Chi sono?

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[LEXA]

C'è qualcosa nell'oscurità che mi attrae.
Non ne posso fare a meno.
Le gambe non si muovono,
gli occhi spalancati non vedono nulla,
le mani tremanti davanti a me non trovano niente.
Il respiro corre affannato a cercare qualcosa che non sente,
eppure il mio cuore sordo batte più forte;
batte perché percepisce qualcosa,
batte perché qualcuno lo chiama.
Si batte al posto mio,
perché da sola non sopravvivo.

In principio fu rumore.
Un colpo di pistola. Le loro armi.
Poi fu luce.
Un accecante raggio di sole che penetrava dalla finestra.
Poi fu caldo.
Dritto allo stomaco. Un'eruzione di calore improvvisa.
Poi fu freddo.
Un lungo brivido costante in tutto il corpo.
Poi fu buio.
Gli occhi spalancati non videro più nulla.
Infine fu silenzio.
Quella voce tremante di pianto che si allontanava.
Quelle mezze parole senza ormai orecchie da raggiungere, lasciate a mezz'aria nella stanza.


Un flash.
Un lamento lontano.
Buio.
Qualcosa si attiva nella mia testa.. Un pensiero.. Respira.. Devi respirare.
Un'altro flash.
Di nuovo quel lamento.
Un'altro pensiero si fa strada nella mia mente intorpidita.
Apri gli occhi.. Devi aprire gli occhi.
C'è solo oscurità intorno a me.
Ma dov'è poi questo me? Cos'è questo me? Cosa sono? Chi sono?
Sento il bisogno di deglutire. Provo ad aprire un occhio.
La palpebra è incollata.
Sento un rumore.
C'è qualcuno?
Dei passi leggeri si avvicinano a me. Un tocco gentile mi sfiora il viso. Qualcosa di bagnato mi sfiora gli occhi, come fosse un panno umido.
"Sei sveglia? Riesci ad aprire gli occhi?".
Qualcuno mi sta parlando.
"Non avere paura, non voglio farti del male".
È una voce calda.
Decido di fidarmi e riprovo ad aprire gli occhi. Macchie di luce si insinuano tra le mie ciglia impastate.
Di nuovo il panno umido passato sui miei occhi con delicatezza.
"Riprovaci..".
Provo di nuovo, stavolta cercando di insistere un po' più a lungo.
Apro gli occhi per qualche secondo e tutto è sfuocato. Li richiudo automaticamente mentre il panno passa ancora una volta sul mio viso, cercando di ripulire gli occhi incrostati.
Finalmente tutto appare abbastanza nitido ora.
La luce accecante di qualche istante fa, non è altro che quella fioca di una candela vicino al mio viso.
Mi guardo intorno, ma nulla mi sembra famigliare.
"Vuoi provare ad alzarti?".
Di fronte a me una ragazza mi tende le mani. "Tranquilla, non voglio farti del male" ripete.
Cerco di alzare il braccio ma non mi risponde. 
In realtà non sento nulla del mio corpo.
Ma ho un corpo?
La ragazza sembra accorgersi dell'angoscia che mi sta invadendo e cerca di calmarmi.
"Tranquilla, un passo alla volta.. Sei solo molto debole.. Devi mangiare", mi rassicura.
La vedo allontanarsi di qualche passo e armeggiare con delle ciotole.
Mi guardo in giro e sono così confusa. Nulla di ciò che mi circonda mi sembra famigliare.
Dove sono?
Perché sono qui?
Come ci sono arrivata?
La ragazza ricompare con in mano una ciotola fumante di qualche brodaglia.
Dall'odore sembra buono.
Mi aiuta ad alzarmi leggermente, in modo da permettermi di ingurgitare il contenuto della ciotola senza rischiare di soffocarmi.
L'operazione richiede diversi minuti.
Con un cucchiaio raccoglie un po' di quel brodo fumante.
Lo porta vicino alla sua bocca e ci soffia su prima di avvicinarlo alla mia.
Apro leggermente le labbra, e solo questo movimento mi richiede una notevole dose di energia fisica che però non ho.
Fitte di dolore alla mascella si materializzano all'improvviso, facendo rovesciare quel poco di brodo contenuto nel cucchiaio.
Le lacrime scendono da sole dai miei occhi senza che io possa interromperle.
La ragazza passa il dorso della sua mano sulle mie guance e sorridendomi cerca di tranquillizzarmi ancora.
"Sta tranquilla.. hai dormito per molte settimane.. all'inizio pensavo fossi morta.. è normale che ora tu faccia fatica a fare tutto.. devi solo concederti del tempo.. vedrai che migliorerai presto..", mi sorride.
Un altro flash.
Improvviso.
Inaspettato.
Quel sorriso l'ho già visto, solo non ricordo dove e non ricordo chi sia questa ragazza.
La guardo negli occhi, come a cercare qualche risposta alle mille domande che mi assillano, ma non trovo niente.
"Vogliamo riprovarci?", mi chiede allungando il cucchiaio di nuovo.
Apro la bocca. Questa volta sono preparata alla scossa di dolore che si rifà viva, la sopporto e ingoio il liquido caldo.
È buono e sento il suo calore scendere giù per la gola e riscaldarmi le viscere. Apro la bocca nuovamente e lei sembra soddisfatta.
Riesco a mandar giù quasi metà del contenuto della scodella, prima di sentirmi sazia come dopo un pranzo da otto portate, e la ragazza sembra soddisfatta.
Mi sorride e io sento il bisogno di ringraziarla. Sposto la mano e la alzo appena, giusto quel che serve per appoggiarla pesantemente sulla sua.
Mi guarda con un gran sorriso e si complimenta con me.
"Brava! Hai visto che non c'era da preoccuparsi? D'ora in poi andrà sempre meglio, vedrai..".
Voglio provare a parlare.
La guardo fissa negli occhi e apro nuovamente la bocca. Ciò che ne esce è un rantolo senza senso, con suoni distorti.
Deglutisco.
Riprova!
"Gra.. graz.. grazie..", riesco a dirle.
"Non c'è di che.." mi sorride.
"Dove.. dove siamo?" domando, guardandomi nuovamente in giro.
"Siamo nella città della luce.." sospira quasi desolata.
"Co.. come.. come ti chiami?" domando.
Un velo d'ombra sembra scendere sui suoi occhi color nocciola.
"Non ti ricordi chi sono?" mi chiede.
La guardo ancora per qualche istante prima di scuotere leggermente la testa.
Mi scruta socchiudendo gli occhi.
"Ti ricordi come ti chiami?" mi chiede.
Un'ondata di panico mi invade ogni fibra del corpo. Come mi chiamo? Come faccio a non saperlo?
Comincio a tremare in modo violento e lei cerca di calmarmi sedendosi sul letto e stringendomi in un abbraccio che non mi permette di muovermi.
"Tranquilla, la memoria tornerà come le tue forze.. devi solo avere pazienza.. tranquilla".
È pensierosa ora. Sembra preoccupata da qualcosa.
"Che cosa.. che cosa mi è successo?" domando tra i singhiozzi.
"Lo scopriremo insieme, tranquilla..".
Rimango ancorata tra le sue braccia forti fino a quando non mi calmo.
Sento la stanchezza tornare prepotente sui miei occhi e sui miei pensieri. Lei sembra accorgersene e si tira indietro da quell'abbraccio fraterno aiutandomi a sdraiarmi.
Mi copre con la coperta prima di accarezzarmi la fronte e allontanarsi. La mia mano trattiene la sua e la obbliga a girarsi nuovamente.
"Non mi hai detto chi sei", sospiro.
Lei sorride come a volermi tranquillizzare.
"Anya.. io sono Anya..".
"E chi.. chi sono io?", le domando.
Mi guarda per qualche istante e poi affida ad un sussurro leggero il mio nome, prima che il sonno torni definitivamente a portarmi via.
"Lexa".

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