2- Shall Cottage

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Mi svegliai in un letto morbido, con il rumore delicato delle onde del mare che si infrangevano sulla spiaggia, fuori dalla finestra. Per un attimo mi concentrai solo su quel suono rilassante, godendomi la pace di quel posto che avevo immaginato tante volte.
Shall Cottage era proprio come me l'ero figurato. Isolata dal resto del mondo, era una casetta di pietra con un tetto pittoresco e piccole finestre triangolari. All'interno l'arredamento era classico con alcuni particolari alla Weasley.
Il giorno prima mi ero materializzato sulla sabbia grazie a quella che riconobbi come una passaporta, ero certo che lo fosse perché tutti vi si erano stretti attorno ponendovi una mano sopra. Il gruppo di maghi che mi aveva tratto in salvo dai Dissennatori e dagli Inferi del lago di Como mi aveva accompagnato in casa. Tutti, tranne Severus Piton. Lui aveva preceduto me e gli altri marciando a grandi falcate, mantenendo lo sguardo duro fino in sala da pranzo dove si era seduto lontano dall'ingresso e aveva preso a sfogliare un giornale dalle foto animate. La prima cosa che avevo visto entrando era stata la signora Weasley seduta su una poltrona che, quando mi aveva visto, aveva abbandonato il lavoro a maglia, che però aveva continuano a sferruzzare autonomamente.
«Arthur, questo chi è?» aveva chiesto preoccupata al marito.
«Lui è Hermo, Molly» gli aveva risposto l'uomo abbracciandola.
La donna doveva aver capito dal tono del marito che avevo bisogno di aiuto, così mi aveva fatto accomodare sulla sua poltrona, scostando con la mano il lavoro a maglia che insisteva nel rimanere sospeso e che si muoveva sopra la mia testa.
«Minerva, cosa è successo?» aveva domandato Molly Weasley gettando uno sguardo verso Piton e un altro verso la McGonagall. Gli altri sembravano solo spaesati e si erano dileguati in giro per la casa. Hagrid non era nemmeno entrato. Scoprii poi che aveva piantato una tenda dietro il cottage dove poteva entrare comodamente senza distruggere nulla.
«Abbiamo trovato il ragazzo a Como, in Italia, Molly. Pensavamo fosse un Babbano ma...» Si era interrotta.
«Il ragazzo dovrebbe cenare e poi andare a dormire.» Una voce aveva risuonato lenta e le parole erano arrivate al mio orecchio scandite, mentre l'uomo che le aveva pronunciate mi dava le spalle e nascondeva il volto tra le pagine della Gazzetta del profeta.
«È vero» aveva concluso la McGonagall. «Devi rimetterti in forze» aveva deciso, rivolgendomi uno sguardo dolce e un sorriso che disegnava rughe ondeggianti sul suo viso.
Avevo ubbidito, almeno per quella sera. In fondo mi avevano salvato da un'apocalisse di Inferi e Dissennatori ed ero stanco abbastanza da essere accompagnato come un bambino in una stanza del piano superiore, per poi abbandonarmi sul letto soffice e addormentarmi sapendo di essere lontano da casa, ma pur sempre al sicuro. Conoscevo quelle persone come se avessi vissuto con loro gli ultimi anni della mai esistenza. Prima di assopirmi avevo ripensato a come era stata noiosa la mia vita fino a quel giorno: lavoravo in una fabbrica non lontano da casa; vivevo da solo, anche se in compagnia del mio gatto, Amplias, nome che gli aveva dato mio padre prima di me perché il gatto era suo e che in effetti doveva essere molto vecchio, avevo pensato che sarei dovuto tornare prima che lui terminasse le sue crocchette; non avevo molti amici, ma amavo romanzi e racconti per cui leggevo molto. Ripensando a quella giornata, mi ero addormentato sperando di non risvegliarmi nel mio letto. Negli ultimi anni erano i personaggi dei libri i miei amici, erano interessanti e vivevo le avventure tramite loro, eppure ne stavo vivendo una anche io finalmente.

Non male per una passeggiata sul lago di Como, pensai quella mattina, mentre mi rigiravo nel letto e tendevo l'orecchio per captare qualche suono al piano inferiore. Non era stato un sogno, mi venne però il dubbio che mi avessero abbandonato lì, così mi alzai di scatto e andai alla vecchia porta di legno, girai la maniglia e tirai. Nessuno scricchiolio avvisò i padroni di casa che stavo per scendere al piano inferiore, così mi soffermai sul pianerottolo per udire la conversazione. Piton teneva banco.
«È lui vi dico. Minerva ve lo confermerà!»
«Non lo so, Severus. Tu dici che...?»
«E chi altrimenti?» brontolò lui. «Lo hai visto con i tuoi occhi, può vedere i Dissennatori e a prer mio era attirato dal male. E poi il suo nome...»
Immaginai si stessero guardando l'un l'altro, perché ci fu qualche secondo di silenzio.
«Chi chiamerebbe suo figlio Hermo al giorno d'oggi?» chiese l'uomo, non sapevo a chi si fosse rivolto ma pensai alla McGonagall, perché sembrava l'unica, insieme a Piton, ad aver reagito nell'udire il mio nome, anche se non ne comprendevo il motivo.
«Hermo non è un nome comune, non in Inghilterra almeno» proruppe timidamente Molly Weasley.
«Non lo è nemmeno in Italia, Molly» intervenne il marito.
«Lo ha ammesso, è di origini greche!» Piton era tornato alla carica.
«Oggi vado al ministero e controllo, magari l'albero genealogico non è lo stesso. Chissà quanti Hermo ci sono in Grecia...» Il signor Weasley non sembrava molto convinto.
«Fai le tue ricerche Arthur» disse Piton senza sforzarsi di apparire gentile. «Non è un Babbano e tanto mi basta.»
Non capivo cosa intendesse dire.
Sentii il rumore di una sedia spostata, poi udii sbattere una porta e in casa sembrava che qualcuno avesse preso ad armeggiare con le stoviglie. Decisi che Piton doveva essere uscito e così scesi le scale. Mi affacciai al piano terra timidamente e una donna in carne mi accolse con un enorme sorriso.
«Eccoti caro, ben svegliato!»
La donna attirò l'attenzione di tutti.
«Tutto bene figliolo?» mi chiese il signor Weasley premuroso.
«Meglio, grazie!» risposi, ed era vero, solo che volevo delle risposte che solo Severus Piton poteva darmi e lui, lo sentivo, non sembrava vedermi di buon occhio.
Pensai che era meglio fare colazione e poi cercare informazioni dalla McGonagall o, perché no, da Hagrid. Se c'era una cosa che mi avevano insegnato i libri, era che se Hagrid sapeva qualcosa era assai facile farlo parlare.
Sedetti al tavolo e la padrona di casa mi portò la colazione, ma presi solo del caffè lungo, consapevole che dopo un altro giorno di quel caffè avrei avuto un gran mal di stomaco.
«Grazie» mi rivolsi alla signora Weasley. «Esco a prendere un po' d'aria» la avvisai e lei mi rivolse un ampio sorriso, poi tornò ad accanirsi sui fornelli.
La brezza del mattino era di gran lunga più piacevole di quella che avevo sentito la sera prima, quando ero atterrato su quella stessa spiaggia. Girai attorno alla casa cercando la tenda di Hagrid, non conoscevo l'omone che dal giorno prima, ma i racconti lo descrivevano come un bonaccione, valeva la pena di scambiare con lui qualche parola.
«Signor Hagrid» lo chiamai.
«Chi è?» Mentre la vociona dell'uomo rimbombava nella tenda, io cercavo Piton intorno da qualche parte. Non lo vidi.
«Sono Hermes.»
«Chi?» chiese Hagrid e cacciò il testone fuori dalla tenda.
«Hermo, scusa. Sono Hermo.»
«Ragazzo, buongiorno. Vieni pure!» Entrai.
L'aria all'interno odorava di chiuso, ma la tenda era grande e accogliente. Al centro era stata posizionata una stufa e su un lato erano state appese, come panni stesi, alcune carcasse di ermellino.
«Sono per Fierobecco quelle» disse, probabilmente perché vide che le stavo guardando.
«Tu sai perché sono stato portato qui, Hagrid?» mi rivolsi a lui gentilmente ma senza troppi preamboli. Mi sembrava di conoscerlo da una vita e lui si comportò come se per lui fosse lo stesso, vero era che il mezzo gigante era una persona buona e che forse non mi avrebbe comunque risposto in modo brusco.
«Non ne ho idea io!»
«Davvero Hagrid? Io devo sapere capisci? Sono andato sul lago per una passeggiata e mi sono ritrovato in mezzo a una sorta di guerra magica, poi sono stato portato qui. Non fraintendermi, sono stato trattato benissimo, ma ho una casa e...» ma Hagrid agitava le mani per fermarmi, così mi zittii.
«Frena, frena ragazzo. Stai parlando con la persona sbagliata, io non so niente di niente. È stata una sorpresa anche per me trovarti lì, lo è stato per tutti, ma credo che tu debba parlare con Severus.»
«Non credo di andargli a genio.»
L'omone rise. «Trovamelo quello che va a genio a Piton!» Rise ancora e io lo imitai, anche se non ero felice di sapere che avrei dovuto parlare proprio con Severus Piton e sperare che mi dicesse qualcosa.
«Scusa Hagrid, davvero. Ho un gatto a casa e sono preoccupato per lui» cambiai discorso.
«Oh poverino, è rimasto tutto solo? Quanti anni c’ha?»
«Fammi pensare… parecchi direi, una trentina ed è ancora in gran forma.»
«La barba di Merlino ragazzo, giuro che non ho mai sentito di un gatto così vecchio e in forma, alla sua età per giunta.»
Hagrid rise grattandosi la testa, poi mi offrì del caffè che rifiutai, preferii congedarmi e tentare la sorte con la McGonagall.
Quando uscii dalla tenda notai un particolare al quale non avevo dato peso, come se lo avessi dato per scontato: la tenda nella quale ero entrato, e dalla quale ero uscito, sembrava poco più grande di una tenda Canadese, di quelle da campeggio pratiche da montare, ma all'interno era una casa a tutti gli effetti in grado di ospitare un uomo di tre metri. Sorrisi compiaciuto. Mi era sembrato ovvio, quasi normale, invece era magia ed era straordinaria.
Prima di rientrare persi un po’ di tempo sulla spiaggia, seduto ad osservare le onde infrangersi sulla sabbia umida e a pensare alla frase di Piton: «Non è un Babbano e tanto mi basta.» aveva detto.
Mi chiesi cosa volesse dire perché ero sicuro che parlasse di me.
Feci per alzarmi quando mi accorsi di non essere solo, assorto dalle mie riflessioni non avevo visto che un gatto soriano si era seduto proprio accanto a me e guardava a sua volta le onde del mare, ne pareva affascinato. Non fiatai, pur pensando che fosse una situazione bizzarra, ne avevo viste talmente tante in così poche ore che tutto, da allora in poi, sarebbe stato normale come una piccola tenda che ospita un uomo gigante.

Il ritorno di Severus PitonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora