Sentivo il mio stomaco arricciarsi e stringersi e ebbi paura che stesse per esplodere.
Stavo per rivedere i miei genitori finalmente.
Eppure più salivo le scale, più sentivo il senso di colpa aumentare.
Li avevo lasciati per mesi pieni di paura e malinconia e quando avevo riacquistato le mie memorie non mi ero nemmeno degnato di fargli sapere, anche solo con una piccola riga di lettera o una chiamata di cinque secondi, che ero vivo e che stavo bene.
<<Sei più tesò di una corda di violino e eppure sono i tuoi genitori! Figurati se non lo fossero stati>> cercò di sdrammatizzare Jason ma non riuscii a calmarmi più di tanto.
Sapevo che sarebbero stati arrabbiati e ne avrebbero avuto tutti i diritti, non avevo scuse e meritavo il senso di colpa e il dolore che mi stava soffocando.
Per molti tempo sono stato egoista e nemmeno me ne sono accorto, ma succede spesso.
Fai una cosa sbagliata credendo di farne una giusta e la gente attorno a te soffre.
Quando te ne rendi conto, però, è troppo tardi perché ormai il danno è fatto; hai fatto del male ad altri per fare del bene a te stesso.Quando ti senti in colpa puoi solo alzare il capo e continuare la tua strada cercando di sopprimere quella insistente e agitata sensazione.
<<So che non è di grande aiuto dirlo da parte mia, ma guarda anche un po' il lato positivo>> iniziò Jason una volta aver visto che non avevo intenzione di calmarmi.
<<E sarebbe di grazia?>> chiesi irritato e sarcastico salendo le rampe di scale del quarto piano.
Paul e la mamma avevano cambiato appartamento da quale che ne sapevo.
Avevano deciso di convivere ufficialmente e di affittare un umile appartamento in un piccolo palazzo di New York.
Quest'ultima era una città molto grande e i suoi palazzi avevano molti appartamenti, cosa che a mia madre non piaceva, quindi Paul aveva trovato un piccolo appartamento in un palazzo meno grande degli altri con soli cinque piani.
Loro abitavano a quello più alto ed era una fatica salire senza ascensore, ma non riuscivo nemmeno a guardarlo che mi veniva da dimenarmi.
<<Stai per rivederli e loro sapranno finalmente che stai bene>> finì Jason mentre cinque gradini ci dividevano dal quinto e ultimo piano, la nostra destinazione.
Non dissi nulla e il figlio di Giove sospirò.
Mi fermò prendendomi una spalla e lo guardai confuso.
<<Avevamo una missione, Percy>> disse leggermente più duro di prima.
<<E con questo? Potevo degnarmi di una chiamata, siamo stati in Grecia e a Roma. L'ultima volta che ho controllato lì c'era almeno un telefono pubblico>> sbottai senza alzare troppo la voce per non disturbare i vicini.
<<Non puoi darti colpe che non hai, Perseus!>> esclamò indignato e arrabbiato e inarcai un sopracciglio.
<<E ora come diavolo sai il mio vero nome, Jason Grace?!>> domandai scettico e una risata gli uscì dalle labbra accompagnata dalla sua espressione incredula.
<<Ma se lo dice ogni singolo divinità che incontriamo. Ormai lo saprà tutto il mondo mortale e non>> mi rispose alzando le spalle e poi indicando le scale con gli occhi.
<<Ormai siamo arrivati, muoviti e cammina>> mi disse per poi sorpassarmi.
<<Grazie mille>> borbottai sarcastico prima di seguirlo a mia volta.
Me ne stavo pentendo ma ormai ero lì.
Il mio dito schiacciò il secondo campanello ovvero quello della porta di ingresso di casa e aspettai con ansia.
Quando la porta di casa si aprì rivelò... un uomo con una banda nera sull'occhio?!
Ma cosa...?
Angolo me
Come state ragazzi? Io tutto bene. Scusate per come vi ho lasciato nello scorso capitolo e in questo.
Se io capitolo vi è piaciuto commentate e votate e alla prossima!
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The return of titans
FanfictionJason e Percy hanno perso tutto. Ora devono fare da parte il loro orgoglio e il loro egoismo per rendere più forte la loro amicizia e cercare di tirare avanti, ma è difficile quando i tuoi amici e l'amore della tua vita sono morti. Gli Avengers sono...