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Seppe all'istante di essere andato troppo oltre. Xue Yang non aveva rispetto per niente e per nessuno, eppure l'espressione che Xingchen gli rivolse mosse qualcosa nel fondo della sua anima. Nemmeno quando era stato tanto crudele all'inizio lo aveva visto con un'espressione così ferita sul viso. Aveva fatto tante cose orribili nella sua vita, ma mai si era sentito così distrutto come dopo aver realizzato ciò che aveva fatto. Tuttavia... Una parte della sua anima, una grossa parte, a quella espressione provò un senso di soddisfazione. Lo aveva ferito, umiliato, distrutto come meritava in bugiardo come lui. Lo aveva pugnalato così come aveva fatto Xingchen, non credendo al suo voler essere migliore per lui.
Sì, soffri, soffri come soffro io. Bugiardo. Bastardo. Mi hai ingannato. Devi pagare. Soffrire.
Nella sua rabbia folle riuscì a godere del dolore dell'unica persona che avesse mai amato. Quanto marcio poteva essere? Sapeva in fondo al cuore che era una persona malata, un pazzo, un essere vuoto e marcio che sapeva solo colmarsi del dolore altrui, come un lurido parassita, ma il problema è che lui quel parassita che era aveva imparato ad amarlo. E l'amore era un sentimento disgustoso. Accecava, portava a lasciar correre cose imperdonabili, accettare compromessi, difetti, errori. Era questo che era successo con Xingchen, aveva abbassato la guardia. Gli aveva permesso di oltrepassare le sue difese, di sapere qualcosa di lui, gli aveva aperto la sua anima arida e cosa aveva ottenuto? Lo stesso risultato di sempre, con la differenza che non riusciva ad essere indifferente a questo. Soffriva per Xingchen. Si sentiva in colpa per Xingchen. Voleva ferirlo come si sentiva ferito lui. Da quando era di nuovo capace di essere ferito? Da quando qualcuno contava ancora qualcosa per lui? Quanto in basso era caduto? Lo vide andare verso la porta e spalancarla e non poté fare a meno di ridere a quella scena vista centinaia di altre volte. Stavolta però aveva dato qualcosa di sé stesso, ma aveva ottenuto lo stesso risultato. Con un ghigno stampato in faccia, non si fece ripetere la cosa due volte.
«Sei stato tu a portarmi qui. Sei stato tu a volermi a tutti i vosti. Sei stato tu a chiedermi di restare. Sei stato tu a concederti a me.» gli disse mentre andava verso la porta, togliendo altro sangue dal labbro che continuava a sgorgare dalla profonda ferita.
«Stai cacciando la stessa persona a cui ieri sera hai chiesto di appoggiare la testa sulla sua spalla, lo stesso che ti sei scopato ieri notte. Solo che ora non ti va più bene.»
In un attimo, a quelle parole, la sua mente gli riportò i ricordi della prima volta che avevano fatto l'amore, della voce dolce di Xingchen che lo chiamava A-Yang tra i gemiti, di quando gli aveva detto che lo amava e di tutte le volte che glielo aveva ripetuto, di quando gli chiedeva se poteva accarezzargli i capelli o gli dava fastidio, di tutte quelle volte che gli aveva cucinato i suoi dolci preferiti o insaponato la schiena, baciato le labbra, accarezzato la schiena. La paura di perdita che lo aveva attanagliato prima di sapere tutto si rifece viva, più prepotente, più intensa, portandolo a fermarsi sulla soglia e voltarsi di scatto. Avrebbe voluto chiedergli scusa, pregarlo di perdonarlo, ma era troppo vuoto e non aveva voce per quelle parole. Dentro di lui il suo lato umano urlava di non abbandonare quel ragazzo che tanto amava e anche in quel momento era ai suoi occhi la cosa più bella che quel mondo avesse partorito, forse l'unica, di fermarsi e supplicarlo, dirgli che aveva sbagliato, che era lieto che esistesse, che lo aveva fatto sentire finalmente voluto al mondo. Aveva curato la sua solitudine.
«Io accetto la tua esistenza.»
L'orgoglio prevalse. Avrebbe voluto chiedergli scusa, dire che non pensava affatto che non voleva fosse esistito, ma l'orgoglio prevalse. La vendetta verso chi secondo lui lo aveva tradito. Voleva che soffrisse come si sentiva ferito lui. Non disse altro, fece dietrofront e uscì dalla porta, senza prendere niente. Non aveva vestiti, non aveva soldi, non aveva niente.
Vagò tutta la notte e il giorno successivo. Non aveva in posto dove andare, Xiao Xingchen era letteralmente l'unica persona che lo voleva. Non aveva più amanti da cui rifugiarsi e nemmeno voleva farlo, così cominciò a crearsene altri. Nei giorni, settimane, mesi che passavano la rabbia divenne presto amarezza, poi tristezza e infine rimorso. Ma se anche fosse tornato, non c'era più posto per lui nella vita di Xingchen. Aveva rovinato tutto. Non riuscì più a stare con nessun altro uomo, ogni tentativo lo frustrava e innervosiva, rendendolo violento, insoddisfatto, niente era come stare con Xingchen. Una voragine si era aperta nella sua vita, un buco nero di amarezza e dolore che non lo lasciava mai. Perché provava ancora quei sentimenti? Perché era ancora capace di stare così male? Perché era ancora umano? Perché doveva soffrire a quel modo? Pensò di cercare Song Lan e sfogarsi su di lui, ma presto scoprì che si era trasferito da Xingchen e non lo lasciava mai. Trovarlo da solo era impossibile. Non gli rimase altro che lasciarsi lentamente vivere passando da un posto all'altro come un parassita, sfogando il dolore con la violenza, come aveva sempre fatto. Era tornato esattamente la persona che era sempre stata. Xingchen in fondo aveva ragione. Non c'era redenzione per Xue Yang.

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