XII. Marasma

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Continuava a premere il grilletto, eppure dall'arma non fuoriusciva alcun suono né proiettile. La gettò via nel più disperato dei modi, prendendo dalla sua schiena il secondo fucile di scorta. Tolse la sicura, mirando agli occhi del gigante, pregando che sarebbe riuscito ad accecarlo e guadagnare tempo per tutti quei civili intrappolati tra le macerie dell'edificio.
Il fragore dell'arma risuonò nei dintorni, i proiettili di piombo fendettero l'aria oltrepassando i bulbi oculari in uno spettacolo di sangue e versi di agonia.
Utilizzò la grossa mano per sollevare la trave. Frammenti di cemento scivolarono a terra, infrangendosi vicino ai piedi dei civili rannicchiati a terra, terrorizzati.

«Presto, uscite!», gridò, osservando armadi, tavoli, computer distrutti e ammonticchiati ai lati.

Il piccolo agglomerato di persone si mosse subito, guidato dall'istinto e dalla paura.
Fu mentre Jean osservava il gruppo allontanarsi che la creatura gli piombò addosso.

«Merda-!»

I grossi denti affondarono nel meccanismo, provocando una lacerazione così profonda da incrinare il vetro del pilota. Piccole scintille illuminavano i cavi colorati ormai fuori dal metallo. Jean sussultò.
La luce all'interno del mech lampeggiò un paio di volte prima di spegnersi del tutto, a seguire un imprecazione da parte del ragazzo.
I grossi polpastrelli cercarono di spaccare definitivamente la superficie per poter divorare l'essere umano vittima del suo attacco, ma non ne ebbero il tempo.
Un individuo gli atterrò sulla schiena, squarciando la nuca con la parte tagliente dell'arma.
Il corpo crollò a terra, marcendo in pochi secondi e creando vapore a dismisura.

«Eren!», esultò Jean alla vista del mech nero dell'amico. «Giusto in tempo!»

Il castano balzò giù dalla carcassa, raggiungendolo in fretta. Cercò di fissare il compare attraverso lo spesso parabrezza antiproiettile, ma a causa del tetro buio gli era impossibile.

«Ti sei dimenticato di pagare le bollette?»

«Fai meno lo spiritoso se vuoi rimanere in vita», lo apostrofò l'altro. «Quello stronzo mi ha addentato una spalla, non vedo un cazzo».

«Modera il linguaggio», borbottò Eren.

«Vaffanculo», fu la risposta secca.

Jean tolse le mani dalle grandi leve di fronte a lui per poter aprire un cassetto d'emergenza alla sua destra. Tirò fuori una torcia a led e la appese al soffitto con un laccio. Non era il massimo, ma un minimo di illuminazione gli sarebbe senz'altro servita per vedere i tasti sul monitor.

«Vieni con me. Vicino al Bode Museum sono stati avvistati parecchi esemplari».

Eren fissò la colonna di fumo innalzarsi tra gli alti palazzi e scomparire in un battito di ciglia. Per quanto era concentrato, gli parve di sentire perfino il suono e il calore dell'esplosione.

«Certo, andiamo».

***

Levi corse fino a sentire i piedi bruciare per arrivare al posto di blocco comandato dal generale Flagon, uno dei più affidabili nell'esercito. Gli mancava l'aria e quella contaminata dal fumo non era il massimo da respirare.
Quando fu abbastanza vicino, due soldati allungarono le braccia per afferrarlo e farlo entrare oltre la linea di difesa stabilita. Gli porsero subito una borraccia d'acqua e una coperta; numerose furono le pacche sulle spalle che ricevette prima che un uomo dai capelli biondi gli si avvicinò.

«Sei stato fortunato ad arrivare fin qui».

Levi annuì, trangugiando l'acqua.

«Con chi ho il piacere di parlare?», chiese lui, notando l'abbigliamento elegante dell'uomo.

𝕋𝕙𝕖 𝔾𝕦𝕒𝕣𝕕𝕚𝕒𝕟 𝕆𝕗 𝔹𝕖𝕣𝕝𝕚𝕟Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora