Tanti anni fa c'era una casa. Lì viveva una ragazza dagli occhi viola, i capelli bianchi e la pelle altrettanto candida. Non era mai uscita da lì, anche se quella non era casa sua. Lei ci viveva e basta, ma il suo spirito era fuori già da tempo.
Attraverso agli spazi tra le assi di legno passava la flebile luce delle torce e delle auree d'angelo, delle venature azzurre nella roccia che brillavano a ogni ora del giorno, visto che faceva sempre buio.
La sua casa, un casino di caccia in legno, era stata costruita in una grotta per andare a caccia di cervi di caverna, dei cervi che a differenza dei loro cugini di bosco avevano le corna che brillavano di un bagliore azzurro e proprio per questo erano più rari e di valore.
Da quando però suo padre si era sposato e la caccia era stata chiusa per i ttoppi ochi cervi non c'era più stato bisogno di qualcuno che controllasse i vari traffici e cacciatori, quindi lui e sua madre si erano trasferiti lì senza pensarci due volte, ed era sempre lì che era nata lei.
Le notti erano lunghe, i giorni duravano quanto lo stoppino di una candela mezzo consumato e il tempo scorreva lentamente, scandido dalle candele consumate e dal bagliore caldo delle auree d'angelo, delle piccole farfalle con le ali palpitanti di un caldo arancio, della stessa tonalità delle scintille.
La luce del sole non arrivava mai lì, non aveva mai sfiorato quella casa romita, quelle rocce umide e fredde, quel viso candido che non aspettava altro da anni se non vedere il cielo e respirare una nuova aria che non fosse quella fredda e umida delle grotte.
Lei pensava, pianificava, leggeva quei pochi libri che trovava in giro per casa e scriveva.
Aspettava nell'ombra, senza fiatare e si preparava. Si preparava per il giorno in cui avrebbe visto il cielo per la prima volta.
La sua occasione per vedere il cielo si presentò prima di quanto pensasse, quando alla casupola trovò un manifesto bagnato, molle coperto di fango morbido.
L'aveva notato in un piccolo corso d'acqua che attraversava una galleria scavata nella roccia lucente, quarzite e calcite, dove bastava accendere un fiammifero per illuminare tutto l'ambiente senza problemi.
Lei aveva semplicemente appoggiato il cestino del bucato a terra e aveva iniziato a lavare i vestiti nell'acqua fredda. Il manifesto si era incastrato tra due frammenti di calcite caduti dalla parete, dove avevano scavato una piccola rientranza per appoggiare le candele o i fiammiferi.
Lasciò i vestiti immersi per metà nell'acqua bassa e cristallina e andò a sollevare con attenzione quel fragile pezzo di carta bianca e rossa, iniziando a leggere con attenzione le lettere eleganti e arzigogolate tracciate in rosso carminio. Non era un vecchio annuncio per l'apertura della stagione di caccia, era qualcosa di nuovo e ben diverso, molto distante da tutto quello che aveva conosciuto fino a quel momento.
Appena finì di leggere il fiammifero si spense, lasciandola completamente al buio e senza una scatola di fiammiferi con cui uscire. Dovette usare le pietre focaie per riprendere a lavare i vestiti senza lavorare completamente alla cieca. Le scintille che emanavano erano abbastanza calde da non spegnersi nell'acqua gelida in pochi secondi. Aveva messo il manifesto ad asciugare accanto a un camino termale.
Quel giorno non si fece vedere in casa, andò invece nel vecchio rifugio dei cacciatori, in una galleria poco lontano, non raggiungibile facilmente.
Il rifugio era un cubo di legno, con una porta che scorreva su due ruote di lato, per rendere più difficile l'entrata di qualunque animale. Lei si era nascosta lì, ricavandosi un angolo separato dal resto del mondo. Lì aveva meditato.
La notte non dormiva a sufficienza, aveva dei sogni che poco riflettevano ciò che si aspettava dal mondo esterno, ma non ne parlava. Non sarebbe stato il caso.
Passò qualche settimana dal ritrovamento e niente era cambiato. Lei continuava a pianificare.
Era notte, ne era certa. Era il momento giusto per partire.
Si alzò silenziosamente dal letto e per non svegliare la mamma che dormiva nel letto accanto al suo camminò piano senza fare cigolare il pavimento di legno gonfio di umidità.
