Capitolo 14 - Eden

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«Ti accompagno a casa» mi dice Jason avvicinandosi.

Lo allontano con una mano e mi appoggio ad una trave per non cadere.

«Eden le persone che si suicidano lo fanno perché è una loro scelta, non sono obbligati, se tu sei qui vuol dire che sei abbastanza intelligente da capire che non ne vale la pena» continua cercando di tranquillizzarmi.

«Ah si? E che mi dici di tutte le persone usate come cavie? O di tutte quelle persone facilmente condizionabili che sono morte?» Domando aspra.

«Non viviamo nel regno di cenerentola Eden. Dovresti averlo capito già da tempo» risponde guardandomi freddo.

«Credi che il governo ci protegga? Credi davvero alla storiella che ti hanno ficcato in testa sin dall'asilo? Stanno giocando, mentre le persone muoiono il cibo di chi è più ricco aumenta, noi siamo solo le pedine» continua.

Lo guardo sconvolta e sento gli occhi bruciarmi, so che sto per piangere, ma non verserò una lacrima davanti a lui. Mi sembra di avere una corona di spine attorcigliata al collo.

«Quanti ce ne sono stati oggi?» Domando con la voce spezzata.

«Eden...»

«Ti ho chiesto quanti ce ne sono stati» insisto.

«Hanno superato gli ottocento» dice sussurrando Jason.

«Quindi tutte le prove della teoria LAD sono false?» Domando ancora.

«No, anzi, le prove pubblicate sono vere. E la teoria potrebbe essere vera come potrebbe essere falsa, magari davvero le persone adesso stanno vivendo la loro miglior vita. Sta di fatto che questo meccanismo non viene usato per fare del bene, non si scambiano vite» mi risponde.

«Come minimo il cibo basta per tutti» commento esasperata.

«Non esattamente, la gente in periferia muore di fame, le persone agiate possono permettersi il minimo indispensabile mentre Elon Smith organizza banchetti con i capi del governo con abbastanza cibo in tavola per sfamare due Americhe» riferisce ancora.

Boccheggio in cerca di aria.

«Okay forse non era il momento più adatto per dirtelo» dice cercando di avvicinarsi.

«Quale potrebbe mai essere il momento giusto?!» Gli urlo contro, non riesco più a trattenere le lacrime, le sento scendere rigandoli le guance e regalandomi un sapore salato in bocca.

«Potresti non urlarmi contro per favore?» Mi domanda prendendomi i polsi.

«Allontanati» gli dico.

«Non urlarmi contro»

Non si è mosso, mi tiene ancora i polsi e mi guarda con sguardo glaciale, abbastanza freddo da decidere di calmarmi.

D'altronde non è colpa sua se le persone muoiono e lo stato ci sfrutta.

«Si, scusa» gli dico liberandomi i polsi.

«Andiamo, ti accompagno a casa» annuisco.


*********

Il tragitto è stato fatto in silenzio, io troppo turbata per parlare e Jason dev'essersene accorto perché non mi ha rivolto parola.
Meglio così.

Siamo arrivati nel mio quartiere, non mi sembra più così bello adesso che so che a pochi chilometri da qui delle persone si farebbero ammazzare per pochi grammi di pane.

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