CAP. 6

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CAP.6

Fa freddo! E’ la prima cosa che penso dopo essere uscita dalla macchina di mia mamma. Il parcheggio della scuola era vuoto, come una landa desolata nel Far West. Mi stringo le sciarpe (perché una non è abbastanza) intorno al collo e affronto quel freddo.

Sean mi ha invitata ad un suo allenamento di football. Fa parte della squadra di football della scuola  e, dal momento che non abbiamo avuto  tempo di incontrarci nell’ultima settimana, abbiamo colto al volo l’occasione per discutere delle ripetizioni.  Ed ecco spiegato il motivo per cui sono stata costretta a tirare fuori il giaccone più pesante che avevo dall’armadio.

Mi dirigo lungo le scalinate , a pochi minuti dalla fine dell’allenamento. Non sono l’unica osservatrice. Ci sono un paio di madri dei giocatori e delle ragazze che riconosco essere cheerleaders fidanzate con alcuni ragazzi della squadra. Mi siedo e il freddo causato dal contatto con la pacca mi provoca un brivido che mi percorre tutto il corpo. Mi tremano le dita e i denti. Guardo verso il campo e non posso fare a meno di cercare il ciuffo biondo di Sean.                                                                                                                                                                        Scruto la ventina di ragazzi che occupano il campo in tutta la sua lunghezza e ad un tratto ecco che lo vedo: la maglietta risalta i muscoli tonici, il sorriso che illumina il viso da uomo, il ciuffo biondo ribelle. Ad un tratto sembra accorgersi di me, perché alza un braccio nella mia direzione e mi saluta. Io faccio lo stesso. Dice qualcosa ai ragazzi con i quali stava parlando, che scoppiano a ridere.  Scambia con loro quel saluto di cui solo i ragazzi sono capaci, con tanto di spallate e pacche sulle spalle, e corre verso le scalinate. Mentre sale, il ciuffo brilla alla luce dei lampioni ed è scosso dal vento che ha cominciato a volare. Devo essere sincera: è proprio bello.

Mi si avvicina, si siede e mi sorride.

-Ciao- mi saluta. –Ciao- rispondo io e mi sfrego gli avambracci con le mani visto che il vento ha reso le temperature ancora più polari. -Hai freddo?- mi chiede e io gli rispondo di no, ma il tremolio dei miei denti deve avermi tradito dal momento che lui mi appoggia sulle spalle un giubbotto di cui mi accorgo solo in questo momento. E’ davvero caldo, con il pelo dentro.                                                                                                                                                              –Grazie-  gli dico e lui fa un cenno con il capo mentre appoggia i gomiti sulle ginocchia. –Allora- dico- come vuoi che facciamo con le ripetizioni? Perché abbiamo tanto da recuperare , e le materie sono tre e non per niente facili. Si potrebbero fare il biblioteca, oppure a casa mia o se tu vuoi a casa tua. Stavo pensando a tre giorni a settimana, incontri da due ore e non di più. Il giovedì no perché ho lezione di violina ma…- - Frena, frena. Fai lezione di violino?- -Si, da quando avevo 7 anni. Mi aveva costretto mio papà ma dopo ha cominciato a piacermi e quindi ho continuato. E’ bello ma…- e sto per continuare il mio lungo monologo quando lui appoggia le sue mani sulle mie, e il mio cuore perde un battito.                                                                                                                     –Stai parlando a macchinetta, te ne rendi conto?- dice con un sorriso. Oh cacchio! Me ne rendo conto solo ora. Allora prendo un  bel respiro. –Scusa,  mi capita quando sono nervosa…- dico un po’ imbarazzata. – sei nervosa?- mi chiede e continua a tenere i palmi appoggiati sui miei.        –NO. Si. Forse, boh.- rispondo e lui scoppia a ridere . Io non posso fare a meno di fare lo stesso e ci ritroviamo a ridere come due scemi con tutti che ci fissano. Riusciamo, però, fortunatamente a riprenderci.                                                                                                                                                                 –Per me va bene, 3 giorni a settimana e decidi pure tu quando. Per il dove potremmo fare a ruota. Una volta da me ,una volta da te e una volta in biblioteca. E quale materia fare possiamo…- sta dicendo quando il cellulare mi squilla. Guardo il numero sul display, e vedo che a chiamarmi è Penn. Lo guardo con un sorriso di scuse e rispondo.

-Dobbiamo parlare.- dice  -ok, sono al campo della scuola-e attacca. La conversazione più breve della storia.

-Era Penn. Dobbiamo parlare. Viene qui.- quando finisco la frase sembra deluso ma si riprende subito. -Si tranquilla, tanto io devo andare. Ci vediamo scuola.- dice e si alza velocemente. Dice un altro ciao e se ne va nella notte, mentre il buio lo avvolge.                                                                           Aspetto un paio di minuti e arriva Penn. La prima cosa che mi chiede è –E quello?-, indicando il giubbotto di Sean che ho ancora sulle spalle.

Insieme, senza pauraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora