5- Amplias

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Dopo la discussione con Piton, mi sentivo spossato e giù di morale. L'unica cosa che avrebbe potuto rincuorarmi era sapere che il signor Weasley era tornato e con buone notizie. A quel punto ero combattuto tra il desiderio di poter tornare a casa e quello di far parte del mondo magico. Ciò che mi appariva chiaro, era che se fossi stato un mago, o qualcosa del genere, rischiavo di essere poco gradito.
Bussai prima di entrare, anche se non udivo brusio arrivare dalla finestra aperta della cucina. Una volta dentro, vidi Piton seduto a capotavola, Minerva McGonagall gli stava parlando sommessamente e la signora Weasley era ai fornelli. Udimmo un Bang appena fuori della porta, Arthur Weasley si era materializzato vicino casa, lo seppi perché gli occhi della moglie scattarono all'orologio sulla parete e la lancetta con il nome dell'uomo indicava a casa. Notai anche le altre, nell'attesa che il signor Weasley facesse capolino in cucina: tutti i ragazzi erano a lavoro, tranne uno la cui lancetta poggiava su una scritta che qualcuno aveva provato a grattare via; la lancetta di Fred indicava che era morto.
Distolsi lo sguardo appena il padrone di casa varcò la soglia.
«Buongiorno a tutti! Ho novità» si affrettò a dire dopo aver notato gli sguardi ansiosi dei presenti.
«Possiamo andare a casa del ragazzo! Ma prima… Hermo, hai una macchina lì dove ti abbiamo trovato?»
«Certo!»
«Ottimo, useremo quella per andare a casa tua, non dobbiamo dare nell'occhio.»
«E come andremo fino a Como?» chiesi.
«Esattamente come abbiamo fatto la volta scorsa. Le passaporte che usiamo non sono tracciabili. Possono rivelare che qualcuno le ha usate, sì, ma non chi è in quanti, tanto meno da dove vengono queste persone, noi!»
«È incredibile che gli Italiani non sappiano delle passaporte nel loro territorio» brontolò la McGonagall.
«Sono fatti così loro… ma a noi che ce ne importa. Ora dobbiamo andare là e prendere il gatto!»
«Chi verrà con noi signor Weasley?» chiesi, interessato a sapere più che altro se Piton sarebbe venuto o restato a Shall cottage.
«Ne abbiamo discusso, Arthur. Non sarebbe saggio far venire Severus e io devo tornare a Hogwarts, ma vi lascio Hagrid ancora per qualche giorno nel caso in cui il gatto… se doveste aver bisogno per via del gatto del ragazzo» si espresse la McGonagall,  porgendomi un sorriso stiracchiato subito dopo. Non capivo cosa potesse avere che non andava il mio gatto, ma immaginai che la preoccupazione della strega fosse a causa della materializzazione tramite passaporta e l’età avanzata di Amplias. Aveva senso.
«Hai chiesto a Bill, Arthur?» gli domandò la moglie.
«Oh, certo ha detto…» Il signor Weasley si interruppe perché fuori la porta sentimmo un altro Bang. «Deve essere lui, ha detto sì» concluse ridendo.
Bill entrò, allegro e con un sorriso stampato sul volto sfregiato dai graffi del lupo mannaro Greyback, che ormai solcavano il suo bel viso da tempo. Si volse subito a cercarmi e, quando mi trovò, ancora fermo davanti alla porta di casa, mi salutò con un cenno cordiale della mano, poi si voltò a salutare gli altri.
«Bill, caro. Come sta Fleur?»
«Sta benissimo mamma.» Bill Weasley baciò la madre sulla fronte.
«Allora è bene che lo facciate in fretta.» La voce di Piton ruppe quell’attimo gioviale condito dall'arrivo del figlio di Arthur e Molly. Tutti tacquero e si girarono a guardarlo, mentre lui si alzava, guardandomi con il solito cipiglio.
«Severus ha ragione Arthur, non sapete quanto ci metterete, né cosa rischiate di trovare a Como. Dovete sbrigarvi e tornare, ma prima…» la McGonagall smise di parlare e, alzandosi, guardò Piton che stava facendo altrettanto. «Ragazzo» mi disse gentilmente. «Dobbiamo sapere cosa è successo a Como, quando i Dissennatori ti hanno avvicinato.»
Gli occhi di Piton erano concentrati su di me al punto, che il mago non sbatteva le palpebre. Indietreggiai nonostante nessuno mi stesse minacciando. La McGonagall parve capire, così tese una mano davanti a Severus per tenerlo a bada.
«Puoi dircelo» mi incoraggiò Molly.
Le diedi retta come se fosse stata mia madre a consigliarmi di parlare, mi fidavo di quella donna.
«Ho sentito freddo e sono stato catapultato a casa di mio nonno Hermo, in montagna. È stato assurdo perché ho visto un lampo verde e mio nonno cadere dal dirupo, mentre io lo seguivo. Poi mi sono risvegliato.»
«Va bene. Che significato ha per te tutto questo?» chiese la McGonagall.
«Credo… Credo sia la morte di mio nonno, ma è strano perché io non ricordo di esserci stato e mio padre mi ha detto che è scivolato giù dal dirupo» dissi.
Si guardarono l'un l’altro, senza proferir parola, lasciandomi in un limbo pieno di nuove e altrettanto scomode domande.
«D’accordo, avremo tempo per dare una risposta a tutto ragazzo, è ora di andare.» Il signor Weasley ruppe il silenzio portandosi verso di me, seguito a ruota dal figlio, Bill. «Andiamo da Hagrid a farci dare la passaporta. Molly, torniamo presto» concluse guardando la moglie.
Ci avviammo tutti e tre fuori, poi verso la tenda di Hagrid. Stavo per prendere ancora una passaporta e il mio stomaco, che non aveva dimenticato il fastidio che gli aveva provocato il primo viaggio, brontolò. Hai ragione, immaginai di dirgli, forse avremmo dovuto mangiare di meno. Ma i piatti della signora Weasley erano abbondanti e molto buoni, dire di no sarebbe stato un sacrilegio.
«Hagrid!» urlò il signor Weasley appena fuori della tenda.
Quando l’omone uscì, fece a tutti noi un sorriso caldo.
«Bene, Hagrid, noi dobbiamo andare. Ci scuserai se questa volta non ti portiamo, ma vedi… Non passi certo inosservato» spiegò Arthur.
«Ma si capisce. Nessun problema.» Il mezzo gigante trasse dalla tenda una lanterna e la pose a Bill. «Tornate presto» aggiunse e poi rientrò.
Tra tutti quelli che mi avevano accolto e trattato come uno di casa, Hagrid era quello che lo faceva con più naturalezza, come se fossi già stato lì altre volte e fossi io il pazzo che non se lo ricordava.
Padre e figlio si erano già riuniti attorno alla passaporta, sistemata nella sabbia.
«Ragazzo, vieni» mi chiamò il mago più adulto e io ubbidii.
Appena misi la mano sulla lanterna, tutto intorno cominciò a vorticare, mi concentrai per evitare dare di stomaco e in pochi secondi sentii qualcosa di duro sotto i piedi. L'aria era ferma e fresca. La luce filtrava colorata da alcuni mosaici di vetro e un odore di incenso mi invase le narici. Tossii e questo aiutò anche il mio stomaco ad assestarsi. Che orribile sensazione.
I miei compagni di viaggio si stavano già dirigendo verso la porta laterale del Duomo di Como, lo riconobbi perché mi ci aveva portato Piton solo il giorno prima, sembrava essere accaduto da molto più tempo.
«Andiamo!» mi incoraggiarono.
