capitolo sesto

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Aveva sentito una mano strapparlo dall'oscurità, trascinandolo sulla terra umida. Aveva sentito qualcosa premergli sopra il petto, l'acqua che usciva dalla sua bocca acida e bruciante nella sua gola, fino a fargli vomitare ogni cosa che aveva divorato negli ultimi giorni. Aveva sentito due braccia prenderlo, gli occhi chiusi a forza per non andare incontro alla realtà. Una parte di lui stava immaginando chi fosse la mente dietro a tutta quella premura così inaspettata, ma un'altra parte si rifiutava di credere alle idee della sua gemella.

Era impossibile. Era inconcepibile. La sua mente non riusciva a comprendere, quindi ritornò quieta.

Dopo ore che gli parvero una morte, iniziò a riprendere controllo sul suo corpo. Per prima cosa, mosse i piedi. Li sentiva ghiacciati su una superficie che gli parve legno, facendo fatica anche solo a muovere un dito dopo l'altro. Era come muovere le membra nella neve. Poi le braccia, iniziò a muovere le dita delle mani con la stessa fatica con la quale aveva mosso quelle dei piedi, e in quel momento constatò di essere su un pavimento legnoso. Per ultimi, aprì gli occhi. 

Una lama era a pochi centimetri da essi, brillante alla luce di quelle che sembravano candele. Trasalì, una smorfia a coronare il suo volto. Ci voleva solo questa. Probabilmente stava sognando. Probabilmente era morto ed era arrivato nell'altro mondo. Si era sempre aspettato un'accoglienza più cordiale, questo era da dire.

-Non ti muovere- una voce ruppe il silenzio che lo aveva accompagnato fino a quel momento. Era giovane, grave nel suo essere tesa. Proveniva da poco sopra la sua testa. Era lui a reggere la lama. 

Aziraphale decise di rimanere in silenzio, quando un'ondata di ansia gli pervase il corpo. Era stato rapito? Era stato rapito e lo stavano per uccidere? Chi avrebbe pagato il riscatto? Cosa voleva da lui? Era solo? C'era qualcuno oltre a lui nella stanza? Cosa stava per fargli? Era pronto a morire, sia chiaro, però non così. Non così, andiamo. A chi sarebbero andati tutti i suoi libri? Tutte le sue cose? Voleva prima mettere in chiaro un po' di cose. Non era pronto a morire così. -Io- iniziò a mormorare, la voce che si rifiutava quasi di uscire dalla gola.

-Tu cosa?- oltre il coltello, improvvisamente, apparve la figura che lo stava reggendo: un palco di corna coronava una massa di capelli rossi, ordinati in treccine che gli ricadevano sul volto cencioso, sopra il quale si potevano notare figure circolari dipinte con una sostanza scura. Gli occhi ambrati sembravano brillare di luce propria, una scintilla di aggressività che li rendeva non molto dissimili da fiamme. Le labbra sottili erano piegate in un ringhio che definire aggressivo era ben poco, mentre le dita tremanti erano attorcigliate al legno del manico. Come ultimo dettaglio, Aziraphale notò una grande pietra nera penzolare dal suo collo, attaccata ad un semplice cordino. -Ti taglierò la gola- sbottò ancora, scoprendo i denti che parevano essere stati limati da qualcosa -così starai zitto-.

-Sei...sei stupendo- erano state le uniche due parole che erano riuscite ad uscire dalla sua bocca. Erano vere: non aveva mai visto nessuno di così bello. Splendente e pericoloso come un esercito schierato a battaglia.

Ma probabilmente stava solo iniziando a delirare.

Vide le sopracciglia rosse incrinarsi verso il naso dritto, una luce di sdegno ad accendere le pupille così particolari. -Taci- il suo tono parve rompersi come del vetro durante una tempesta, quando allontanò il coltello così come la sua figura.

Aziraphale poté tirare un sospiro di sollievo nell'alzare il busto, trovandosi davanti il luogo in cui si era ritrovato: era una casupola piccola, le pareti di legno erano a tratti ammuffite e ricoperte di scaffali che a loro volta erano pieni zeppi di bocce, boccette e boccettine piene di intrugli e liquidi di provenienza ignota. In un angolo, vicino alla minuscola porta rosata, si trovava un caminetto, dove le fiamme zampillavano divorando il legno che era stato loro donato. Sembrava la versione mignon della casa di Anatema, ma l'unica differenza stava nel letto posto al limite dell'ultima parete, dove era posizionata una culla di legno vuota. Si guardò davanti, il proprietario lo stava fissando. Riuscì a vederlo nell'interezza, nonostante fossero entrambi seduti: aveva all'incirca la sua età, nonostante la pittura lo facesse sembrare più giovane. Indossava una blusa grigiastra che gli lasciava scoperte parti del petto scheletrico, dove si poteva notare una grande ragnatela nera che impregnava la pelle. Gli stava ancora puntando il coltello con aria spaventata, nonostante il palco gli desse un'aria di regalità.

In The Woods Somewhere|Good OmensDove le storie prendono vita. Scoprilo ora