capitolo undicesimo

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La luce del primo sole premeva sulle sue palpebre, facendogli sbattere per la prima volta dopo quasi un giorno intero di sonno.

Erano anni che non dormiva per così tanto tempo, era quasi emozionato, nello svegliarsi. Alzò il busto, portando i capelli ramati dietro le orecchie infreddolite e stanche da tutto ciò che aveva sentito. Nel sentire le ossa schioccare come dei legnetti rotti dalla suola di una scarpa, il suo sangue si ghiacciò nelle vene. Prese la sua tracolla con un movimento rapido, facendola penzolare dalla spalla. Era una sensazione nuova. Tutto era nuovo.

-Margot! Margot, esci fuori!- gridò poi, ricordandosi come era arrivato lì, in quel punto della foresta. E soprattutto, con chi. I suoi occhi si spalancarono, mentre incerto faceva i primi passi sul pavimento di foglie. Era scalzo, sentiva ogni cosa sulla sua pelle. -Non...non è divertente-.

Improvvisamente, da un cespuglio, emerse una bambina: era magra, scheletrica quasi, e il nido di capelli scuri le copriva per buona parte il volto coperto di terra. Vestita di stracci, poteva avere sia venti che otto anni, a giudicare dal suo sguardo. -Sono qui- squittì con poca convinzione, avanzando a tentoni verso l'altro. 

Il rosso le corse incontro, stringendola poi al petto. Era come se avesse appena ritrovato una cosa che temeva di aver perso. Sentiva il calore della bambina pervadergli il collo, le dita che correvano nei suoi capelli stopposi, come per provare che fosse davvero lei. -Dio sia lodato...eccoti qui- le strinse le spalle con le dita nodose, osservandola brevemente. L'aveva trascinata con lui, erano forse giorni che non mangiava. -Come stai? Ti sei fatta male da qualche parte?-

Margot scosse la testa, per poi stringere con le piccole e tozze dita la pelle della guancia del ragazzo. -Dov'è la mamma? Ti ha detto dove andava?- la voce tremolava, mentre gli occhi vagavano per la foresta alla ricerca di qualcosa di famigliare. Non era mai andata così lontana da casa sua, la mamma l'aveva sempre proibito.

Nel sentire quelle parole, il sangue di Crowley si gelò nelle sue stesse vene, al solo ricordo dei giorni passati. Sua madre, sua madre, sua madre. Dov'era, quella donna? Perché non era con loro? Ricordi confusi nella sua mente si accalcavano come ubriachi in una rissa da taverna: uomini che entravano in casa, nella loro casa, e subito trascinavano via quella donna. Lui che prendeva la ragazzina in braccio, sentendo il peso di quel medaglione sul collo e della bisaccia sulla spalla. Un'energia non sua nelle vene. Loro due che correvano, i cori e i canti nella piazza principale che riuscivano a vedere solo attraverso il filtro delle fronde.

Erano poche parole, una sola frase: "bruciate la strega".

La strega. Quella donna. La loro madre.

La gola si fece secca in un secondo, al solo pensiero di dover dire la verità alla bambina davanti a lui. Sua madre era morta, era morta, era morta. Non li avrebbe aspettati da nessuna parte, dovevano fuggire. Era questo il loro destino: quello di fuggiaschi.

Ma lui aveva ricevuto ordini precisi, e li avrebbe rispettati anche a costo della vita.

-È andata via- decise di ammettere, un sorriso amaro ad abbellirgli il viso. -Ma staremo bene. vedrai-.

Mentre l'espressione della bambina diventava sempre più confusa, dei passi lenti si sentirono in lontananza, a scrocchiare nelle fronde. Crowley si alzò, sapeva che qualcuno li stava cercando, e l'obiettivo era quello di non farsi prendere. Prese la bambina in braccio, sentendone di nuovo il peso, e la trascinò nuovamente nel fitto della foresta.


Si era svegliato sul letto di Aziraphale, sotto lo sguardo di Aziraphale, e con la mano di Aziraphale sulla fronte. Il mal di testa lo stava facendo impazzire, facendogli desiderare di nuovo di tornare a dormire.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Mar 08 ⏰

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