33.Il Momento Più Bello

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La vita è fatta di momenti.

Pare che ad ognuno di noi sia destinato un momento perfetto, e che basti trovarlo.

Quando Umberto inizia ad avanzare verso di me, io continuo a restare immobile. Le gambe che tremano, la mente impegnata a formulare un pensiero concreto e che abbia una logica.

Gli ho chiesto di vederci, perché avevo bisogno di parlargli, l'ho aspettato per tutto questo tempo... Eppure adesso che me lo ritrovo di fronte, non so esattamente come improntare il mio discorso.

Quando lui si ferma a un paio di passi da me, noto una scintilla che ha negli occhi che non gli ho visto mai.
Ha una postura rigida, tiene le mani in tasca ostentando una certa tranquillità, ma è palesemente nervoso tanto quanto lo sono io.

Lo percepisco dalla pesantezza del suo respiro, dal suo sbuffare fingendosi annoiato.

«Sei qui.» Esordisco con la cosa più stupida che possa venirmi in mente. È solo che neppure mi sembra vero che sia qui per darmi - l'ennesima - possibilità di parlargli. Ci avevo perso le speranze. Ho anche ipotizzato che mi avrebbe ignorata una volta sotto casa sua.

«Dove dovrei essere, Beatrice?» risponde lui. Penso che questo scambio di battute lo abbiamo avuto anche a Praga, quando io l'ho trovato a fumare fuori all'hotel. Solo che a differenza di allora, il suo tono di voce è più alterato. «Mi volevi parlare, no?» chiede ancora, retoricamente e bruscamente.

Perché lui non sa. E a me viene da sorridere al pensiero di come possa reagire nel realizzare che questa volta è tutto diverso. Che io, lo sono.

Quando non riesco a trattenere un sorriso, lui mi guarda male; sicuramente non è un vena di leggerezza. Poi sposta lo sguardo, fissa un punto casuale dietro la mia testa.

Forse temporeggiare per trovare le parole giuste da dire, non è una buona idea. Forse basta semplicemente che io gli parli esprimendogli tutto quello che ho dentro.

Mi porto una ciocca di capelli dietro l'orecchio, pronta ad aprire bocca, quando lui mi precede e tronca le mie parole sul nascere.

«Beatrice.» dice semplicemente, e punta i suoi occhi nei miei.
Per un momento la durezza nel suo sguardo, non mi pare più essere semplice nervosismo; quindi trattengo il respiro, impaurita. Smetto perfino di sorridere. È qui, per darmi una possibilità e non per lacerarmi, giusto?
«Se stai per elencarmi tutte le pippe mentali che ti sei fatta, tutti i pensieri che ti hanno tormentato o qualsiasi altra cosa di cui adesso non mi frega un cazzo, puoi evitare tranquillamente.» Mi dice, continuando a utilizzare un tono così deciso e perentorio. «Non è per sentire questo, che sono qui.»

«E allora perché sei qui?» chiedo, avvertendo la mia determinazione vacillare per un attimo. Non voglio crollare di nuovo davanti a lui, non ora. Questo è il momento peggiore per lasciarsi sopraffare dalle emozioni.

«Perché voglio che tu mi dica l'unica cosa che conta.» Diretto e conciso «Delle tue immotivate insicurezze mi parlerai più tardi; tanto sono mesi che non fai altro che finire nel panico per un niente.» Aggiunge, ora molto più morbido nel tono di voce; ha perfino rilassato le spalle. «C'è solo una cosa che mi devi dire, io voglio sentire solo quella. Il resto verrà poi.»

Ho capito dove vuole arrivare, e tra le varie cose non ha neppure tutti i torti. Se mi perdessi nei miei ragionamenti contorti, probabilmente perderei solo del tempo. Ma quello che lui ovviamente non sa, è che non è mai stato nelle mie intenzioni, perdermi in discorsi inutili. Non oggi, almeno.

Faccio un passo verso di lui, avvicinandomi pericolosamente al suo corpo. Poi mi metto a fissare le sue spalle, desiderando di stringerle tra le dita.

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