Vivere di notte

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02/11/2020 Roma N.2

Indirizzata a Me, Me stesso e Me medesimo

Ed eccomi ancora qui, al bar dietro lo studio per prendermi l'ennesima dose di caffeina, accompagnata da un insieme di latticini condensati e montati (panna) e con quasi assoluta assenza di glucosio o saccarosio (zucchero). Sento come sempre a malapena la spinta necessaria per sopravvivere per altre poche ore, prima che il sole tramonti e inizi la parte meno brutta della giornata, anzi, oserei dire quasi che mi piace un sacco. Appeso alle maniglie dell'autobus, sfoglio molto velocemente il mio quadernino degli appunti che porto con me ogni volta che vado in studio per lavorare, annotandomi tutto ciò che c'era da sapere sui miei pazienti; non che ce ne fosse veramente bisogno, ma almeno ho trovato un modo per rendere più concreto il mio dono. Richiudo con calma il taccuino passando i miei polpastrelli su quella copertina semirigida dove era cucito in stoffa il simbolo della Triforza. Scendendo dall'autobus mi rendo conto che il sole sta per tramontare, il che è un buon segno dato che si sta per avvicinare la sera. Mi incammino per la strada di casa, osservando l'umidità del prato lì intorno accompagnata dal riflesso di una luce arancione, tipica di quando il sole tramonta; fu proprio in quel momento che decisi di canticchiare una canzoncina a me tanto cara, anzi, sarebbe più corretto dire una ninna nanna. Percorro le ultime due curve prima di trovarmi di fronte al portone di casa, immaginando come sarebbe più consona alla mia situazione, la filosofia di Kierkegaard rispetto a quella di Hegel, almeno in questo momento, ma ormai so di soffrire di un leggero bipolarismo, che come sempre ha scosso le mie emozioni ma non i miei principi. Mi trovo davanti a quel cancello, mentre cerco le chiavi giuste in mezzo a tutti quei portachiavi e ciondoli che mi portavo continuamente dietro. Appena entro nel vialetto di casa, vedo Timo che mi aspetta fuori dalla porta, seduto con due occhi dalla pupilla a dir poco enorme per poi saltarmi addosso dalla felicità pochi attimi dopo. Lo prendo in braccio accarezzando il suo morbido pelo arancione e portandolo a casa con me, pensando che oggi avrò l'ospite a cena più gradito degli ultimi mesi, o forse anni. Chiudo la porta a chiave prima di aprire tutte le saracinesche di casa, mentre penso all'energia che ha avuto Timo nel farmi le feste davanti alla porta, rendendomi conto della sua completa spensieratezza e felicità, che da una parte invidio e dall'altra no. Mentre preparo una piccola cuccia per Timo, usando una coperta e un paio di cuscini, inizio a pensare a cosa preparare da mangiare per stasera, visto che le ragioni per esistere stavano per finire di nuovo. Ad un tratto, la luce di una stella illumina la mia dispensa, precisamente una bottiglia di latte, e fu così che decisi di affidarmi a quel corpo celeste preparando una gran ciotola di latte per quel bellissimo gatto, e per me un cappuccino caldo con dei biscotti al cioccolato, anche per ripristinare la dose serale di caffeina. Finita la cena mi faccio accompagnare da Timo al piano di sopra, per organizzare e piegare i vestiti che avevo lavato e stirato questa mattina. Scoccata la mezzanotte, prendo un paio di coperte e di cuscini per dirigermi verso la camera da letto, e ovviamente non parlo di quella dentro casa, ma parlo del mio giardino, dove puntualmente mi metto a "dormire" ogni notte. Sistemati sull'umida erba con le lenzuola calde, ha inizio un dialogo tra me e Timo: <Timo, hai mai pensato a cosa voglia dire la parola "dormire"?>. <Meow!> disse quell'intelligente gattino. <Wow, che pensiero profondo. Io invece penso che il dormire non sia come tutti credono, ossia uno stato di incoscienza, anzi, penso che il verbo dormire attesti proprio che una persona riesce a vivere di notte. Questa parte della giornata è la mia preferita; ho sempre adorato la versione notturna delle persone, così fragili, dolci e sensibili, che tutto il resto intorno non conta nulla. Per questo preferisco non essere legato a nessuno; tutti ormai sono solo in grado di vedere le chiare e lucide luci del sole, tutti che vivono solo di giorno disprezzando la notte e la sua benedizione. Ormai ho abbandonato quel mondo, io appartengo a questo. Nasco appena tramonta il sole e muoio appena esso sorge; forse un giorno, quando mi trasformerò in cenere, potrò risorgere come una fenice, ma questo non lo so ancora. Ho capito tutto ciò nel giorno in cui ho capito che il senso della mia vita sono io e basta, infatti, al di fuori di noi stessi, possiamo trovare una ragione per cui vivere o per lo meno sopravvivere? Ed è proprio per questo che non trovare una risposta a questa domanda, equivarrebbe ad essere morto>. <MEOOOOOWWWWWW> disse Timo, come se quel discorso che ho fatto gli fosse piaciuto tanto, infatti non passò molto prima che si arrampicasse sui miei capelli per dormirci sopra. Fu quello il momento in cui mi resi conto di dover aspettare di nuovo l'alba da solo.

Le lettere occasionali di Giacomo PietraliceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora