capitolo nono

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Aveva passato tutta la notte a vegliare sul suo ospite, osservando i movimenti del suo petto come fossero dei segnali divini. Sembrava ipnotizzato, nel guardarlo. Poteva bearsi della sua carnagione così pallida, come i raggi della luna che entrava dalla finestra, che lasciava scoperte le vene bluastre come le sue labbra, che così andavano a contrastare i capelli di fiamma, che pigri scivolavano sul tessuto. Era quello che lo colpiva di più: la loro lunghezza, quel senso di antichità che emanava da ogni singola particella di quel corpo così vivo e morto allo stesso tempo. Una dualità che a lui sembrava impossibile costringere in una sola persona.

Era orribile. Era stupendo.

Con le prime luci dell'alba si iniziarono a sentire i primi mugolii leggeri, che lentamente si trasformarono in sbadigli. Uno battito di palpebre, due. un lamento annoiato. Crowley si stava svegliando. -Dove sono?- borbottò assonnato. Anche appena sveglio sembrava un bambino, qualcosa di assolutamente non offensivo che ispirava nient'altro che protezione. Aziraphale svariate volte nella notte aveva sentito il folle bisogno di avvicinarsi, sdraiarsi vicino a lui. Si era poi proibito di fare una cosa simile per non cedere al sonno.

E gli effetti si vedevano bene.

La prima cosa che Crowley vide al suo risveglio fu un'espressione stanca, le iridi azzurre come il cielo circondate da profonde occhiaie violacee. Il biondo era sempre stato il migliore a fare le notti in bianco, ne faceva più di quanto avrebbe dovuto. Un po' per lo studio, un po' per altri motivi. Come la lettura.

Era un esperto in materia, e ora che una nottata senza sonno poteva rivelarsi nobile aveva un motivo in più per non chiudere occhio.

-Sei a casa mia- si stropicciò le palpebre, cercando di avere un aspetto sano coronando il tutto con un sorriso pigro. -Cioè- la sua parlata rapida prese subito il posto di quella lenta e calma che stava usando -non è mia, l'ho presa in prestito, ma ti ho portato qua io. Questa notte-.

Crowley aprì la bocca confuso, guardandosi attorno. -Non...- pareva cercare le giuste parole per descrivere quello che stava effettivamente provando, un'inspiegabile matassa che non riusciva a districare nella sua mente.

Il biondo non voleva che si sforzasse, aveva una ancora una ferita da trappola medicata in fretta e furia alla gamba.

La ferita. Doveva controllare la ferita.

Improvvisamente un senso di angoscia riempì il corpo provato di Aziraphale. Già si immaginava la ferita nera, intrisa di parassiti e di infezioni. Non era pronto ad amputare una gamba. Non ne aveva i mezzi.

Si inginocchiò nuovamente ai piedi del giovane, spostandosi dalla sedia che aveva usato come rifugio notturno, per poi aprire i lembi scuri dell'asciugamano intriso di sangue secco. Già si prospettava l'orrore, ma inspiegabilmente la gamba era pulita.

Non un filo di sangue. Non un segno di ferita. La pelle era liscia come quella di un neonato.

-Avrei dovuto dirtelo- sul volto di Anthony si era aperto un sorriso malizioso, mentre abbassava lo sguardo nel punto dov'era il biondo. -Le ferite non sono roba per me-.

Aziraphale non capiva. Era impossibile. Era una ferita aperta. Era una ferita enorme. Come aveva fatto a guarire così in fretta? Di nuovo, il dubbio di aver sognato ogni cosa si prese il possesso della sua mente. Stava odiando quel ragazzo in quel momento. Lo stava detestando con tutta la sua anima. Lui si era preoccupato. Lui aveva fatto casino. Per scoprire che aveva anche quell'abilità? Davvero? Per quanto tempo ancora avrebbe dovuto essere sempre in bilico tra sogno e realtà? Per quanto tempo ancora?

-Avresti dovuto dirmelo prima, così ti avrei direttamente lasciato là- sbottò in risposta, sfiorandone la pelle ancora incredulo.

Una risata debole si udì, che precedeva uno sbadiglio. -Sei simpatico-.

In The Woods Somewhere|Good OmensDove le storie prendono vita. Scoprilo ora