1- Sul Lago

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Avevo parcheggiato al solito Auto Silo non lontano dal vecchio ingresso alla città.
Era una caldissima Domenica e qualcosa mi aveva spronato ad abbandonare il mio soffocante appartamento in provincia per confondermi tra i turisti. Como mi dava senso di libertà e lì, che fossi capitato in una serata fredda di mercoledì o un fine settimana affollato, non mi sentivo mai fuori posto anche se da solo.
Mi incamminai per la solita vietta, larga il tanto da far passeggiare al massimo tre persone l'una accanto all'altra, quando sentii un soffio di aria fredda arrivare dal lago ancora lontano e nascosto alla mia vista. Il vento si era fatto largo tra i budelli e cominciai a vedere anche parecchie persone arrivare dalla sua stessa direzione, camminavano a passo svelto con il volto preoccupato.
«Mai visto il tempo cambiare così velocemente.» Udii un passante dire quelle parole a una donna, mentre le circondava le spalle con un braccio e la invitava a raggiungere l'auto il prima possibile.
Non fu il primo né l'ultimo che vidi in quell'atteggiamento frettoloso, comprese intere famiglie che trascinavano i figli per mano via dalla città per paura dell'arrivo di un temporale. Io continuavo per la mia strada, stranito e curioso al tempo stesso.
Quando arrivai davanti al Duomo erano rimaste poche persone che si stavano incamminando nella direzione opposta alla mia, i bar avevano ritirato i tavolini in fretta e furia, lasciando la piazza vuota. Una nube scura aveva coperto la città facendomi pensare che fosse calata la notte. D'istinto guardai l'orologio del campanile, segnava le sei di sera, eppure ero sicuro di aver parcheggiato al Silo proprio verso quell'ora. Trassi dalla tasca lo scontrino e infatti sulla carta lucida era stampato l'orario d'ingresso: le cinque e cinquantanove. Non potevo averci impiegato un solo minuto a parcheggiare e percorrere tutta quella strada e, anche se la macchinetta della struttura avesse avuto l'orologio tarato male, ricordavo chiaramente di aver guardato l'orologio dell'auto prima di scendere.
Il tempo si era fermato o io ero diventato matto, ed era calato un freddo gelido. Qualcosa di strano stava per accadere, ebbi l'assurda sensazione che il tempo si fosse fermato.
Appena distolsi lo sguardo dal quadrante rotondo del campanile, fui travolto da una mandria di entità gassose che fuoriuscivano come fumo dal portone chiuso del Duomo. Se non avessi visto chiaramente dei volti e dei corpi fluttuanti intrecciarsi tra loro, avrei pensato che la chiesa stesse prendendo fuoco, pur emanando un'aura glaciale. Alcuni fantasmi urlavano mentre scivolavano sull'aria, ma nessuno di loro badava e me, immobile e con la bocca spalancata in mezzo alla piazza deserta. Ma mi sbagliavo a pensare di essere solo. Una figura incappucciata si materializzò al mio fianco facendomi sobbalzare. Mi afferrò il braccio e notai che portava una maschera in metallo a coprirgli il volto. Lo sconosciuto si passò una mano davanti al volto e la maschera si dissolse mostrando uno sguardo severo che mi era familiare.
«Vattene via» scandì l'uomo.
«Piton?» chiesi.
«Vattene» ripeté duramente.
«Cosa sta succedendo? Cosa ci fa lei qui?» balbettai.
«Non è posto per un Babbano questo!» mi disse senza darmi alcuna risposta. «Tornatene a casa!»
Detto questo l'uomo partì di corsa verso il lago e io rimasi immobile a guardarlo. Aveva un mantello lungo e nero, fluttuante, che lo faceva sembrare un grande pipistrello che svolazzava sull'acciottolato. Nonostante il freddo facesse di tutto per penetrarmi sotto pelle, trovai la forza di muovermi e di seguirlo, disobbedendo all'uomo che avrei potuto vedere soltanto nei miei sogni, quindi, se fosse stato un sogno, non avrei corso alcun rischio. Se così non fosse stato, lo avrei scoperto presto.
Trovai Severus Piton in persona a braccia aperte verso il lago. Quando gli fui dietro lo udii urlare parole che on compresi e lui non si accorse della mia presenza, poi percepii un'altra folata di vento freddo e notai che parecchie figure incappucciate, nere come il fumo denso, stavano sorvolando le acque, dirette proprio verso di noi.
«Dissennatori!» Dissi, o forse lo urlai per dar contro al vento e all'ansia che mi stringeva la gola, rischiando di soffocarmi.
Piton si voltò di scatto verso di me lanciandomi uno sguardo feroce, poi si voltò ancora e agitò la mano che reggeva la bacchetta. Dalla punta di quest'ultima uscì come un velo argenteo che prese forma in una cerva che, leggera ed elegante, cominciò a galoppare a pelo del lago andando incontro ai Dissennatori.
Non feci nemmeno in tempo a realizzare che il mago non ce l'avrebbe fatta da solo, che parecchi colpi di frusta schioccarono alle mie spalle.
«Era ora!» Piton teneva il braccio teso e la sua concentrazione verso il Patronus, ma si rivolgeva a quattro figure appena apparse dietro di me.
«E chi è questo, Piton?» chiese, indicandomi, un uomo gigante con capelli crespi e folti che indossava un pastrano di fustagno, nel mese di Giugno.
«Minerva, Hagrid, sostituitemi. Io porto via qui questo... Babbano» disse, come se fosse disgustato. Poi mi prese per un braccio e mi trascinò via con forza.
«Severus» urlò la McGonagall e tutti ci voltammo a guardare il lago perché lei sembrava impietrita.
Dall'acqua stavano uscendo degli strani esseri, dei corpi viscidi e semi putrefatti. I loro occhi vitrei sembravano puntare nella nostra direzione, tuttavia erano lenti e si trascinavano con i gomiti lungo la spiaggetta d'attracco delle piccole barche.
Il lago sembrava ribollire, nero come la pece, non riuscivo a notare il distacco tra l'acqua e il cielo sullo sfondo.
«Minerva, il Pantronus!» urlò Piton senza mollare la presa dal mio braccio. «Hagrid!» L'omone lo guardò perplesso. «Il fuoco! Usa il fuoco.» Così dicendo, Piton indicò gli Inferi emergere dal lago e avanzare, dopo di che mi strattonò e mi feci tirare verso il centro della città, mentre sentivo Minerva McGonagall, la vera Professoressa McGonagall, gridare: «Arthur, dammi una mano! Tuo figlio può aiutare Hagrid!»
Rubeus Hagrid cacciò una manona nel pastrano e ne trasse un ombrellino rosa, lo agitò e dalla punta fuoriuscirono fiamme che andarono ad attaccare gli Inferi striscianti.
«Tornate da dove siete venuti, brutti...» borbottava il mezzo gigante, ma vidi che altre fiamme si stavano unendo a quelle prodotte dalla bacchetta di Hagrid.
Dopo di che non sentii più nulla, solo il peso dell'oscurità su di me, il freddo che mi attanagliava le viscere e Piton che mi stritolava il braccio, poi sentii un Crack e in un istante mi trovai accasciato sul pavimento di marmo di una chiesa, la testa mi girava e lo stomaco mi supplicava di poter rimettere.
«Dove...?» riuscii a chiedere, ma il mio interlocutore era in piedi davanti a me, con le braccia incrociate.
«Chi ti ha mandato?» mi interrogò.
Io aggrottai la fronte.
«Io.. Cosa ci fa LEI qui?» lo stuzzicai. Ero sconvolto, arrabbiato, e sicuramente non ero io fuori posto lì dentro. «Io ci vivo in questo mondo e lei dovrebbe essere morto» dissi raccogliendo il coraggio e cercando di non pensare a quello che stava accadendo fuori. Temevo che le bestie morte, che fino a quel momento avevo solo immaginato, avessero la meglio sui quattro maghi e venissero a prendermi.
«Tu mi conosci» constatò.
«Lei è stato ucciso da un serpente» sibilai.
«È vero Babbano. Questo è quello che credono tutti.»
Mi alzai.
«Cosa sta succedendo?» chiesi.
Lui parve arrendersi, forse aveva capito che ne sapevo abbastanza, o forse non aveva alternativa.
«Tutti pensano che io sia morto, non è successo però. Ho dato a Potter il ricordo che poteva servirgli per sconfiggere il Signore Oscuro, poi ho perso i sensi. Mi sono risvegliato che tutto era finito, ma allora non ne ero certo. Comunque fosse stato, sapevo di dover sparire, darmi alla macchia e attendere informazioni. Anche se Voldemort fosse stato sconfitto, io avrei dovuto nascondermi dai pochi Mangiamorte rimasti in libertà. Sono codardi i Mangiamorte, vero, ma sono pazzi.» Io assentii interessato, ma lo lasciai continuare. «Rimasi nascosto nella foresta proibita fino al giorno in cui la saggia Minerva McGonagall seppe da Potter che, prima di sacrificarsi davanti al Signore Oscuro, egli aveva girato nella mano tre volte la pietra della resurrezione e Minerva, con sua grande sorpresa, seppe anche che io non ero apparso accanto al ragazzo.»
«Io ho pensato che semplicemente lei non volesse apparire a Harry.»
«Forse» assentì. «Tuttavia io sapevo tante cose e Minerva pensò allora che io avrei voluto spiegarle a Potter personalmente e...»
«Apparire al fianco di Lily Evans» conclusi la sua frase.
Lui chinò il capo, triste ancora una volta del fatto che la sua amata gli era sfuggita e che anche quell'ultima possibilità gli era costato rimanere in vita, nascosto tra i boschi.
«Se pensi che tutto sia finito quella notte ragazzo, ti sbagli.» Si rianimò abbandonando uno sguardo malinconico e nascondendo un paio di occhi lucidi sotto una maschera che non era quella da Mangiamorte con la quale mi si era materializzato accanto, parecchi minuti prima. Il travestimento che portava da tempo, quello con il quale aveva affrontato anni di insegnamento e un rapporto stretto con Voldemort, era diventato parte del suo essere. Un lato del suo carattere che aveva preso forma nella persona di Severus Piton, Serpeverde, ma che solo Lily Evans e, forse, Albus Sielnte, avevano saputo scalfire o ignorare. «Non sono stato l'unico a nascondersi per mesi, anni. Quando Minerva è venuta a cercarmi mi ha nascosto nel castello, nessuno doveva sapere, e col tempo abbiamo pensato che qualcosa stava tramando nell'ombra il ritorno del terrore.»
«Tu sai chi sta tornando?»
«Non lo sappiamo, e l'Ordine crede di no, ma ci siamo riuniti ancora e io sono uscito allo scoperto perché quel lago non è l'unica cosa che ribolle a questo mondo.» Si incamminò verso un piccolo portone a fianco a quello principale, lo aprì e fece un passo all'esterno, io lo seguii appena fuori il Duomo. Piton guardava dritto verso io specchio d'acqua non più ferma, il vento faceva ondeggiare i suoi capelli neri e la sua fronte era corrucciata in una smorfia preoccupata.
«Stanno cercando qualcuno, Babbano» disse, poi si voltò di scatto a guardarmi. «Come mai sei qui? Come mai non sei scappato come gli altri?» Fece una pausa mentre misurava il mio sguardo perplesso. «Che ruolo hai in questa storia?»
Quella domanda si scagliò su di me insieme a un'onda fredda, l'acqua dell'oceano al mattino, l'aria gelida delle giornate in montagna a casa di mio nonno e poi il volto del padre di mio padre. Urlai quanto più potei per cercare di contrastare qualcosa che cercava di trascinarmi via, un ricordo o la mia paura più grande. Vidi un lampo di luce verde e mio nonno che cadeva dal dirupo non lontano dalla sua baita, lo stavo seguendo cadendo nel vuoto fin che atterrai bruscamente su qualcosa di duro e aprii gli occhi mentre agitavo le braccia freneticamente.
«Calmati!» diceva una voce dolce. «È tutto finito, ragazzo» disse un uomo gentile.
Quando mi calmai, seppi di essere sul pavimento della chiesa. Minerva McGonagall e Arthur Weasley mi guardavano preoccupati.
«Cosa mi è successo?» chiesi, tremante.
«Hagrid è andato a cercare del cioccolato.»
«Un Dissennatore» mi spiegò la professoressa.
«Li avevo visti sul lago» la informai, non rendendomi conto che lei li aveva già visti. Ero frastornato.
«Questo Babbano deve tornare a casa» sentenziò una voce rigida alle mie spalle.
«Io non credo sia un Babbano, Severus» proruppe Hagrid che era tornato.
«E tu cosa ne sai?» chiese l'uomo.
«Ma è ovvio.» Quella volta era stata la McGonagall a parlare, il suo tono era caldo e mi rivolgeva un sorriso comprensivo. Io assistevo alla loro conversazione come se stessero parlando di qualcun altro. «Ha visto i Dissennatori! I Babbani non possono vederli.» La donna sorrise e io ero sempre più confuso.
«Come ti chiami ragazzo?»
«Sono Hermo» risposi, ma rimasi scioccato da me stesso e dalla mia sincerità. Non avevo mai detto a nessuno, negli ultimi anni, il mio vero nome. Me ne ero sempre vergognato, così fin da piccolo mia madre aveva acconsentito a farmi chiamare Hermes. Hermo era il secondo nome di mio padre, il primo di mio nonno e così via, indietro negli anni e gli antenati.
«Sei di origini Greche?» mi chiese Piton con impeto, ma le sue parole furono sopraffatte dal suo stesso corpo che, buttatosi in ginocchio e contro di me, aveva allungato il braccio e stretto la mano al colletto della mia maglia.
Hagrid gli fu subito alle spalle e lo trascinò via da me.
Non avevo idea di che problema avesse quell'uomo con me, ma lo sguardo della McGonagall, a differenza di quello sbigottito degli altri tre, era diventato serio.
«Rispondi, ragazzo» disse poi lei e io annuii con il timore di essere aggredito nuovamente.
«È meglio parlarne al quartier generale!» Alle parole di un signor Weasley preoccupato, tutti mi furono attorno e Hagrid trasse una lanterna da una delle tasche del pastrano, poi vidi tutto roteare intorno a me, sentii le mie viscere agitarsi e atterrai sulla sabbia, baciato da un raggio di sole e circondato dall'odore del mare. Ero a Shell Cottage, ne ero certo.

 Ero a Shell Cottage, ne ero certo

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