𝐈𝐨 𝐀𝐯𝐞𝐯𝐨 𝐁𝐢𝐬𝐨𝐠𝐧𝐨

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Lunedì. Quanto odio questo giorno: dopo un weekend passato a casa, sotto le coperte, con una tisana e un buon libro sotto mano, la sola idea di uscire al freddo e al gelo per andare a scuola mi fa venire il voltastomaco. Se per di più devo andare in un luogo a dir poco confortevole e vedere persone alquanto antipatiche la voglia di uscire proprio mi passa. Ma purtroppo, ancora per un po', mi tocca andare. «Alexia muoviti! Se non ti sbrighi faccio tardi a lavoro» la voce soave (si fa per dire) di mio padre rimbomba per tutta la casa. Finisco velocemente di vestirmi: dopo aver rischiato di cadere mettendo dei jeans color pece e aver cercato per mezz'ora dentro l'armadio il mio amato maglione bianco, prendo il mio cappotto e il mio anello portafortuna e sono pronta ad uscire. Scendo le scale a chiocciola con il mio eastpack arancio in spalla, mentre cerco disperatamente nella tasca i miei auricolari. «Alla buon'ora, pensavo fossi morta» mi dice divertito mio padre «Sempre molto simpatico. Calcola che per fare un favore a te non mi sono neanche truccata» gli dico, riuscendo finalmente a trovare i miei auricolari. «Ma tu tesoro sei bellissima anche così, acqua e sapone» conclude abbracciandomi «Certo come no 'pa» sussurro tra me e me «E ora andiamo però, che sennò fai tardi» dico io, facendogli la linguaccia.

Mi dirigo verso l'enorme porta d'ingresso, cercando di scacciare via i brutti pensieri del lunedì mattina per tenere quel briciolo di buon umore che papà mi ha trasmesso. Percorro il vialetto che porta al cortile, salgo sulla Jeep lì parcheggiata e aspetto. Ogni tanto controllo l'orario sul mio cellulare e, a ogni minuto che passa, mi irrigidisco sempre di più. Papà conosce bene la mia fissa per la puntualità: purtroppo (o per fortuna) sono una persona estremamente precisa, odio arrivare in ritardo. Dopo cinque minuti buoni, durante i quali ho pensato diverse volte di scendere dalla macchina e andare a fare una scenata a mio padre, vedo una chioma argentata spuntar fuori dal vialetto. Non mi sono mai soffermata più di tanto a osservare mio padre ma, in quel preciso momento, nonostante fossi estremamente irritata e giusto leggermente alterata con lui, riuscii a vederlo con occhi diversi, con gli occhi di un'estranea, come se lo vedessi per la prima volta: era oggettivamente un bell'uomo. Alto, slanciato e, se non fossi a conoscenza della sua vera età, gli avrei dato si e no una quarantina d'anni. A fregarlo, però, erano i suoi capelli: ormai quasi tutti argentati, facevano ben capire che i quaranta li aveva ormai passati da un po'. "Beh, qualcuno potrebbe comunque pensare che si sia tinto di grigio" pensai ridendo. Man mano che si avvicinava alla macchina potevo osservarne i particolari: i due piccoli occhi di un colore a parer mio particolare, il sottile naso, le labbra carnose. Per non parlare del tatuaggio sul collo che si intravedeva dal suo dolcevita: rappresentava una piccola volpe sotto l'ala di un'aquila. Diverse volte gli avevo domandato il suo significato, ma puntualmente cambiava discorso. A risvegliarmi da questi pensieri fu il rumore della portiera. «Scusami tesoro, ma avevo dimenticato la borsa in camera da letto» disse allacciandosi la cintura «Possiamo andare?» «Certo» dissi, attaccando gli auricolari al mio cellulare e mettendone uno nell'orecchio. Scelsi una delle mie playlist e la scorsi velocemente: non trovando nulla di interessante nella play list good vibes, feci partire una canzone a caso. Nel mentre mio padre ricevette una chiamata di lavoro. Tutto il viaggio in macchina fu così: mio padre che parlava di un importante cliente che sarebbe dovuto passare oggi dal suo studio e io che ascoltavo canzoni a caso. Non so se sia per colpa della situazione o per le canzoni orribili che stavo ascoltando ma, il buon umore che tentavo di tenere, scomparve in men che non si dica.

Dopo circa venti minuti l'auto di mio padre si fermò. «Si aspetta Josh, ti metto un attimo in attesa» disse al suo assistente «Bene principessa, siamo arrivati». Appena pronunciò quella parola lo fulminai con lo sguardo «Quante volte ti ho detto che non mi devi chiamare così? Non ho più sei anni!» gli urlai quasi contro «Ok ok scusa, cercavo solo di essere gentile» mi disse lui, dispiaciuto «Ora però tranquillizzati e vai, non vorrai fare tardi» «Beh, se fosse per me non vorrei neanche scendere» dissi, roteando gli occhi «Senti Alexia ne abbiamo già parlato: devi arrivare almeno fino in quinta, poi potrai decidere tu cosa fare» «Beh si certo la fai facile tu, non sei stato obbligato ad andare in una scuola della quale non te ne frega nulla» «Oh santo ora non cominciare! Ho scelto la scuola che mi sembrava migliore per te» mi disse, alterando leggermente il tono della sua voce «Si ma ti ricordo che io e le lingue non siamo mai andate così d'accordo» «E invece andrete d'accordo per ancora due anni se non di più. E ora vai, scendi dalla mia auto che sennò arrivo in ritardo in ufficio.» Era arrabbiato, questo lo sapevo, ma desideravo più di ogni altra cosa che capisse che io in quella scuola non mi trovavo, non mi trovavo bene con i compagni, con i professori, persino con i bidelli; che odiavo le materie e quell'ambiente scolastico che mi andava così stretto. Lui non capiva che io avevo bisogno di compagni che mi capissero e mi supportassero, che non mi considerassero strana o sfigata; avevo bisogno di professori che mi spronassero a dare sempre il meglio di me e che non mi mettessero a disagio, paragonandomi sempre agli altri; avevo bisogno di materie che mi facessero venire voglia di imparare qualcosa di nuovo ogni giorno, e di un ambiente confortevole, da poter quasi chiamare 'seconda casa'; avevo bisogno di regole meno severe, che potessero aiutarmi a esprimere le mie idee e la mia creatività, piuttosto che sopprimerle. Ma a quanto pare, lui non lo capiva.

Scesi dall'auto, mettendomi velocemente anche l'altro auricolare nelle orecchie: pur di non sentire le voci irritanti di decine di adolescenti preoccupate per il trucco o per l'outfit, preferivo ascoltare canzoni a me sconosciute e che, a dir la verità, mi facevano un po' schifo. Mi soffermai un attimo sul marciapiede di fronte alla scuola. "Ma io come farò a sopravvivere ancora per due anni in questo luogo. Che Dio me la mandi buona per oggi e per le settimane, i mesi e gli anni a venire" pensai. Sentii in lontananza la campanella. Mi avviai velocemente all'entrata, cercando di mimetizzarmi nella massa. " Iniziamo questa settimana da schifo" mi dissi.

🧩spazio autrice🧩

Buon pomeriggio gente, come va? Eccoci finalmente qui, al primo vero e proprio capitolo. Dico la verità, ho molto lavorato su questo capitolo, essendo comunque il più "vecchio". Ho dovuto riscriverlo un milione di volte. Per vostra sfortuna, o fortuna (dipende dai punti di vista), ho la mania di scrivere veramente tanto, dunque i capitoli saranno sempre abbastanza lunghi. Detto ciò non voglio dilungarmi più di tanto, quindi vi do appuntamento a sabato, con un nuovo capitolo!

Ada

Essential Souls - 𝑳𝒐𝒖𝒊𝒔 𝑷𝒂𝒓𝒕𝒓𝒊𝒅𝒈𝒆 [SOSPESA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora