Condanna

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[CLARKE]

I giorni sono passati inesorabili.
Tutto sembra muoversi a rallentatore.
I granelli di polvere fluttuano leggeri nell'aria, resi visibili da quell'unico raggio di sole, che penetra dalla finestra davanti a te.
Danzano placidi nell'aria, inconsapevoli della fortuna che hanno.
Inconsapevoli del fatto che il loro lento ed inesauribile cullarsi, li farà incontrare infinite volte ancora, prima che il loro viaggio volga al termine.
Prima che il loro ultimo ballo si esaurisca, posandosi da qualche parte.
Perché non possiamo essere anche noi polvere, Lexa?
Perché siamo costrette a rincorrerci e a perderci nuovamente?
Perché non ci è concesso amarci?
Cosa abbiamo sbagliato?
Per quale peccato stiamo pagando?
Sono seduta sul divano che usi come letto, e riesco a sentire il tuo profumo.
Una crepa si forma subito nel mio cuore. L'ennesima.
Poso gli occhi sulla tua schiena.
Da quando hai rivelato il piano di Becca e ciò che ne comporta per te, non mi concedi che quella.
Sfuggi ad ogni mio sguardo.
Ad ogni mio tocco.
Ad ogni mio sussurro.
A fatica parli, quando siamo entrambe nella stessa stanza.
Manchi.
Manchi a questo mio corpo e manchi a questa mia anima.
Manchi a questo mio respiro vuoto.
Manchi a queste mie mani inermi.
Manchi a questo cuore in frantumi.
Ti guardo e tu non mi senti.
Sono di nuovo invisibile ai tuoi occhi.
Al tuo cuore.
Sono invisibile al tuo amore.
E la sento la tristezza.
La sento l'oscurità che torna ad abbracciarmi, come farebbe una vecchia amica.
Chiude il suo abbraccio su di me, ed un brivido di terrore mi percorre il corpo.
"Cazzo!".
Mi desto di colpo alle imprecazioni di Raven.
"Che succede?", domanda Lincoln.
"Questo fottutissimo computer si continua ad impallare.. e senza di lui siamo spacciati..".
"Non lo puoi sistemare?", domanda di nuovo Lincoln.
"Non lo so.. se avessi un'altra scheda madre, proverei con quella.. ma è stato già un miracolo trovare questo computer.. non credo ne troveremo altri qui intorno..", sbuffa Raven.
"Potremmo spingerci un po' più in città.. magari lì troveremo qualcosa..".
Rimaniamo tutti e tre in silenzio.
Ci guardiamo tra noi, come a chiederci conferma l'un con l'altro se la voce che ha parlato poco fa, sia davvero la tua.
Ti volti.
Come puoi essere così dannatamente bella anche in questa tua freddezza?
Come riesci a catturarmi così, nonostante il dolore che mi provochi?
Sei consapevole, Lexa?
Conosci realmente il male che mi fai?
Lo comprendi?
"Non possiamo rimanere qui ancora per molto.. il tempo sta scadendo.. dobbiamo darci una mossa..".
Lincoln ti guarda.
"Quando vuoi partire?", domanda.
"Io e Raven partiremo domani mattina..".
"Tu e Raven? E noi cosa dovremmo fare nel frattempo?", sibilo gettandoti addosso il mio sguardo più glaciale.
Aspetti una frazione di secondo prima di ricominciare a parlare.
Lo sguardo fisso su Lincoln.
Non esisto più.
"Tu mi servi qui..".
Lincoln ti fa un cenno del capo e tu ti volti uscendo dalla porta.
"Tutto qui?.. a te sta bene rimanere qui?", gli domando con rabbia.
Ma non sono realmente arrabbiata con lui.
Sono arrabbiata perché detti legge.
Sono arrabbiata perché sia Lincoln che Raven fanno esattamente quello che dici.
Sono arrabbiata perché mi hai esclusa ancora una volta.
"Devi studiare il procedimento dell'Ascensione, Clarke..", risponde Lincoln.
"E poi faccio prima a cercarmela da me la scheda madre, anziché stare qui a spiegarvi come è fatta..", si aggiunge Raven.
Non sopporto essere estraniata dalle decisioni, ma so che quello che stanno dicendo è vero.
E so che il reale motivo per cui mi vuoi qui con Lincoln, è perché mi vuoi al sicuro.
Sbuffo.
Prendo il libro della cerimonia che mi ha consegnato Titus, e mi getto sul letto.
Mi immergo svogliatamente nelle parole scritte a mano.
E piano piano mi dimentico del mondo che mi circonda.



[LEXA]

Ho bisogno di aria.
Sento chiudersi la porta dietro di me.
Salgo le scale tre gradini alla volta.
Se non altro, è un buon metodo per mantenersi in forma.
Arrivo alla porta che da sul tetto.
Il fiato rotto per lo sforzo.
La apro di colpo, e d'istinto la richiudo dietro di me.
Faccio qualche passo, rasente al muro, per allontanarmi da quell'unica barriera che mi separa da te.
Mi fermo poco più in là.
Una porta attira il mio sguardo.
Non le ho mai prestato attenzione, ma ora attira la mia curiosità come una calamita.
Un cartello appeso di fianco mi avverte di fare attenzione.
Mi avvicino incuriosita, e provo a guardare dentro.
Ma è tutto buio.
Il mio volto sfigurato dallo sforzo, è l'unica cosa che vedo riflessa sul vetro della porta.
Un misero rettangolo di vetro.
Guardo quegli occhi che insistenti continuano a fissarmi.
Mi accusano.
Li vedo, mentre mi scrutano l'anima e mi giudicano.
Sento il loro peso dentro di me.
Sento le loro mani afferrarmi le viscere, e farle contorcere.
Sento mentre mi squarciano cuore e mente, e rubano ogni mio più intimo ricordo di te.
Ogni mia singola goccia d'amore per te, viene pesata. Viene giudicata.
E viene trovata insignificante.
Sorridono quegli occhi.
Si prendono gioco di me.
Un ruggito si desta dalla bocca del mio stomaco. Eccola.
La Bestia si risveglia.
La sento stiracchiarsi i muscoli.
La sento arruffare il pelo.
La sento vibrare di rabbia.
È pronta ad esplodere.
Aspetta solo che io la liberi dalla sua gabbia.
Aspetta solo che io la lasci libera di agire.
Di decidere al posto mio.
Fisso ancora per un secondo quegli occhi.
Il ricordo delle tue labbra si fa prepotente nella mia testa, e la lingua corre subito ad inumidire le mie labbra, ormai troppo secche.
Che cosa sto facendo?
Perché proprio io?
Perché non mi hai salvata, Clarke?
Perché ti sei arresa?
Perché non hai saputo amarmi fino alla fine?
Asciugo con il dorso della mano, le lacrime che prepotenti mi rigano il viso.
Ed è lì che esplodo.
Rivedo quegli occhi freddi.
Rivedo quell'unica cosa che può ancora annientarmi in questo momento.
Vedo te.
Un ruggito.
È libera.
Ancora tu.
Un secondo ruggito.
Affonda i suoi artigli nella carne della sua sciocca preda.
Di nuovo tu.
Il tuo sguardo deluso fisso su di me.
Un terzo ruggito.
Più forte.
Più lungo.
Più doloroso.
Le zanne riducono a brandelli quel che rimane di quel corpo inerme.
Non mi rendo esattamente conto di quello che ho fatto, fino a quando non sento il rumore del vetro frantumato a terra.
Non mi rendo esattamente conto di avere la mano coperta di sangue, fino a quando non la porto davanti agli occhi.
Diversi tagli lasciano uscire il mio sangue nero in maniera copiosa.
Ne osservo uno che dal palmo della mano scende fino a dopo il polso.
Osservo le gocce scure uscire copiose ad ogni pulsazione del mio cuore, e scivolare lungo il mio braccio.
Lo accarezzano, prima di cadere a terra.
Non sento dolore.
Sento solo il mio corpo tremare.
Tutto intorno a me diventa sfuocato.
Lontano.
Ovattato.
E poi tu.
Le tue labbra.
I tuoi occhi.
La mia condanna.



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