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Bam!
Una roccia era andata in frantumi. I pezzi caddero rovinosamente al suolo.
Bam!
Un'altra era esplosa. Annabeth ansimò per lo sforzo, piegandosi in due poggiando le mani sulle ginocchia.
Will le aveva detto che, in seguito al risultato ottenuto delle analisi che aveva insistito nel farle fare, aveva scoperto che non riusciva più a respirare bene.
E anche lei se n'era resa conto. Di certo non serviva fare delle stupide analisi per quello.
La breve spiegazione medica era stata la seguente: prendeva poca aria dai polmoni e la ributtava fuori troppo velocemente. Si stancava rapidamente e correre le faceva venire il mal di testa.
Non che Annabeth avesse bisogno di correre, ultimamente. Preferiva camminare.
A parte Annabeth, Will e Chirone erano gli unici a saperlo. Il centauro aveva insistito, cercando di convincerla a parlare con suo padre, che sembrava essere a conoscenza della notizia da molto tempo.
Anche lui alla fine aveva finito per mentirle. Frederick Chase lo aveva sempre saputo eppure non le aveva mai detto niente.
Annabeth non voleva parlare con lui. Che cosa le avrebbe detto? L'avrebbe tenuta a casa con Helen e i gemelli? Stare in una casa che non era la sua era l'ultima delle cose che voleva fare.
Aveva rifiutato le mille chiamate che le arrivavano dal telefono fisso nella Casa Grande e a dirla tutta, preferiva così.
Quando andava nell'arena ne usciva sempre affaticata e col fiato corto. Eppure era l'unica cosa che le riusciva bene fare.
Se Will la beccata in giro dopo che era stata ad allenarsi la teneva sotto osservazione in infermeria.
Rompere, spaccare e fare rumore era l'unica cosa che poteva fare. Oltre che ignorare tutti e a comportarsi da scontrosa, ma quelli sono dettagli.
Scaricava così lo stress e la rabbia, in modo da attenuare le spaccature sulla sua pelle.
L'arena era un posto grande. Amplificava i suoni fino ad un certo punto, e dalla terz'ultima fila in poi non si sentiva più niente.
Di norma la spada di Annabeth (non se la sentiva più di usare i pugnali per evidenti ragioni) non rompeva le pietre, tantomeno gli oggetti solidi in generale, ma la lama era in qualche modo alimentata da un sacco di scariche elettriche e da tutti quei geni che erano saltati fuori all'ultimo minuto.
All'improvviso il terreno fu scosso da un fremito.
Annabeth vide il pavimento contrarsi al centro dell'arena. Un'altra cosa che era venuta alla luce all'improvviso erano le allucinazioni.
Al peggio non c'era mai fine.
Annabeth si racchiuse il viso tra le mani. Era solo un illusione. Sapeva che era impossibile che stesse accadendo realmente eppure vide la terra contrarsi sotto di se e delineandosi sempre di più fino a formare un volto. Il cuore di Annabeth perse un battito - non... è reale -
Gea spalancò la bocca e la sua sadica risata riecheggiò per tutta l'arena. Annabeth cercava di pensare razionale, ma il viso della madre terra scolpito nel terreno le fece dimenticare all'istante ogni pensiero razionale.
Annabeth raccolse la spada da terra e la conficcò nel terreno. Il suolo fu smosso da una scossa più forte della prima. Annabeth lasciò la presa sulla spada e sbattè le palpebre.
Il volto di Gea era scomparso, e forse non c'era mai stato. Le nocche delle sue mani erano talmente bianche che si riuscivano a vedere le vene attraverso la pelle. Nella terra non c'era mai stato il volto di Gea. L'unica cosa davvero evidente era l'enorme squarcio che attraversava l'arena.
Nel mezzo era nero, dal quale saliva una leggera nebbiolina bianca. Sembrava profondo, chissà se aveva un fondo.
Si avvicinó ancora di più. Proprio come lei, quel crepaccio non sembrava avere un fondo.
Sprofondava nel risentimento e nella paura, ma prima o poi avrebbe toccato il fondo, giusto?
Sarebbe risalita in superficie, o sarebbe rimasta a mollo nell'acqua tormentata dalle sue paure? Improvvisamente lo squarcio si trasformò in un crepaccio, rosso come il sangue. Rivide lei stessa, era piena di ragnatele e una voce la trascinava verso il basso. Ma stavolta non c'era nessuno a tenerle la mano - no... - chiuse gli occhi.
Li riaprì e si allontanò dal bordo.
Era di nuovo nell'arena, al Campo, al sicuro, fuori dal Tartaro. Dovette sedersi sugli spalti per non svenire.
Tutto quello sforzo l'aveva esaurita, cosa che andava contro le indicazioni di Will: "Mi raccomando non sforzarti troppo e cerca di stare tranquilla" .
Le sue mani, raccolte in grembo, stavano tremando per lo shock. Cercò di concentrarsi sul suo respiro. Respiri lenti e regolari. Sentiva il sapore del sangue in bocca. Prese coraggio, si sporse in avanti e sputó a terra. Non c'era alcuna traccia di sangue.
Quando rialzò lo sguardo, lo squarcio nero non c'era più.
L'arena era come prima.
L'unico segno lasciato da Annabeth erano le rocce spaccate a metà, lasciate sulla pista come cadaveri, e la spada bianca conficcata nel terreno dove prima c'era la madre terra.

Dopo qualche ora, Annabeth risalì i gradini dell'arena, stando attenta a dove metteva i piedi per evitare di crollare su un lato. Se sveniva nessuno avrebbe potuto aiutarla.
Arrivata in cima, vide delle ombre allungarsi sull'erba illuminata dal sole. Avrebbe potuto fare finta di niente e proseguire per la sua strada, come ormai faceva la maggior parte del suo tempo. Oppure avrebbe potuto scappare, come faceva la maggior parte del tempo.
Invece si nascose svelta dietro un muretto di pietra, rannicchiandosi quanto più possibile su sé stessa.
Alle ombre si aggiunsero delle voci.
Annabeth non li vide in volto, ma li riconobbe subito.
- dobbiamo fare qualcosa - era una voce maschile, profonda, tagliente come una lama.
Ci fu un breve momento di silenzio in cui Annabeth quasi dimenticò come respirare. Dovette tapparsi la bocca con una mano per evitare che il suo respiro facesse troppo rumore.
- cosa proponi di fare? - rispose una voce irritata, ma luminosa come il sole e profonda come l'oceano.
- non ci lascia nemmeno avvicinare, non possiamo aiutarla se non ci dice cosa le succede -
Annabeth si rannicchió ancora di più su se stessa, continuando a ripetersi che un giorno si sarebbero stancati di lei
- potremmo... costringerla a parlarci -
- e come Hazel? Lagandola ad una sedia con una corda e puntandole una luce in faccia? -
- come nei film polizieschi - aggiunse qualcun altro, con un tono quasi divertito.
Annabeth pregò che non prendessero davvero in considerazione quell'idea.
Qualcuno batté entrambe la mani sul muretto dietro cui era nascosta, facendola tremare nelle spalle esili - statemi a sentire, tutti - esordì autoritaria la prima voce - quello di cui Annabeth ha bisogno, è di spazio e tempo per riflettere -
- sono passate due settimane, Jason, due settimane durante le cui ci ha evitato come la peste. Non solo noi, ma ogni essere umano presente sulla faccia della terra. Qui c'è qualcosa che non va, e fidati quando ti dico che il mio istinto non sbaglia mai. Non quando si tratta di lei -
- fammi finire, Percy - continuò irritato il proprietario della prima voce - l'ho vista questa mattina fuori dalla cabina sei, e dire che era terrorizzata sarebbe un eufemismo. Era come se avesse paura di qualcosa. Come se avesse paura di me. Non so come facciano i mostri a convivere con questo sentimento, forse perché loro non sono umani e non provano le nostre stesse emozioni ma è stata la sensazione più brutta che io abbia mai provato - fece una pausa per riprendere fiato - non so che le prenda ma qualcosa la sta lacerando da dentro. L'ho visto dipinto nei suoi occhio. Sono certo che un giorno ci parlerà, ma dobbiamo lasciarle il tempo necessario affinché sia mentalmente pronta a farlo, di qualunque cosa si tratti -
Annabeth abbassò lo sguardo. Era così evidente che fosse cambiata, dopo tutto. "le serve tempo... datele tempo e spazio..." ma più si isolava dal mondo, più era difficile rientrarci una volta che decideva di tornarci.
- sono stanco, Jason, non ci riesco più. Voglio aiutarla ma non lei me lo permette. Andrò da lei e...-
Una botta forte fece sobbalzare Annabeth, che si rannicchiò ancora di più su se stessa.
Jason aveva placcato Percy contro il muro, tenendolo fermo per le spalle - lo sai che ti appoggio sempre, amico, ma questa volta non posso farlo. Devi lasciarla stare o ti giuro che userò le maniere forti -
- fatti sotto, Grace -
- adesso basta! - questa era Piper, la sua lingua ammaliatrice era piuttosto potente - nessuno picchierà nessuno! Jason, per l'amor del cielo, lascialo andare. L'ultima cosa che ci serve al momento è una rissa. Percy, Jas ha ragione. Il modo migliore per aiutarla adesso è lasciarla in pace. È difficile, lo so, ma dobbiamo farlo. Si sistemerà tutto, ma prendervi a botte non risolverà niente -
Piper aveva intriso le sue parole con un pizzico di lingua ammaliatrice. La tensione si smorzò e i ragazzi si allontanarono l'uno dal l'altro.
- bene - disse di nuovo la voce di Piper - tempo o non tempo, dobbiamo dirle che Chirone vuole parlare con lei alla Casa Grande -
- se mai riusciremo a trovarla, Piper - disse un'altra voce, quella che aveva proposto di farla parlare costringendola. Hazel - sembra essere scomparsa nel nulla -
Annabeth rimase accucciata dietro al muretto anche quando se ne andarono qualche minuto dopo.
Era strana l'immagine che avevano di lei i suoi amici.
Annabeth non aveva bisogno della pietà di nessuno. Era stata costretta ad allontanarsi, non perché avesse voluto, ma perché doveva.
Ecco svelato il perché la guardavano tutti quando passava in mensa: faceva pena.
Non voleva la loro pietà, non ne aveva bisogno. L'unica cosa di cui aveva bisogno era di sé stessa.
Non poteva accettarsi per quella che era, non per il momento, ma ci sarebbe arrivata.
Chirone voleva parlarle? Gli avrebbe parlato.
Che anche Gea potesse vedere che Annabeth non si piangeva più addosso.
Avrebbe riso in faccia a quella stupida dea primordiale.

Tʜᴇ ᴏᴛʜᴇʀ sɪᴅᴇ |Percy Jackson|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora