel momento, l'aiuto non esisteva. Ma solo quella di farsene una ragione e attendere la maggior età.
«So che ti senti in gabbia.» presi parola. Ed era vero. É una cosa che ti parte dalla mente e te la senti nelle vene. È una cosa che nasce e cresce, e non muore. Non muore mai. Si alimenta, cresce in te senza un minimo di compassione. Ma è una cosa che solo la propria persona può controllare, e lei non ci riesce.
«Non posso farcela.»
«Certo che puoi.»
«No star, non puoi capirmi. Sai quanto è brutto vedere i tuoi amici stare fino a tardi? Andare a bere? Ballare? Conoscere gente nuova? Non so neanche cosa significa sentirsi bene con sé stessi e liberi di vivere la propria adolescenza.» e fu in quel momento che perse il mondo fra le mani. La lasciai sfogare contro di me, cosa che mi fece stare male. Non per me, ma per lei. La vedevo sempre persa, triste, sempre per la stessa persona e per lo stesso motivo.
Fu così che l'avvolsi in un abbraccio ardente e la lasciai vivere nella sua rabbia, col mio dolore assieme.
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Don't Cry
Storie d'amoreEra la mia mente che mi guidava ovunque. Sul cuore non ci contavo più. Perché il cuore molte volte prende decisioni errate, la mente ti lascia il tempo opportuno per prevenire o curare. E non potete che darmi ragione. Spesso il cuore non fa buon gio...