『 CAPITOLO DICIASSETTE 』

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Hwanwoong osservò il moro con gli occhi spalancati e colmi di ansia, non sapendo come reagire né tantomeno cosa dire.
<C-come...?> chiese con un filo di voce tremante, stringendo il più possibile il busto coperto dall'armatura.

Il solo pensiero che la loro normalità sarebbe potuta venire spazzata via, distrutta...aprì nel petto della sirena una voragine senza fondo e scura come la notte tenebrosa.
<M-ma tu...tu non gli dirai nulla, vero? I-io non voglio perderti.> disse singhiozzando e stringendo di più l'amato in un abbraccio pieno di timore e paura.

Youngjo accarezzò placidamente la nuca bionda dell'altro, passando le dita magre tra le ciocche color del grano. Un piccolo sorriso malinconico gli si dipinse in viso.
Non avere la certezza di ciò che il padre volesse dirgli aveva contribuito alla crescita esponenziale delle sue paure, non lasciandolo tranquillo neanche un secondo.

Il moro strinse ancora di più la sirena cercando di trasmettergli tutto l'amore provato per lui, impossibile da esprimere a parole.
<Ovvio che non gli dirò niente...spero solo che mi creda.> disse con un sospiro, mentre portava lo sguardo pieno di lacrime verso il cielo azzurro come l'acqua del laghetto affianco a loro.

Hwanwoong tirò su con il naso, accarezzando con una manina tremante le guance calde del corvino.
<C-credo in te, okay? Ce la p-puoi fare.> sussurrò stringendolo sempre più forte con il braccio libero, come a voler imprimere la forma delle sue mani nel torace muscoloso che lo faceva sentire a casa.

Youngjo annuì poco, chiudendo gli occhi e lasciando che una piccola lacrima salata scivolasse sul suo viso candido, in netto contrasto con la pelle abbronzata del compagno.

I due innamorati passarono così il pomeriggio, stretti l'uno all'altro scaldandosi con il proprio calore naturale e con la costante paura che quello potesse essere il loro ultimo giorno insieme.

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<Padre, mi avevi chiamato?> chiese Youngjo stringendo i pugni per impedire alle sue mani di tremare di fronte al genitore severo che si s tagliava imponente di fronte a lui in tutta la sua autorità.

L'uomo annuì, indicando con un cenno del capo una delle due sedie in pelle poste davanti al camino del salotto illuminato dal sole, ben diverso dallo scantinato buio e umido dove di lì a poco avrebbe spostato l'incontro.

Il corvino ubbidì, prendendo posto nella seduta più vicina all'uscita così che, in caso di necessità, sarebbe potuto scappare al più presto.

Il maggiore cominciò a camminare per tutta la stanza lanciando di tanto in tanto sospiri profondi, facendo aumentare a dismisura i timori del figlio.

Dopo una decina di minuti, Youngjo si alzò di scatto dalla sedia andando a fronteggiare l'altro.
<Padre, io avrei anche altro da fare piuttosto che rimanere qui a vederti camminare avanti e indietro senza spiccicare parola. Quindi scusami ma me ne vado.> ringhiò il moro a pochi centimetri di distanza dalla faccia dell'uomo che l'aveva messo al mondo, non suscitando però alcuna reazione.

<È così che stanno le cose? Bene. Vieni con me.> disse il signore, prendendolo per il polso per trascinarlo velocemente giù da scalinate ripide in legno cigolante.

Youngjo, guardandosi intorno, riconobbe la "stanza dei trofei" di suo padre, un locale che avrebbe voluto solo dimenticare e non metterci più piede.
<Perché siamo qui? Sai bene che odio questo posto.> disse con decisione il minore, incrociando le braccia per impedirgli di tremare e tradire la maschera di indifferenza e rabbia che aveva indossato apposta per l'occasione.

L'uomo si sedette sulla sedia barcollante all'estremità di un tavolo bucato a causa dei tarli, addossato alla parete opposta al muro dei macabri trofei collezionati.
<Prendi posto. E non farmelo ripetere due volte.> annunciò serio il maggiore, fissando la sua progenie con tutto l'odio presente nell'animo umano.

𝘙𝘦𝘥 𝘛𝘩𝘳𝘦𝘢𝘥 // 𝙊𝙣𝙚𝙪𝙨 [☑]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora