Vagabondo

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Io un giorno crescerò,
E nel cielo della vita volerò,
Ma un bimbo che ne sa,
Sempre azzurra non può essere l'età,
Poi una notte di settembre mi svegliai
Il vento sulla pelle,
Sul mio corpo il chiarore delle stelle
Chissà dov'era casa mia
E quel bambino che giocava in un cortile

10/07/1966

La mamma stava cucinando il risotto per la cena. Il profumino era squisito, mentre Emilio era fuori a giocare con il pallone assieme a suo padre.
C'era una brezza fresca che spazzava il prato rinsecchito dalla calura estiva, tipica della fine di agosto e dei primi giorni di settembre.
La polvere giallastra proveniente dalla strada bianca oltre la staccionata di legno dipinto di verde li copriva, rendendoli quasi impresentabili, ma la mamma era abituata da tempo ormai.
Emilio non ci faceva tanto caso e ogni volta, quando si sedeva a tavola, la mamma gli diceva di andare subito a lavarsi le mani.
Ecco come passava i pomeriggi caldi.
Ma la notte non sognava di giocare a calcio, no.
Lui sognava in grande, non si limitava ai sogni di suo padre, di suo cugino o dei suoi compagni di scuola.
Sognava il mondo, non la coppa del mondo, di percorre il globo, e non rincorrerne uno, di sentire il vento fischiare e non un arbitro.
Quando, durante la ricreazione, prendeva il portapranzo di latta dalla cartella, si fermava sempre a guardare l'immagine disegnata con lo smalto brillante sul coperchio.
Osservando quella macchinina blu che correva sul globo terrestre, immaginava Cuba, la Francia, l'Inghilterra, il Senegal, l'India, gli Stati Uniti, la Russia, Lussemburgo, la Colombia, il Bangladesh, l'Arabia.
In macchina, con una camicia, gli occhiali da sole e i sandali, con gli ultimi grandi successi musicali alla radio.
Sentiva già il vento venire dal finestrino, il sole riflesso sul parabrezza, con l'odore pungente e dolce di aperta campagna in poena estate, il sole sul braccio, sporgente poco fuori dal finestrino, il tanto che basta ad appoggiare il gomito senza perdere la presa sul volante.
Un sogno che oltre che di giorno, lo seguiva anche di notte.
Fuochi sulla spiaggia, falò e mashmallow, canzoni accompagnate dalle note di una chitarra e i bagni notturni, per non parlare delle nottate passate a guardare le stelle.
Anche se le nottate passate a guardare le stelle non le doveva sognare più di tanto.
A settembre, la notte del suo compleanno, i suoi genitori gli permettevano di prendere il telescopio del nonno e stare sveglio fino a tardi per usarlo.
Era uno dei più bei regali che gli potevano fare.
Viveva di pane e sogni, con succo di frutta e immaginazione.
Era felice, poi qualcosa cambiò.

Io vagabondo che son io,
Vagabondo che non sono altro,
Soldi in tasca non ne ho ma la su mi è
Rimasto Dio.

15/02/1974

Aveva diventato maggiorenne da poco.
Aveva appena preso la patente, il diploma e le chiavi di casa.
Suo padre gli aveva dato delle chiavi, ma non capiva di cosa. Gli diceva che erano il suo regalo, ma non gli aveva detto che cosa aprivano.
Si lambiccava il cervello, cercava indizi, chiedeva a sua madre, a volte anche asuo padre, fino a quando il postino non gli consegnò una curiosa busta bianca.
La aprì e per poco non si mise a piangere.
Corse da suo padre, chiedendo spiegazioni.
Quando due mesi dopo si ritrovò in cimitero, una fitta pioggia copriva tutto e tutti. La mamma era seduta accanto a lui in lacrime, coperta dall'ombrello che Emilio reggeva tra le mani.
Senza dire nulla, una volta che la bara fu calata e poi coperta dalla lastra di granito, si allontanò lasciando l'ombrello in mano alla povera donna, coprendsi la testa  con la giacca.
Il giorno dopo il funerale di suo padre la mamma gli diede una busta contenente dei documenti, poi gli fece segno di seguirla in garage.
Era l'unico posto in cui non era riuscito ad entrare in quegli ultimi tre mesi.
Appena sollevò la saracinesca di metallo, davanti a lui luccicava un furgoncino volkswagen t2, con le verniciature rosse e turchesi.
Lo aveva sempre sognato.
I dettagli cromati, i sedili di pelle color kaki, il pavimento in legno.
Poteva partire.
Senza un soldo in tasca, ma ora poteva lasciare la piccola casetta di campagna.

Si la strada è ancora là,
Un deserto mi sembrava la città,
Ma un bimbo che ne sa,
Sempre azzurra non può essere l'età,
Poi una notte di settembre me ne andai,
Il fuoco di un camino
Non è caldo come il sole del mattino
Chissà dov'era casa mia
E quel bambino che giocava in un cortile

14/05/1974

Caterina riposava sul sedile accanto al suo. Dietro, sul materassino gonfiabile, Francesco, Antonio e Sofia giocavano a rubamazzi. Lasciate giacche, fasce di stoffa e le scarpe con i tacchi di sughero, avevano tirato fuori una scatoletta di latta e si erano accampati lì, tra risate e qualche sorso di una birra scadente presa all'ultimo punto di ristoro.
La loro prossima tappa era la costa partenopea.
Dell'Emilia Romagna alla Campania era passato giusto un mese, con tre tappe a Roma, Bologna e Perugia.
Si sarebbero poi imbarcati per le Eolie e poi le Lipari, facendo anche un giro a Capri.
Magari, una volta scesi fino alla Sicilia, si sarebbero imbarcati su un traghetto per Malta.
Una volta arrivati alla stazione di servizio Emilio accostò e si fermò, poi scese e prese un respiro profondo.
Guardò le stelle e sorrise.

Io vagabondo che son io,
Vagabondo che non sono altro,
Soldi in tasca non ne ho ma la su mi è
Rimasto Dio, Io vagabondo che son io,
Vagabondo che non sono altro,
Soldi in tasca non ne ho ma la su mi è
Rimasto Dio

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