Da sotto al materasso sgualcito prese il manifesto e lo nascose sotto al farsetto, poi iniziò a distribuire meglio il suo peso per non fare rumore. Uscì piano di casa attraverso la finestra della stanza e atterrò sulla ghiaia morbida, che scrocchiando sotto ai suoi piedi si accendeva di una lieve luce verde, illuminando il suo sentiero al suo passaggio. Quando la ghiaia lasciò spazio alla terra battuta i microscopici cristalli di sale brillavano nel buio. Prese una delle torce attaccate alla parete di roccia e si incamminò verso il rifugio.
Da lì prese una lanterna di vetro, il suo unico mantello pesante e la sacca dove aveva messo un laccio legato a due pesi, due pietre, e una cerbottana che si poteva smontare per occupare meno spazio. Era pronta, il cibo l'avrebbe trovato più avanti.
Come ultima cosa prese un sacchetto che aveva preso da sotto al pavimento della cucina. Forse le sarebbe stato utile.
Si incamminò verso l'uscita, l'unico posto che non aveva mai visto. Riconosceva quando era più o meno lontana dal cuore del labirinto di gallerie che attraversava la montagna.
Quando sentì l'aria diventare più dolce, secca e calda affrettò il passo.
Quando delle urla raggiunsero il suo orecchio, iniziò a correre per allontanarsi dal padre. Lui non le aveva mai permesso di uscire, le aveva detto che non sarebbe mai uscita, che lui non l'avrebbe mai permesso. Era stato lui a spingerla ad uscire, anche senza saperlo.
Prima di accorgersene i passi non risuonavano più, non toccavano più un terreno duro e compatto. La luce della lanterna era affievolita da una più lontana e alta.
Sollevò lo sguardo e si lasciò cadere a terra.
Quella luce veniva da un enorme cerchio argenteo e brillante, una luce così bella e avvolgente e allo stesso tempo fredda.
Era la Luna.
Intorno alla luna lucevano delle piccole gemme bianche e dorate, immerse in una volta blu scuro. Le stelle erano bellissime.
Sorrise e le osservò per un tempo indefinito.
Si alzò solo quando la luna venne coperta da una coltre scura. Riprese la lanterna e iniziò a camminare attraverso quello che doveva essere un bosco, almeno per quello che credeva fosse un bosco.
Raggiunse una radura con l'aria illuminata da delle lucciole giallo oro, che fluttuavano lievi e senza un peso. Oltre alla radura si trovava un albero che... era illuminato? Sì, era illuminato. I rami emanavano luce dalle venature, le cavità invece sembravano essere piene di pietre focaie. Sulla corteccia dell'albero si vedeva una porta intagliata nel legno. Da lì proveniva un brusio basso e ruvido.
Si avvicinò e spinse la porta con delicatezza, curiosa di vedere cosa ci fosse lì dietro. Quando entrò lì dentro la prima cosa che vide fu il legno. Legno ovunque, componeva i muri, i tavoli e le sedie, era in legno pure il lampadario appeso al soffitto, dove erano accese delle candele dalle fiamme blu.
Il posto era caldo, con un bancone sul fondo della sala e un camino vicino all'entrata. Fece un passo indietro e notò che il tronco in realtà era molto più grande di quanto non sembrasse a un primo sguardo. Non aveva mai visto un posto del genere.
C'erano due persone a occuparlo, un uomo dietro al bancone e una figura incappucciata seduta ad un tavolo vuoto, quasi nascosto nell'ombra.
Entrò definitivamente nella locanda e si diresse verso il bancone chiudendo la porta dietro di sé con uno schiocco.
Quando toccò il legno tiepido sorrise leggermente per il calore che le infondeva. L'aria dorata e calda la rilassava in un modo mai successo prima.
Quando il locandiere si avvicinò lei aveva chiuso gli occhi. Le picchiettò un dito su una spalla e le appoggiò davanti una tazza piena di un liquido color miele.
-Non ho mai visto nessuno con dei capelli così bianchi, voi ne avete mai visti di questo colore?- si era rivolto alla figura incappucciata.
Lei sollevò la testa e appoggiò il mento sui polsi -Scusatemi tanto, ma cosa c'è di strano?- sussurrò piano. Le sue prime parole ad uno sconosciuto.
Il locandiere le spinse la tazza davanti al naso -Voi non siete di qui, vero?- lei fece segno di no con la testa e lui sollevò le sopracciglia -State attenta a non fatevi vedere in giro allora-.
Lei buttò giù il liquido dolce contenuto nella tazza lì davanti e si girò verso la figura incappucciata -Chi è?- chiese a bassa voce . Il locandiere liquidò la domanda con un gesto rapido della mano e si allontanò.
Sentì un fruscio dietro di sé e si girò verso il rumore. La figura incappucciata era un ragazzo poco più alto di lei. Del suo volto si vedevano pochi tratti sotto all'ombra del cappuccio, ma era di sicuro un ragazzo.
-Perché non chiederlo al diretto interessato?- sembrò sorriderle, ma non si capiva. Era stato un miracolo capire che età aveva, figuriamoci capire se il suo era un sorriso.
Lei ammutolì e abbassò lo sguardo. Giusto, ma non ci aveva proprio pensato a chiederlo a lui? Era troppo lontano fino a poco prima e lei non era abituata a parlare ad alta voce. Si fece più piccola di quanto non fosse già e si allontanò dal bancone prendendo il manifesto da dentro il farsetto. Lo mostrò ai due.
-Vorrei sapere dove si trova, lo sto cercando da tempo- forse non da molto tempo, ma lo voleva trovare il prima possibile. Il locandiere corrugò le sopracciglia e si allontanò borbottando, il ragazzo con il cappuccio le prese il pezzo di pergamena dalle mani e lo guardò con attenzione. Ridacchiò sotto voce.
-Ti ci potrei portare in tempo, ma sarebbe un rischio. È lontano e non si può viaggiare in pieno giorno, c'è troppo caldo in questo periodo.- le restutuì il manifesto e si diresse verso il camino, dove figurava una porta.
-Partiamo domani al tramonto, cercati un posto decente dove dormire e riposati. Potresti non passare il giorno con quella pelle bianca che ti ritrovi.- asserì infine, subito prima di sparire nel buio oltre alla porta.
Lei guardò il locandiere e dalla sacchetta che aveva allacciata alla vita prese una scheggia di berillio e gliela mostrò dicendo -Cosa posso fare con questa?- la appoggiò sul bancone e lo osservò mentre la osservava con attenzione.
-Potete pagare una cena, una stanza, delle provviste, un cavallo e dei vestiti. Vale molto ultimamente.- la sollevò dal banco di legno e la confrontò con un cristallo simile. Sorrise e corse verso una cassettiera con gli sportelli di vetro. Quando ritornò tra le mani dell'uomo figurava un piatto con della frutta, un pezzo di pane scuro e una strana crema bianca. Le sorrise sotto ai baffoni impomatati e appoggiò il pasto sul bancone. -Fidatevi di lui, queste zone le conosce meglio di tutte le persone passate per questa catapecchia. Ma ora, mangiate, ci sono viaggi da fare con energia e forza. Buon appetito!- dopo ciò lei iniziò a mangiare.
La sera dopo si svegliò in una stanza che per arredamento aveva solo un letto e una sedia. Non c'erano finestre e l'aria era calda, ma si stava bene tutto sommato. Quando si alzò e andò a prendere il mantello da sopra la sedia e la sacca, appoggiata al muro. C'era troppo silenzio in confronto a quello a cui era abituata.
Uscì dalla stanza e quando arrivò alla sala principale vide una nuova figura nella locanda. A osservarlo meglio forse l'aveva già visto da qualche parte, di sicuro in un sogno.
Lo guardò curiosa per qualche momento, fino a quando lui non si girò verso di lei e si mise un cappuccio in testa. Lei si picchiò una mano sulla fronte, con le guance rosse per la vergogna. Ecco dove l'aveva visto.
Si avvicinò al bancone e guardò il locandiere che lavava lentamente le stoviglie della sera prima. Era stanco.
Dopo la colazione seguì l'Incappucciato, come l'aveva chiamato lei, fuori dalla locanda, con una nuova sacca sulle spalle.
La foresta era esattamente come la notte prima: colorata, costellata da piccole luci dorate e verdi e soprattutto illuminata dalla Luna.
Si allontanarono in silenzio, fino a quando non sentirono un fruscio tra i rami.
Iniziarono a correre tra i cespugli, con dei ringhi sempre più vicini. Quando arrivarono vicino a un fiume lui si fermò di colpo, proprio sulla riva. Lei rischiò di andargli addosso. Dalla foresta dietro di loro ne uscì una bestia dal pelo nero e gli occhi che brillavano di un rosso sangue. Non la vedeva bene ma quando caricò verso di loro Lui la buttò a terra, sui ciottoli viscidi del fiume subito prima che la macchia nera si tuffasse nel fiume, passando nel punto dove fino a poco prima si trovavano le loro teste.
La bestia venne portata via dalla corrente.
-Quello era un orso. Quelli di queste zone hanno paura dell'acqua, al contrario degli altri. Non sanno nemmeno nuotare.- sollevò il suo braccio dalla vita e si alzò dicendo -Ti sei fatta male?-.
Lei fece segno di no e si alzò, spolverandosi i vestiti.
Si fermarono subito prima dell'alba, quando l'aria iniziava già a scaldarsi.
Camminarono per ore e ore in silenzio, senza rivolgersi la minima parola e quando arrivarono al limitare di un'area senza alberi si fermarono.
Mancava ancora molto all'alba.
-Ci siamo. Mettiti il mantello, in fretta- lui si tolse il cappuccio e riprese a camminare verso quello che sembrava un arco in pietra, proprio in mezzo alla zona libera. Lo seguì in mezzo all'erba alta, dove si sollevarono migliaia di lucciole bianche e sciamarono verso il cielo.
Quando lo raggiunse all'arco di pietra guardò all'interno dei due sostegni e strabuzzò gli occhi.
L'arco era circondato da quello che sembrava un sottile e largo nastro bianco, ma emanava dei sibili bassi e affilati. Si muoveva sinuoso nell'aria. Quando Lui si avvicinò ad esso sussurrò qualcosa che sembrava essere un sibilo cristallino e lieve.
La struttura si illuminò di bianco tra le crepe e gli spazi nella pietra. Un lieve vento scosse la zona, le lucciole volarono via del tutto, mentre all'interno della struttura incominciava a vedersi qualcosa di strano, quasi artificiale.
Attraverso l'arco poterono vedere il cielo, delle nuvole e qualcosa che lei aveva visto sono in un libro, forse una distesa d'acqua.
-Quello era il guardiano, fa in modo che nessuno entri in questo posto.- indicò qualcosa con il dito -È là che stiamo andando.-
Da lì si vedeva un villaggio non molto lontano, dove le varie case erano illuminate da delle luci azzurre, argentee e rosate, che cullavano il lento danzare per strada degli abitanti. Venne trascinata dentro dalla presa del ragazzo. Fu come passare attraverso a un velo di acqua gelida, ma senza bagnarsi.
Un momento prima si trovava in mezzo alla macchia d'erba e un momento dopo era in piedi su uno stretto sentiero roccioso di montagna, costeggiato da dei cespugli coperti da fiori bianchi che riflettevano alla luce della Luna così tanto da sembrare di madreperla. Lui iniziò a camminare verso il villaggio con passo sicuro e senza indugi. La via era ripida ma semplice da seguire.
Arrivarono al villaggio quasi mezz'ora dopo.
Le case erano in legno, basse e con un piccolo portico illuminato da candele, lanterne e pietre focaie, che brillavano tutte di rosso, azzurro, bianco e rosa tenue. I contadini in quel momento danzavano sul ritmo di una musica concitata e i bambini giocavano con le pietre focaie, si pitturavano il volto e vestiti con dei pigmenti luminosi e iniziavano a correre per le strade di terra compattata dal continuo camminare.
Si allontanò dalla sua guida e iniziò a camminare verso uno slargo al centro del villaggio, la piazza. Lì si trovavano degli uomini che suonavano strumenti in legno, lasciavano che la musica facesse correre i paesani senza fermarsi. Al centro della piazza si trovava una rete avvolta attorno a centinaia di lanterne di pergamena accese.
Sentì qualcuno che la trascinava per la vita verso il luogo da dove veniva la musica.
Sorrideva mentre sentiva la terra battuta scorrere sotto ai suoi piedi, il sorriso della sua guida davanti a lei e la musica che fluiva dolce e rapida allo stesso tempo, incalzante. Una danza veloce, allegra. Non se ne era neanche accorta ma era finalmente libera, era fumalmente riuscita a raggiungere l'unico luogo in cui aveva sognato di andare.
Era felice. Era fuori.
Aveva trovato un amico che per quanto silenzioso era stato l'unico a offrirle un modo per arrivare lì, al Festival delle Luci. Anche se era stato praticamente costretto.
Sorrise alla fine del ballo.
Liberarono le lanterne nel cielo. Quelle illuminarono il cielo in pochi secondi, si allontanarono nel vento e scomparvero.
Le persone intorno a lei sorridevano.
Era felice.
Era un la notte più bella della sua vita.
Si svegliò nel suo letto, in una piccola stanza con le pareti in legno.
Si era svegliata. Certo che non aveva senso, era un sogno.
Aveva sognato la sua fuga, aveva incontrato l'incontro con suo marito.
Era un bel sogno.
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Everything And Few
Cerita PendekQuesta piccola raccolta nasce da contest di scrittura, storie senza contesto e schizzi d'ispirazione. In questa raccolta troverete: -Storico; -Legal Drama; -Young Adult; -Song Fiction; -Fantasy Fiabesco; -Post Apocalittico; -Lettere;