Last Frontier: Whittier, Alaska

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Il registratore era acceso, la fotocamera pure, le luci erano al minimo e il passamontagna nero le copriva il viso.
La ragazza, chiusa nello stanzino, strinse i pugni e iniziò a registrare.
-Registrazione numero 47, argomento: memorie pre-guerra.- disse con un tono secco e sbrigativo.
-Ricordo ancora quando cadde la prima bomba. Avevo cinque anni. Ricordo ogni cosa come se fosse ieri, anche adesso, anche se sono passati dieci anni...
Quella sera mamma stava preparando la cioccolata, alla luce del caminetto. La nostra era una casetta in legno, non era tanto grande ma era comoda, molto accogliente. Comunque, quella sera mamma stava preparando la cioccolata, alla televisione davano i cartoni animati della sera, ma io stavo alla finestra. Nevicava, eppure vedevo le nuvole brillare per i fulmini. Era una tormenta. Nel vialetto del giardino coperto di bianco vidi due occhi luminosi, sempre più vicini e abbaglianti. La macchina di papà. Non vedevo quasi mai mio padre, visto che lavorava lontano, lui però non cambiava quasi mai, almeno per me, e mi sorrideva sempre, con gli occhi che sembravano catturare il sole di mezzanotte. Mi girai verso la mamma, che non sembrava sentire niente, e scesi dalla piccola panca su cui mi trovavo e corsi alla porta, aspettando con ansia di sentire la serratura scattare. Successe pochi secondi dopo e, quando si aprì uno spiraglio abbastanza grande da lasciarmi passare, mi fiondai sulla prima cosa che mi trovai davanti. Abbracciai la sua gamba, mentre mi sentii sollevare da terra, la neve che copriva i suoi pantaloni mi infradiciò immediatamente il pigiama e mi fece accapponare la pelle per il freddo. Abbracciarlo era proprio come ricordavo. Mi bastò lanciare un piccolo grido di gioia per attirare l'attenzione della mamma. Era felice come non mai, più che a Natale il giorno del suo compleanno. Ero felice per il ritorno di papà, come non mai, era il giorno più bello. Lui riappoggiò la gamba a terra quando sentì le urla della mamma, felice. Vedevo i suoi occhi brillare assieme ai cristalli di ghiaccio sulla sua barba, il naso rosso per il freddo e i capelli rigidi sulla testa. Avevo già visto una scena simile, un anno prima. Passammo una serata magnifica: bevemmo la cioccolata, guardammo i cartoni insieme, giocammo con i cuscini... proprio come un anno prima. Andò avanti così fino a quando i cartoni non vennero interrotti da un'edizione speciale del telegiornale. Al contrario di quanto speravo non si trattava affatto di un telegiornale dedicato ai bambini, ma a qualcosa di ben peggiore. Papà a quel punto si alzò da terra spolverandosi di dosso le piume sintetiche e si passò prima una mano sul volto, poi sui capelli, portandoli indietro. Pronunciò solo poche parole: 《È finita. L'apocalisse è appena iniziata》. In quel momento capii quanto fosse grave la situazione.- sospirò, lei non sapeva quanto tempo dopo aveva capito quelle parole, lo sguardo terrorizzato del presentatore... non aveva segnato una farà precisa nella sua mente.
Spense il registatore e la fotocamera e si tolse il passamontagna stando attenta a non toccare i punti messi peggio del suo viso, ovvero gli occhi e la parte centrale della fronte, dove era stata costretta ad appoggiare dei sacchetti di ghiaccio secco.
Non sorrideva, non aveva un'espressione vera e propria in volto, soltanto uno sguardo spaventato da quello che vedeva fuori dalla finestra ogni giorno.
Le tende erano sempre tirate, i vetri macchiati di acido e polvere grigia che per quanto potesse sembrare cenere non lo era. La guerra era arrivata tanti anni prima, alla fine dell'inverno, e la primera che ne seguì fu una delle più fredde mai viste in tutta l'Alaska. Anchorage non venne risparmiata nemmeno per i suoi contatti di amicizia commerciale con i porti russi della Siberia orientale. Fu uno dei primi posti a essere attaccati, all'inizio della tradizionale corsa con le renne, durante la quale i concorrenti correvano in costume da bagno sulla neve. Era stata una bomba incendiaria a scatenare il panico in città. Cadde sul municipio proprio alla fine della gara.
Lei era lì, a osservare la struttura in legno avvolta da dense lingue di fuoco rosso e fumo nero. Gli altri correvano in preda all'isteria di massa.
Lei osservava in silenzio, aggrappata a una transenna gelida con le manine gelate avvolte in sottili guanti rossi come il fuoco che si rifletteva nei suoi occhi scuri.
Quando qualcuno la prese in braccio iniziò a gridare come le aveva detto di fare la mamma in situazioni simili. Quando vide che in realtà si trattava del papà. Quasi le veniva da piangere.
Si tappò le orecchie e chiuse gli occhi cercando si mandare via tutti quei rumori, ma fu inutile.
Aveva paura.
Quella sera stessa la mamma aveva deciso di cercare un'altra casa, lontana da lì. Molto lontana da Anchorage. Era il momento adatto per cercarne una nuova, impossibilmente anche più lontana dalla Russia.
La cittadina di cui la mamma parlava era a qualche miglio di distanza, oltre la baia di Anchorage.
Whittier era una cittadina di poche centinaia di abitanti, strutturata da un'enorme palazzo costruito il secolo prima davanti a una piccola baia protetta dalle montagne, attraversate da un tunnel ferroviario.
Il cielo non era ancora coperto dalle migliaia di aerei dell'aviazione statunitense.
Quando la bambina entrò per la prima volta nel piccolo appartamento pensò di aver trovato la tana di uno dei mostri delle favole. Non le piaceva per niente, ma si sarebbe dovuta abituare molto presto a quelle pareti in muratura. Sapeva che niente sarebbe stato più come prima.
Quando passarono gli anni, tra un passaggio e l'altro dagli appartamenti al bunker e viceversa. Era il lato migliore della guerra dopo tutto.
Ogni giorno faceva le stesse cose: sveglia alle otto, doccia, colazione nella mensa, lezione basilare fino all'ora di pranzo e di nuovo un pasto di sala mensa. La vita in quel luogo era monotona e senza svaghi, se non la lettura dei testi salvati nella biblioteca e archivio della città, nascosta dentro al bunker. La vita si concentrava intorno al bunker, dove si trovavano le piantagioni di cibo e gli allevamenti, i laboratori, la stazione ferroviaria gli uffici amministrativi e i magazzini. Era una società molto semplice la loro. Vivevano isolati dal mondo eppure avevano un'economia abbastanza florida per essere una società al declino.
Lei sorrideva a quel pensiero.
La sua giornata era iniziata con il cinguettare della sveglia municipale, ideata per far svegliare i cittadini con calma, inutilmente, visto che svegliarsi la mattina era sempre e comunque un'azione sgradevole tanto quanto rompersi il setto nasale due volte di fila.
Sveglia, doccia dopo i suoi due fratelli, colazione nella sala mensa e poi lei... preannunciata da un campanelloda slitta, con una vocetta stridula da nonna cattiva dei film western, almeno di quei pochi che aveva visto, che entrava nelle orecchie come il fischio di un treno. La segretaria del sindaco, grafomane burocratica, regina del whiskey servito ai minorenni, il terrore delle studentesse in cerca di ripetizioni sulla storia degli Stati Uniti d'America.
La signorina Eunice.
Non era un mostro di aspetto, infatti era più simile a una cariatide, ma i bambini la temevano comunque.
Quando iniziò a parlare all'altoparlante alcune persone nella sala sussultarono.
-Sono le 13:00 in punto del 29 ottobre 2077, la temperatura interna è stata programmata sui 19° mentre la temperatura esterna si aggira sui -47°! Oggi è previsto il cambio dei turni agli impianti di areazione e depurazione dell'acqua. Ma ora, passiamo alle informazioni davvero importanti! Tutta la popolazione è stata convocata nella sala mensa per una riunione straordinaria. L'orario è fissato per le 16:30, per questo motivo tutti i turni di lavoro e istruzione sono stati sospesi da questa mattina fino alla mattina di domani. Con la speranza che passiate una buona giornata, vi porgo i miei saluti, Eunice Hashold!-
Un fischio mise fine alla comunicazione.
Tutti i turni di lavoro e istruzione erano sospesi, ma tra i lavori non c'erano i turni di manuntenzione, ovviamente, quindi nemmeno il reparto amministrativo e commerciale...
Perfetto, niente scuola, niente da fare da nessuna parte e nessun adulto in giro. C'era solo il dettaglio dei suoi due fratellini, Vigdis e Nigel, che avevano bisogno di qualcuno per passare la giornata senza pericoli. Avrebbe dovuto portarli con sé e tenerli sotto controllo. Avrebbe dovuto cercare di controllare due piccole pesti iperattive.
Non poteva farcela.
La sua fine era vicina.
Con un verso esasperato battè la fronte sul tavolo metallico sul quale stava mangiando la colazione e di portò le mani sulla nuca -È solo per oggi, da domani starai bene.- si disse da sola. In quel momento le persone attorno a lei erano troppo impegnate a parlare della riunione per sentirla.
Come passare il tempo senza ascoltare la radio? Mah, forse poteva andare al bunker, andare verso i tunnel ferroviari e guardare come procedeva il lavoro nelle serre e negli allevamenti sotterranei. Che altro avrebbe potuto fare? Nient'altro.
Quando arrivò l'orario della riunione lei si trovava all'interno di una galleria ferroviaria per il trasporto di animali.
Il treno che le passò davanti era molto diverso dai soliti treni che portavano le granaglie e il mangime per poi andarsene con centinaia di chili di carne e vegetali dirette verso le fermate delle altre città. Tutto il mondi ormai era basato sulle ferrovie commerciali, ma anche militari.
Il treno che passava davanti a lei non era un treno merci, era senza vernice a contrassegnare i vari vagoni, se non una stella bianca cerchiata con sotto la scritta U.S. Army.
Non si era mai fatta portare da uno di quei treni, perché non farci un salto sopra?
Approfittò del fatto che i treni fossero lunghi quasi un chilometro e iniziò a correre lungo la banchina di servizio costruita dentro alla galleria nella stessa direzione del treno e si avvicinò a una delle maniglie che chiudevano i vagoni e vi si aggrappò. I passi divennero sempre più lunghi e leggeri, fino a quando non si diede una spinta sufficiente per saltare sul poggiapiedi.
Era salita. Il suo passaggio per tornare alla zona abitata della città era un treno militare, il primo della sua vita.
Salire sui treni in corsa era vietato a tutti, ancora di più ai minorenni ovviamente.
Quando arrivò alla banchina di scarico scese con un salto dietro a una pila di casse scaricate la sera prima da un treno merci proveniente dalla baia di Kachimak, dove c'erano ancora dei piccoli allevamenti di pesce non troppo contaminati, più facili da ripulire dalle scorie radioattive grazie alla presenza di acqua salata.
Si nascose dietro a una cassa che perdeva olio di pesce e iniziò a camminare rimanendo accovacciata a terra, le scarpe cigolavano sul cemento umido ma non abbastanza da farsi scoprire.
Appena arrivò abbastanza vicina alla porta scattò in piedi e iniziò a correre lungo le scale fino ad arrivare al piano terra della città. Le scale erano sempre la via più veloce per tornare in superficie, ma la più faticosa.
Quando fermò la sua corsa sfrenata in palestra riusciva a malapena a respirare. Erano passate tre ore da quando era scesa lì sotto senza tuta e respirare.
La segretaria parlò di nuovo con la sua vocetta stridula, a quel punto crollò a terra in preda al dolore alla milza. Non doveva correre così.
Cosa ci faceva un treno militare alla stazione commerciale? Aveva portato nuovi abitanti? Forse dei rifornimenti straordinari dalle gallerie di Washington DC?
Quando si alzò era passata più o meno mezz'ora, quindi era arrivato il momento di andare in mensa per la riunione straordinaria.
Accanto alla porta si trovava un tabellone in sughero coperto di dépliant, biglietti da visita e annunci di lavoro.
I volantini delle agenzie di viaggi, quelle della
società petrolifera, dell'agenzia immobiliare che ha svenduto gli appartamenti della città... erano tutti spiegazzati e appesi alla parete di sughero della sala mensa. Non c'era niente di
nuovo o diverso dal giorno in cui era arrivata.
Quando finì di rileggere gli annunci per il lavoro andò a sedersi in fondo alla sala.
I bisbigli regnavano per la sala, uomini e donne erano seduti ai tavoli dietro, mentre i bambini vennero messi tutti in prima fila, controllati dalle loro insegnati e dagli educatori. Le luci vennero spente per metà, una porta venne aperta mentre quella del corridoio principale era già stata chiusa a chiave dai membri della vigilanza e della sicurezza, le persone più affidabili città. La mensa, un ambiente particolarmente spartano con i vari tavoli disposti a bancate era ghermita si persone. Il bancone dove veniva ritirato il cibo era stato messo da un lato, accanto alla porta di servizio per gli addetti alle cucine e alle pulizie.
Si sentiva il chiacchiericcio dei presenti, le risatine dei bambini che scherzavano, eppure il tutto rendeva più che evidente la tensione dei cittadini.
L'unico dettaglio diverso dal dolito era una sorta di palco creato con dei tavoli affiancati l'uno con l'altro, dove vi erano appoggiate alcune sedie e un banchetto più piccolo, proprio davanti alle due sedie centrali. Le luci erano accese solo in quel punto, per renderlo il punto focale della mensa.
La porta accanto al bancone venne aperta, scoprendo un corridoio vuoto ma illuminato. Da lì ne uscì il sindaco, un uomo calvo, con una tuta da lavoro, di quelle della manitenzione delle tubature. L'uomo si diresse verso il tavolo, rigirandosi un foglio tra le mani con fare abbastanza nervoso. Pochi secondi dopo venne raggiunto dalla sua segretaria, una vecchia donnina dal naso aquilino con gli occhiali tondi e spessi come fondi di bottigli che le rendevano gli occhi grandi come quelli di un calamaro gigante. La signorina Eunice. Gli picchiettò una spalla prima che salisse sui tavoli, gli sussurrò qualcosa di urgente e poi ritornò nel corridoio degli inservienti con una corsetta isterica per via della gonna a tubo e delle scarpe con il tacco basso che rimbombavsno per tutta la sala. Il sindaco salì sui banchi e si schiarì la voce.
-Vi prego di ascoltarmi. Oggi è un giorno parecchio importante, per tutti noi: abbiamo ricevuto il generale Ulisses McKrain, dell'esercito statunitense ovviamente, con il caporale Nouhalia Sayeko, con nostro grande piacere. E ora, è meglio lasciare a loro la lieta notizia.-
Andò dietro al tavolino, sedendosi e rigirandosi nuovamente il foglio tra le mani, più nervoso di prima. Pochi secondi dopo fecero il loro ingresso in sala un uomo in divisa, una donna, anch'essa in divisa, e la signorina Hashold, questa volta con una caraffa d'acqua e una pila di quattro bicchieri tra le mani. Quando le due donne si sedettero il militare, Ulisses McKrain, si avvicinò al tavolino schiarendosi la voce. Dopo un respiro profondo iniziò a parlare con un tono solenne.
-Buongiorno signore, signori, ragazzi e ovviamente bambini. Io sono il generale Ulisses McKrain, dello U.S. Army. Io e la mia assistente, il caporale Sayeko, siamo qui per informarvi che questa città è stata scelta per il programma di rimboschimento planetario. Ebbene sì, questa città è la nostra miglior scelta per far tornare il mondo alla normalità.-
Sussurri concitati si sparsero nella sala, tanto che gli addetti alla sicurezza dovettero chiedere il silenzio per farlo proseguire. Il generale allungò una mano verso il sindaco, che subito gli passò il foglio spiegazzato.
-Secondo il governo Norvegese, nelle isole Svalbard si trova il deposito di sementi che potrebbe ribaltare la situazione del mondo esterno. Lo S.G.S.V. o meglio, Svalbard Global Seed Vault è ciò che si potrebbe definire una manna dal cielo, quello che viene definito un "Giardino dell'Eden ibernato". In poche parole, questo deposito immerso nel permafrost contiene talmente tante specie vegetali e animali ibernate da poter risanare il mondo entro pochi anni, grazie a una modifica a livello genetico che contribuisce allo smaltimento delle polveri sottili, delle sostanze chimiche disperse e delle radiazioni, che ormai da anni stanno consumando il nostro mondo, la Terra. Come molti di voi avranno intuito, non saranno in tanti a essere scelti per questo compito, soprattutto che molte fasce di età verranno scartate per ovvi motivi, ma questo lo spiegherà la mia assistente. Signorina Sayeko, lascio a lei la parola.-
Il generale si fece da parte, sedendosi accanto al sindaco, lasciando poi passare la donna per parlare. Lei dopo aver bevuto velocemente un bicchiere d'acqua prese il posto del generale davanti al tavolino.
-Buongiorno a tutti. Come detto prima dal generale, abbiamo ancora una possibilità. Purtroppo non possiamo inviare i più forti o i più veloci di tutta la città, ma possiamo permetterci di affidarci agli individui che vanno dall'età dei 16 ai 25 anni. Lo sappiamo bene che per voi è inconcepibile, ma vista la situazione in cui versa la nostra società è l'unico modo per assicurarci che la missione vada a buon fine.-
Fece un gesto con le mani e un addetto al cinema della città accese il proiettore mostrando dei grafici sul lenzuolo appeso alle sue spalle.
-Come potete vedere, la teoria dell'evoluzione di Darwin ci ha dimostrato quanto bene ci possiamo adattare alle situazioni che ci vengono presentate. Secondo il grafico gli individui bambini o adolescenti durante la guerra hanno sviluppato una maggiore resistenza alle radiazioni, cosa che non è successa negli adulti o nei bambini nati dopo la fine del conflitto. Per quanto vi possa sembrare un crimine di guerra o una missione suicida, non lo è. È semplicemente la nostra ultima speranza per il futuro. Per chi vuole tentare consiglio di andare a richiedere i documenti nell'ufficio del sindaco. Molte grazie per l'attenzione.-
Grida, applausi, insulti si sollevarono proprio mentre la donna tornava al suo posto. Poi, seguendo il generale, il sindaco e la segretaria, la donna scomparì nuovamente nel corridoio di servizio.
Stringeva i pugni contro ai fianchi, teneva sotto controllo il respiro e batteva continuamente le palpebre. Aveva l'età giusta, principi morali praticamente nulli e un terribile senso di compressione sul petto. Lei voleva partecipare.
Sentì qualcosa tirarle l'orlo della felpa con timidezza, indecisa.
Quando abbassò lo sguardo vide una bambina pallida, con due grandi occhioni neri e i capelli bruni che la fissava in silenzio.
Vigdis.
I suoi genitori avevano avuto una fantasia più grande per i nomi dei suoi fratellini rispetto a quando avevano scelto il suo nome.
Sorrise alla bambina e la prese tra le braccia con dolcezza. Pesava solo una ventina di chili.
Si alzò e si diresse verso il posto del fratellino, Nigel, che stava giocando con i suoi amichetti dell'asilo.
Sorrise vendendo quella scena.
Voleva partire, ma come poteva lasciarli da soli? Non poteva di sicuro.
Aveva il desiderio di vedere finalmente il mare, di toccare uno dei tronchi caduti fuori dalla città o di sentire il fischio del vento provenire dalle cime degli alberi. Voleva uscire da lì, sentire scoparire il peso del cemento.
La città era opprimente, non come i cittadini.
I documenti erano nascosti dentro a una scatola di latta posta sotto alle tavole di legno del bagno. Chi mai avrebbe pensato di mettere il certificato di nascita sotto al lavandino?
Nessuno ovviamente.
Quando li tirò fuori erano leggermente spiegazzati e freddi per via dell'umidità ma erano in buone condizioni. Sorrise e rimise le tavole al loro posto con un suono raschiato che dava la sensazione di ruvido.
Quando arrivò davanti all'ufficio del sindaco c'era già una folla di ragazzi poi grandi di lei, forse già maggiorenni, che parlavano tra loro con dei borbottii bassi e rapidi.
Forse alcuni di loro avevano già dato i documenti, forse erano stati rifiutati, ma a lei cosa poteva importare?
Voleva uscire, aiutare gli altri a farlo senza il bisogno di tute e respiratori seguiti poi da una doccia lunga un'ora.
Esci, respira, tocca, osserva, vivi.
Quelle parole erano scritte sulla parete dela sua stanza, i documenti consegnati all'assistente del generale McKrain probabilmente erano finiti su una fotocopiatrice, le sue parole invece erano dimenticate da qualche parte nel cervello del sindaco.
Esci, pianta il futuro, osserva il sole sorgere, nuota in un lago di tranquillità, respira aria pulita. Vita.
Lettere che compongono parole. Parole che indicano i pensieri.
Parole sconnesse, contraddittorie e quasi senza senso. Erano i suoi pensieri.
Ricevette uno schiaffo quando lo disse in casa, vide delle lacrime toccare il pavimento.
Sua mamma si era messa a piangere, suo papà cercò di consolarla e le sorrise. Nigel e Vigdis si aggrapparono alle sue gambe e smisero di ascoltare il pianto della loro mamma.
I due gemelli si allontanarono pochi minuti dopo e si sedettero sul divano a guardare i cartoni, cercando di non guardate le lacrime della mamma.
Lei andò alle serre subito dopo. L'aria era più pulita.
I ragazzi erano disposti in due file separate nella palestra della città. I maschi da una parte e le femmine dall'altra per avere un maggiore senso si ordine.
Gli strumenti per gli esercizi erano spostati contro al muro per fare spazio, mentre i tappetini erano stati lasciati sparsi sul pavimento. I ragazzi erano vestiti tutti con una canotta bianca, dei pantaloncini neri e dei calzini grigi, dando una parvenza di conformità. Il generale Ulisses McKrain camminava tra le due file con il basco sotto braccio e la mimetica grigia e bianca pulita come appena uscita dalla sartoria. Il suo sguardo vagava dai ragazzi al foglio di carta che aveva in mano, contente il suo discorso. Si fermò proprio davanti al poster che ritraeva lo Zio Sam nella sua classica posa accattivante. Con un colpo di tosse si girò verso di loro con gli occhi con occhi bassi. Con un sospiro iniziò a leggere ad alta voce.
-Buongiorno ragazzi, come saprete siamo qui per informarvi che questa sarà una giornata molto importante. Stasera coloro che verranno scelti per questo compito, questa grande missione per salvare il nostro pianeta, saranno resi pubblici. Ora, per chi non verrà nominato, dico soltanto di non essere deluso, non sentirsi escluso o ignorato, perché è l'ultima cosa che deve fare. Mantenete la calma, non è un'umiliazione, né una presa in giro, ma una prova per testare il vostro autocontrollo. Non siete stati ingannati, siete solo tenuti in considerazione per altri ruoli. Non vi abbiamo scelti a caso, ma seguendo rigidi parametri per stabilire il vostro stato di salute attraverso visite mediche e test sulla vostra resistenza fisica. Non è un gioco, non è nemmeno un suicidio. È tutto ciò che è necessario per tornare al nostro mondo, a ciò che molti di voi ricorderanno bene solo grazie ai film. Ora lascio la parola al caporale Stone, prego.-
Ripiegò velocemente il biglietto e lo mise in tasca con un colpo di tosse, nello stesso momento in cui Nouhalia si faceva avanti con un elenco rigido in mano.
La donna alzò lo sguardo verso di loro, mentre piegava il foglio con i nomi, e osservava le loro reazioni. La sua attenzione era rivolta soprattutto a quelli che non aveva nominato. Tra chi non reagiva e chi si metteva a piangere non sapeva chi trovare più triste.
-È ora di andare. Vi consiglio di riposarvi-
Disse la donna prima di allontanarsi verso la porta.
La porta era a pochi metri da lei, la tuta era gonfia di aria pura e il respiratore era inserito nella mascherina come riserva in caso di carenza di ossigeno. Il cotone mescolato al grasso per tenere i piedi al caldo dentro alle calze di lana.
Bastava solo girare una manopola e sarebbe uscita fuori.
Le sensazioni che provava erano una mescolanza paura, vertigine ed eccitazione.
Con il fucile in spalla girò la manopola per aprire la porta e la spinse.
Fece un passo e fu fuori.
Respirò l'aria di fuori per la prima volta dopo anni.

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