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Lungo la strada per la Casa Grande, Annabeth inciampó in un sasso e si sbucció un ginocchio.
Imprecó. Che stupida.
Un po' frizzava ma lasció subito perdere.
Non poteva negare che un po' d'ansia la conservava da quando era partita a passo di bradipo dall'arena.
Cercava di fare il più lentamente possibile, così che avesse il tempo di pensare a quello che avrebbe detto a Chirone una volta arrivata. Era la prima volta che richiedeva la sua presenza da quando era successo quel che era successo.
Perché solo adesso?
Ma la vera domanda era lui che cosa voleva dirle?
Che cosa voleva sentirsi dire?
Doveva giocare d'astuzia. Prima diceva a Chirone quel che voleva sentirsi dire, prima poteva andarsene. Prevedeva già un sacco di ramanzine, alle quali non avrebbe dato ascolto, ovviamente.
Perché da due settimane cercavano di dirle che doveva smettere di comportarsi da scontrosa e parlarne, così che insieme avessero potuto trovare una soluzione al suo problema.
Ma non c'era nessuna soluzione.
Era quella che era e niente avrebbe potuto cambiare il suo DNA.
Annabeth aveva creduto che finché lei non vedeva gli altri, gli non avrebbero visto lei ed era proprio per quello che era così legata al suo cappuccio. Voleva sentirsi rassicurata ed era quasi come se poteva esserlo solo se teneva con sé il banale oggetto che la faceva sentire al sicuro. Ma che Annabeth fosse con o senza cappuccio, i semidei la vedevano e continuavano a guardarla finché non spariva dalla loro visuale.
Era un dato di fatto, e Annabeth ne era consapevole.
Ma dovevano vedere che, anche se dentro nascondeva un senso di profondo disagio, Annabeth non aveva paura. Senza rendersene conto, era arrivata davanti alla veranda della Casa Grande.
"vediamo cosa ha da dirti. Sicuramente ti farà notare il mostro che sei diventata"
Un profondo senso di angoscia si fece strada in lei.
"taci. Non è vero"
Prese un respiro profondo, nascose le mani nelle tasche ed entró spingendo la porta con una spalla.

Per lei la Casa Grande era letteralmente come una seconda casa. Appena arrivata al campo, a 7 anni, aveva adorato quel posto.
La rassicurava, la faceva sentire protetta, amata come non lo era stata con suo padre e con la sua matrigna. Aveva passato settimane a piangere su quel divano, con Chirone e Luke accanto a lei, a rassicurarla.
"sei salva adesso" le dicevano "qui niente può più farti del male, piccola"
Adesso quel posto per Annabeth equivaleva a un vero e proprio incubo.
Lì la sua vita era cambiata radicalmente, senza che se ne rendesse conto. Era passata una bufera e l'aveva sommersa e ora annaspava nella neve.
Non sopportava che la Casa Grande le desse tutto quel senso di impotenza, di paura.
Si sentiva tesa come una corda di violino.
Per lei il concetto di famiglia stava cambiando, senza più riconoscerne una in quella sua quotidianità.
Si sedette sul divanetto di pelle aspettando l'arrivo del suo istruttore, con muscoli tesi e i nervi a fior di pelle.
Annabeth si perse nei dattagli della sala. Erano così poco familiari, come se non avesse passato ore lì, con  Percy, a discutere delle profezie.
Percy.
Annabeth strinse gli occhi per evitare alle lacrime di sgorgare dai suoi occhi.
Chirone non tardò ad arrivare, nonostante Annabeth avesse sperato il contrario.
Appena il suo sguardo si posò su di lei, la stanza piombò nella penombra. Maledetto sole.
- Annabeth - disse a mó di saluto
Lei non fu altrettanto cordiale - ci sono problemi? - non avrebbe voluto che quella frase uscisse dalla sua bocca in modo così irruento, ma a quanto pare il cervello le stava dicendo di tenere la guardia alta.
- non pensavo fossi qui. Percy mi aveva detto che non riuscivano a trovarti, ma evidentemente eri già per strada -
Annabeth si irrigidì ancora di più. Quel nome la faceva rabbrividire.
Chirone si sedette sulla sedia a rotelle, riponendo in essa la sua parte equina. Passò qualche secondo di imbarazzo, prima che il centauro parlasse.
- che ti sta succedendo, figliola? -
Lei si arrabbió per quella domanda stupida.
Lo sapeva cosa le stava accandendo ma sembrava lo facesse apposta per sentirlo dire dalla sua bocca. Non rispose. Sperò che il suo silenzio parlasse da sè.
- Annabeth, te lo ripeterò per l'eternità, la tua discendenza non ha niente a che fare con il tuo modo di essere... -
- ah, no? - ribatté sarcastica, sputando veleno come un cobra - peccato che io mi senta una completa estranea - rimase in silenzio per qualche secondo, cercando le parole giuste per spiegare al centauro nel migliore modo possibile perché non ci stava più con la testa - non è tanto il fatto che io e ... lui .... - si interruppe a metà frase, incapace di pronunciare quelle parole - il punto è che mi avete mentito per tutta la mia vita. Perché l'avete fatto? -
- l'ho fatto per il tuo bene - rispose paziente Chirone.
Annabeth si alzó in piedi. Il tavolo iniziò a tremare ma non sembrava che l'anziano istruttore ci badasse molto
- per il mio bene? Se lei me lo avesse detto subito, avrei saputo gestire meglio la situazione e non avrei passato la mia intera vita pensando di essere qualcuno che non sono! - prese un respiro profondo, rammentandosi di mantenere la calma - invece mi guardi adesso: non sono più io. La notte non riesco a dormire, vedo il volto di Gea ovunque e ogni volta che mi trovo davanti anche solo ad una piccola sporgenza mi sembra di tornare nel... nel Tartaro. Quel posto sembrava una passeggiata in confronto all'inferno che sto passando adesso! -
Chirone fissava il tavolo traballante, contraendo la fronte in una smorfia triste - non sei cambiata, anche se credi di esserlo. Sei tu che scegli chi essere -
Annabeth era stufa delle solite frase da film.
Quello non era un film, quella era la sua vita, maledizione!
Era ora di mettere da parte le fantasie e tornare alla realtà.
Voleva dirgli che si sbagliava, uscire dalla porta e non rientrarci mai più.
Quello che fece fu, invece, rimettersi seduta e fissare il pavimento, con un senso di vuoto opprimente nel petto che avrebbe tanto voluto cancellare.
- perché non glielo dici? - chiese impassibile Chirone.
Annabeth alzò lo sguardo - dire cosa a chi? - replicó brusca.
- lo sai a chi mi riferisco - il suo tono era paziente ma fermo.
Annabeth ci mise un'attimo per capire - no... Non capirebbero... come potrebbero? -
- si, se gli dessi l'opportunità di farlo. Parla con tuo padre. Ci sono molte persone che tengono a te -
Annabeth tiró le mani pallide e ricoperte di piccole crepe fuori dalle tasche. Non poteva continuare a mentire - no, perché non sanno che vuol dire trasformarsi in questo - un mostro.
Il centauro le esaminó in un silenzio preuccupato per qualche minuto - devi cercare di calmarti Annabeth, o le cose non faranno che peggiorare e lo sai. Hai sentito Will, se non ti imponi la calma presto perderai il controllo -
Quindi era già critica. Se non si dava una calmata rischiava di farsi del male.
E secondo lui, Annabeth non lo sapeva? Non sapeva che cosa c'era in ballo? Le parlava come se fosse una bambina che non riusciva a riconoscere la destra dalla sinistra. Ma lei non era più una bambina. Aveva capito di non esserlo troppo presto.
Certe cose le capiva... doveva solo capire come arrivarci - un giorno lo farò, ma in un giorno molto lontano -
- che mi dici di Hazel e Nico? - pausa drammatica di sospensione - non credi che abbiano il diritto di saperlo? -
- lo sapranno -
Il suo istruttore era pronto a sgridarla - Annabeth... -
- si può sapere perché mi fa così tante domande? - ringhió senza contegno.
- La vera domanda è un'altra - disse Chirone - di che cosa hai realmente paura? -
Annabeth fece una smorfia di superiorità - io non ho paura -
- te hai paura, ragazza mia - disse lui - hai paura che rivelando loro l'altra tua parte, potrebbero non accettarti -
Abbassò lo sguardo - ma i veri amici dovrebbero accettarti per quella che sei, sempre e comunque. Non è quello che cercano di insegnarti per tutta la vita? - borbottó a bassa voce. Non sapeva da dove le era uscita, ma sembrava che avesse risposto alla domanda.
- esatto, Annabeth. Se sono veri amici, vedrai che capiranno -
- ma chi mi da la garanzia che sarà così?-
Chirone sorrise - Rispondi sinceramente alla mia domanda: te credi che Percy potrebbe mai allontanarti per un tuo legame di sangue? -
- no, ma... -
- e Piper, Jason e tutte le altre persone che ti vogliono bene? - le chiese ancora il centauro.
- no - rispose Annabeth, imbarazzata.
- vedi. Ti sei data la risposta da sola -
L'istruttore si alzó dalla sedia a rotelle - di norma non penserei mai di proporti qualcosa del genere, ma hai bisogno del mio aiuto per dirglielo? -
No, non era così che andava detto.
Sapeva che Hazel e Nico dovevano saperlo, non solo perché era giusto, ma anche per lei stessa.
Avere accanto qualcuno avrebbe cambiato la sua vita.
Ma non adesso, non era ancora pronta.
Annabeth lo sapeva solo da due settimane. Hazel e Nico lo avrebbero saputo ma prima Annabeth doveva imparare ad accettarsi per quella che era, poi anche gli altri avrebbero imparato ad accettarla.
Ma quella era una cosa in più. Sarebbe rimasta da sola comunque, ma poteva essere sola ed essere accettata da gli altri semidei, oppure poteva essere sola, nascondendosi nell'ombra passando inosservata.
Avrebbe forse preso in considerazione la prima opzione - no, devo farlo io ma prima ho bisogno di capirci qualcosa in questa maledetta storia. Hazel, Nico e gli altri aspetteranno un'altro po' prima di rivedermi -
Chirone annuì. Annabeth riusciva a vedere un po' di sollievo sulla sua faccia, forse perché non avrebbe dovuto dare quella notizia una seconda volta. Senza più riuscire a sostenere lo sguardo del suo istruttore, Annabeth si alzó e si diresse velocemente verso la porta.
- Annabeth -
Si voltó appena.
- ricorda che non sei sola. E che sei amata - quella parole facevano più male di quanto pensasse. Se lo fosse stata non si sarebbe rinchiusa in sé stessa provando conforto nel cappuccio della sua felpa, non si sarebbe nascosta dal mondo credendo di essere un mostro. Non si sarebbe fatta troppi problemi.
Se ne andò dalla Casa Grande senza rispondere.
Stavolta andava veloce, così da non dover incontrare Percy.
Questa volta procedeva a testa bassa, diretta verso la cabina di Atena.
Quando richiuse la porta, si accasció contro di essa provando un senso di sollievo nell' essere di nuovo nello stretto e angusto guscio che chiamava "casa".

Tʜᴇ ᴏᴛʜᴇʀ sɪᴅᴇ |Percy Jackson|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora