Capitolo 4: Imprevisto sul più bello

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Sentivo il mio stomaco arricciarsi e stringersi e ebbi paura che stesse per esplodere

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Sentivo il mio stomaco arricciarsi e stringersi e ebbi paura che stesse per esplodere.

Stavo per rivedere i miei genitori finalmente.

Eppure più salivo le scale, più sentivo il senso di colpa aumentare.

Li avevo lasciati per mesi pieni di paura e malinconia e quando avevo riacquistato le mie memorie non mi ero nemmeno degnato di fargli sapere, anche solo con una piccola riga di lettera o una chiamata di cinque secondi, che ero vivo e che stavo bene.

<<Sei più tesò di una corda di violino e eppure sono i tuoi genitori! Figurati se non lo fossero stati>> cercò di sdrammatizzare Jason ma non riuscii a calmarmi più di tanto.

Sapevo che sarebbero stati arrabbiati e ne avrebbero avuto tutti i diritti, non avevo scuse e meritavo il senso di colpa e il dolore che mi stava soffocando.

Per molti tempo sono stato egoista e nemmeno me ne sono accorto, ma succede spesso.

Fai una cosa sbagliata credendo di farne una giusta e la gente attorno a te soffre.
Quando te ne rendi conto, però, è troppo tardi perché ormai il danno è fatto; hai fatto del male ad altri per fare del bene a te stesso.

Quando ti senti in colpa puoi solo alzare il capo e continuare la tua strada cercando di sopprimere quella insistente e agitata sensazione.

<<So che non è di grande aiuto dirlo da parte mia, ma guarda anche un po' il lato positivo>> iniziò Jason una volta aver visto che non avevo intenzione di calmarmi.

<<E sarebbe di grazia?>> chiesi irritato e sarcastico salendo le rampe di scale del quarto piano.

Paul e la mamma avevano cambiato appartamento da quale che ne sapevo.

Avevano deciso di convivere ufficialmente e di affittare un umile appartamento in un piccolo palazzo di New York.

Quest'ultima era una città molto grande e i suoi palazzi avevano molti appartamenti, cosa che a mia madre non piaceva, quindi Paul aveva trovato un piccolo appartamento in un palazzo meno grande degli altri con soli cinque piani.

Loro abitavano a quello più alto ed era una fatica salire senza ascensore, ma non riuscivo nemmeno a guardarlo che mi veniva da dimenarmi.

<<Stai per rivederli e loro sapranno finalmente che stai bene>> finì Jason mentre cinque gradini ci dividevano dal quinto e ultimo piano, la nostra destinazione.

Non dissi nulla e il figlio di Giove sospirò.

Mi fermò prendendomi una spalla e lo guardai confuso.

<<Avevamo una missione, Percy>> disse leggermente più duro di prima.

<<E con questo? Potevo degnarmi di una chiamata, siamo stati in Grecia e a Roma. L'ultima volta che ho controllato lì c'era almeno un telefono pubblico>> sbottai senza alzare troppo la voce per non disturbare i vicini.

<<Non puoi darti colpe che non hai, Perseus!>> esclamò indignato e arrabbiato e inarcai un sopracciglio.

<<E ora come diavolo sai il mio vero nome, Jason Grace?!>> domandai scettico e una risata gli uscì dalle labbra accompagnata dalla sua espressione incredula.

<<Ma se lo dice ogni singolo divinità che incontriamo. Ormai lo saprà tutto il mondo mortale e non>> mi rispose alzando le spalle e poi indicando le scale con gli occhi.

<<Ormai siamo arrivati, muoviti e cammina>> mi disse per poi sorpassarmi.

<<Grazie mille>> borbottai sarcastico prima di seguirlo a mia volta.

Me ne stavo pentendo ma ormai ero lì.

Il mio dito schiacciò il secondo campanello ovvero quello della porta di ingresso di casa e aspettai con ansia.

Quando la porta di casa si aprì rivelò... un uomo con una banda nera sull'occhio?!

Ma cosa...?

Angolo meCome state ragazzi? Io tutto bene

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Angolo me
Come state ragazzi? Io tutto bene. Scusate per come vi ho lasciato nello scorso capitolo e in questo.
Se io capitolo vi è piaciuto commentate e votate e alla prossima!

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