Mi seguirono fuori, entrambi sorridevano disinvolti anche se, entrambi con i capelli rossi e abiti non proprio alla moda Italiana, non passavano inosservati. Fortunatamente Como ospitava sempre molti turisti, gli inglesi erano tra questi. Li condussi fino al Silo, estrassi il biglietto del parcheggio e pagai sotto gli occhi attenti e curiosi del signor Weasley. Aveva lo sguardo che scattava a ogni movimento delle mie mani e di reazione della macchinetta. Quando questa sputò la ricevuta per poter uscire, il mago portò le mani davanti alla bocca, senza preoccuparsi di chi gli stava intorno. Era più stupito lui per ogni piccolo marchingegno Babbano, che io davanti alla magia e immischiato in tutta quella faccenda. Caricai i due maghi in macchina con gran sollievo, soprattutto quando inserii il biglietto nella colonnina e questa fece alzare la sbarra per farmi uscire. La reazione di Arthur Weasley fu un’esplosione di sorpresa.
Forse capivo perché si erano comportati così tranquillamente con me: ero solo un Babbano, per far sollevare le cose necessitavo di denaro, di donarlo a una macchinetta e poi inserire dei foglietti nelle colonnine. Niente di pericoloso e immediato che potesse nuocere a un gruppo di maghi.

Arrivammo sotto casa in poco tempo, tratto di strada in cui i due mi fecero un sacco di domande. Entrai nel viottolo stretto, diretto alla palazzina in cui vivevo, e parcheggiai.
«Per quanto sarei curioso di vedere la tua casa ragazzo, noi dobbiamo aspettarti qui. Hai una di quelle gabbiette per animali?» Ne avevo una un po’ vecchia, ma non importava. Avrei dovuto preparare il gatto e portarlo in macchina, saremmo tornati a Como, al Duomo, ma lo avremmo fatto con i mezzi quella volta, per lasciare la mia auto sotto casa.
Seguii le indicazioni e dopo aver preso anche dei cambi d’abito, condussi tutti verso la fermata del pullman, cercando di non sballottare troppo il povero Amplias che fortunatamente non fiatava ed era leggero.
«I Babbani lo trovano un mezzo di trasporto comodo?» mi chiese Bill.
«Solo se ci fai brevi tratte» spiegai e nel tragitto, attento a non farmi udire da altri, raccontai loro di altri mezzi di trasporto dei non maghi, più comodi e veloci.

Rientrammo nel Duono indisturbati, appoggiarono la lanterna che era stata lasciata in un angolo della chiesa a terra, così vorticammo ancora e atterrammo sulla sabbia. Mi stavo abituando, ma controllai che Amplias stesse bene: sembrava solo scosso e cercava di guardare fuori della gabbia.
Lo portammo nel cottage. Ad aspettarci trovammo la signora Weasley, Hagrid vagamente incastrato contro il lampadario e Severus Piton, accigliato.
«Tutto bene Arthur?» chiese la donna, ma lo sguardo del signor Weasley era diventato serio come non lo avevo visto in quei giorni, anche Bill era solenne e Haglid taceva.
«È questo il tuo gatto ragazzo?» mi chiese, amorevole, la strega.
«Sì, signora!»
«Bene! Allora apriamogli la gabbia.» Sorrise e io lo feci. Aprii la gabbietta, ma Amplias non voleva uscire, così lo trassi di forza e gli feci una carezza.
«Vieni micio pigrone, non avere paura.» Ma gli occhi del gatto scattavano su ognuno dei presenti che ci avevano accerchiati. Appena mi voltai, vidi Hagrid sfilare il suo ombrellino dalla giacca, i Weasley a bacchetta tesa, dritta verso Amplias. Piton mi urlò di spostarmi e mi strattonò dalla spalla. Avevano tutti uno sguardo minaccioso. L'ansia mi attanagliò le viscere, mi mancò il fiato. Cosa avevo fatto? Cosa era cambiato in quelle persone amorevoli, eccezion fatta per Piton, da comportarsi in quel modo?
Trattenni il fiato. Puntavano tutti le bacchette verso il mio gatto e io fui in preda al panico.

Il ritorno di Severus PitonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora